Il dio ateo del web

Ci sarà un dio del web e sarà pure un pazzo. Sarà burlone e ingiusto, ma è un dio che ci sa fare con gli affari. Fiuta la preda, la insegue e la fa sua: senza finirla, anzi iper-alimentandola e spingendola verso la bulimia. Più lei consuma, più il dio è soddisfatto. Più lei consuma, più lei stessa è sfiancata. Funziona così nel regno del web, nel cielo dei cieli telematici dove vive e regna nei secoli dei secoli il dio algoritmo.
Da Netflix a Angela da Mondello, dal feed di Facebook agli spari a J.R (il cattivo di Dallas), dal Giornale di Sicilia al Teatro Massimo, dal sesso di Apple alla lumaca di Pirandello: ferite e cicatrici in nome dell’innovazione. Questo podcast prova a raccontarle con chiarezza, insomma senza toccarsela con la pinzetta.

P.S.
L’esigenza di essere chiaro non mi mette al riparo dagli errori. Mi scuso per la pronuncia di binge watching che andava con la g dolce, come mi è stato fatto notare… Pardon.

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Il dio ateo del web
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Critiche al buio. Della ragione

Della serie non finire mai di stupirsi. Per la prima volta Google sbarca a Palermo con un’installazione, anzi una serie di installazioni sulla realtà virtuale e su altre meravigliose diavolerie (guardate questo video, ad esempio). È un’operazione che celebra il Teatro Massimo, Palermo e le sue bellezze. Le celebra su scala planetaria grazie al Google Arts & Culture e al suo Grand Tour. Fatevi un giro per capire di cosa si tratta.
Al Teatro con gli amici di Google ci lavoriamo da un anno e mezzo e siamo arrivati alla vigilia dell’inaugurazione, da domani 20 ottobre a domenica 22 la mostra sarà aperta al pubblico (addirittura sabato sino alle 24).
È un progetto in cui esserci è motivo di orgoglio. È un progetto che non costa un solo centesimo al contribuente. È un progetto da cui Palermo e i palermitani hanno tutto da guadagnare perché è una vetrina che parla di noi, del nostro passato con linguaggi nuovi. Ed è un progetto a ingresso gratuito.
Secondo voi come l’hanno accolto alcuni palermitani senza ancora sapere nemmeno di cosa si tratta? Cercando di demolirlo. Sì proprio così.
Non potendo dir nulla sui contenuti, hanno giudicato la prima cosa che avevano a tiro di minchiata: il portone dal quale si accede alla mostra. Poiché, come in tutte le manifestazioni mondiali di Google, l’ingresso deve essere brandizzato, riconoscibile come le più elementari regole del marketing impongono (basta aver studiato qualcosa in più rispetto al manuale di istruzioni dello smartphone), qualcuno ha cominciato a criticare anche con toni violenti il colore dei pannelli, lo stile della grafica, addirittura la location. Come se non fosse un onore per un Teatro definito “il più innovativo di Italia” ospitare un’installazione del genere.
Lo ripeterò sino allo sfinimento, il diritto di critica è come la democrazia: esercitarlo da ignoranti può essere pericolosissimo. Il ragionamento “io giudico ciò che vedo” abbozzato da questi maître à penser  della condivisione forzata è la sconfitta di ogni progettualità. Ma loro non lo sanno. Giudicare quel che si vede senza analizzare, informarsi, contestualizzare, magari ragionarci su, è la tomba di ogni buona intenzione. Io so cosa c’è dietro questo buio da tastiera unta di odio, perché ho vissuto e non sono di ferro: c’è approssimazione, c’è invidia (per qualcosa che finalmente funziona), ci sono inconfessabili fallimenti personali e c’è la rabbia peggiore, quella contro il nuovo, la ricchezza della diversità, la tridimensionalità di un’opinione.
Chiudi qui, ma forse ci torno.
Vi aspetto in Teatro.

