Il peccato (poco) originale

A giocar con le parole, e ancor peggio con le metafore, si finisce per impantanarsi, soprattutto se non si hanno le idee chiare o se si vogliono confondere quelle altrui.
Secondo l’ex premier Silvio Berlusconi (che piacere scrivere l’ex premier!) Fini è stato il “peccato originale” della legislatura, cioè “la sua fronda ha minato un percorso che avrebbe dovuto essere costituente e invece” non ha costituito un tubo.
Evocare il peccato originale avrà avuto il suo bell’effetto in chi si accontenta di galleggiare sulla superficie dei fatti, magari perché è un elettore del Pdl e preferisce non confessarsi di aver puntato su un cavallo zoppo.
Ma se uno ci pensa un attimo, senza nemmeno dover scomodare la dottrina, questa metafora non c’entra proprio nulla con la scelta di Fini.
In generale, infatti, il peccato originale è identificato come quell’evento (vero o presunto, non ci imbarchiamo in queste diatribe) che ha separato l’uomo da Dio e che ci ha resi mortali.
Chi sarebbe Dio nella rappresentazione berlusconiana è facile intuirlo, e ciò basterebbe a far scattare l’allarme rosso del ridicolo. Continua a leggere Il peccato (poco) originale

L’attentato che non c’era

C’è una storia che non è nuova, ma che è passata quasi completamente sotto silenzio: ne parlo solo oggi perché proprio ieri un caro amico e collega me l’ha riportata alla mente.
Nel dicembre scorso Maurizio Belpietro scrisse un editoriale su Libero in cui rivelava che un killer della criminalità pugliese era pronto a uccidere Gianfranco Fini. Pur tra diversi distinguo, Belpietro dichiarava di fidarsi della fonte che gli aveva fatto la soffiata e aggiungeva che nel piano criminale era previsto che l’omicidio fosse attribuito in qualche modo ai berluscones. La notizia ebbe l’eco che meritava anche sugli altri giornali.
Un mese fa si è scoperto che tutta la vicenda era una bufala. La misteriosa fonte di Belpietro era un imprenditore di simpatie pidielline che aveva architettato il tutto per dimostrare la fallacità dei controlli sulle notizie e anche per strigliare quelli di Libero per il trattamento riservato al presidente della Camera.
In pochi ne hanno parlato. Sui giornali la notizia è stata relegata alle pagine interne e in tv non ne ho registrato traccia. Belpietro è ancora al suo posto, nessuno gli ha chiesto conto e ragione del suo errore (si spera in un sussulto d’orgoglio dell’ordine dei giornalisti). L’imprenditore ha raccontato candidamente il suo piano ai magistrati e rischia l’incriminazione per procurato allarme (insieme al giornalista).
Siamo un Paese in cui il primo che si sveglia con un’idea balzana, chiama il direttore di un quotidiano a tiratura nazionale e, senza passare attraverso nessun filtro, ottiene lo spazio che l’ideologia nella quale sguazza il giornale in questione gli assegna in modo acritico.
Ho un’agenda telefonica ben aggiornata, da domani comincio a fare qualche esperimento. Si accettano consigli.

Testimonial dei 10 comandamenti

  1. Non avrai altro Dio al di fuori di me, disse Berlusconi avvolto dalla luce (stroboscopica).
  2. Non nominare il nome di Dio invano, disse Sandro Bondi a Gianfranco Fini.
  3. Ricordati di santificare le feste, disse Lele Mora a Emilio Fede prima di dare il via alle danze.
  4. Onora il padre e la madre, disse Pietro Maso uscendo dal carcere.
  5. Non uccidere, disse Michele Miseri alla figlia Sabrina.
  6. Non commettere atti impuri, rispose Sabrina.
  7. Non rubare, disse una voce perduta in un’intercettazione inutilizzabile.
  8. Non dire falsa testimonianza, disse Marcello Dell’Utri colpendo con la punta del naso un occhio del giudice.
  9. Non desiderare la donna d’altri, disse Giampaolo Tarantini mettendo mano al portafoglio.
  10. Non desiderare la roba d’altri, disse Morgan mostrandosi generoso.

Il metodo Ghedini

Secondo l’editto del tiranno della Rai (il nome non si fa perché quello di Masi è probabilmente una copertura) Fazio e Saviano per poter parlare di politica dovrebbero invitare tutti i politici. Ciò significa che non basta chiamare Fini per la destra, e Bersani per la sinistra, o viceversa, per garantire il pluralismo, il contraddittorio e tutte le menate di cui Vespa, Minzolini, la D’Urso (la D’Urso?) e tutti i canali Mediaset se ne fregano abbondantemente.
Il nuovo ordine di scuderia – o di stalla –  è: mettere i bastoni tra le ruote, proibire, impedire, rompere i coglioni sino allo sfinimento.
Il metodo Ghedini insomma. Solo che Ghedini, almeno sino a ora, lo abbiamo visto sbavare sul teleschermo.
Il dramma è  che domani, dati i chiari di luna di questo governo, il de cuius rischiamo di ritrovarcelo da questa parte del televisore, con un telecomando in mano. Il nostro.

Il fine di Fini prima della fine

Se non ho capito male, l’Italia non berlusconiana si affida all’ex berlusconiano Fini per abbattere il regime berlusconiano. E’ un po’ come chiedere a Jean Todt di mettere lo zucchero nei serbatoi delle Ferrari prima della partenza del gran premio di Imola. Una fesseria, a meno che non si sia davanti a una conversione o, meglio, a un pentimento.
Ma Fini appare convertito? Pentito