I siti amici del sito del Fai

Il mio amico Giuseppe Giglio mi/vi/si chiede:

Chissà perchè il FAI (Fondo Ambiente Italiano, tanto amico di Vittorio Brumotti)  ha nel sito istituzionale  una serie di cosidetti “siti amici”, alcuni dei quali riconducibili alla stessa azienda che si occupa di organizzare matrimoni e vendere bomboniere.
Forse perchè il sito del FAI ha un Pagerank di Google 7/10 e quindi è molto utile per “spingere” il posizionamento su Google dei siti di bomboniere, di proprietà di qualche amico/parente del gestore?

Nemmeno Eric Clapton

Provate a digitare su Google i nomi di quattro sindaci.

Rosa Russo Iervolino.

Gianni Alemanno.

Letizia Moratti.

E Diego Cammarata.

Notate niente di strano?

P.S.
I suggerimenti di Google non risentono delle simpatie o delle antipatie dell’autore di questo blog, ma sono una cartina di tornasole delle ricerche effettuate nel web.

 

Berlusconi e i suggerimenti di Gogol

I barbari

Io che non amo Alessandro Baricco, vi invito a leggere un suo classico: “I barbari, saggio sulla mutazione”. C’è scritto, nero su bianco, come e perché la civiltà dell’era berlusconiana è diversa da quella che c’era prima. Come e perché nel nome del movimento perenne, che è un modo barbarico di ingannare il pensiero proprio e altrui, si perde l’anima. Come e perché  non esiste più la noia, che fa parte dell’esperienza così come il riposo fa parte dell’esercizio fisico. Come e perché il vino, il calcio e i libri sono importanti per capire il nostro grado di colonizzazione. Per non parlare di Google e di internet…

Google oggi

La responsabilità dei singoli

La condanna di Google per violazione della privacy in merito al celebre filmato del ragazzo Down ha riaperto il dibattito sui controlli ai quali sottoporre i contenuti del Web.
Dico subito che non sono tra i sostenitori della libertà assoluta di fare e disfare quel che si vuole nella Rete (come nel mondo reale). Sono contro l’anarchia.
D’altro canto so bene che l’alternativa, al momento, sarebbe il modello cinese con filtri e censure persino a livello di router.
Però, per fare un esempio non troppo originale, credo che la condanna di Google sia assimilabile alla condanna di una fabbrica di armi per un omicidio compiuto con le pistole che portano il suo marchio.
Sono inoltre indeciso se andare a fondo della vicenda, indagando sul perché i giudici hanno preferito il reato di violazione della privacy rispetto a quello di diffamazione o di istigazione alla violenza, o se derubricare il tutto a improvvisazione giuridica. Per comodità scelgo la seconda opzione: c’è meno da spiegare e per di più oggi mi sento stanco.
Il vero problema è la responsabilità dei singoli. Argomento intoccabile in questo Paese perchè ogni volta che lo si invoca, il singolo per eccellenza (cioè il capo di tutti i singoli, veri, presunti, onorevoli e disonorevoli) grida al complotto. Eppure basterebbe fare in modo che su internet ognuno sia riconoscibile, abbia un codice a barre, una targa, per evitare certe penose rincorse legislative e certi aborti giuridici. Voglio vedere poi se qualche idiota ha ancora il coraggio di postare un video con un ragazzo Down picchiato e umiliato.
La libertà non ha nulla a che fare con l’anonimato. Le rivoluzioni, se proprio vale la pena di farle, si fanno a volto scoperto e coi propri nomi.

Google vestito di nuovo

Pare che sia pronta una nuova versione di Google, chiamata Caffeine, con un algoritmo in grado di dare risultati ancora migliori.

Murdoch e la notizia invisibile

Rupert Murdoch ha già da tempo annunciato una crociata contro tutto ciò che è gratis nel web. Adesso pensa di tagliare fuori i motori di ricerca. L’idea è questa: non appena i contenuti dei suoi siti saranno a pagamento, la modifica di un file li renderà inaccessibili e/o invisibili a Google e compagni.
La questione non è da poco.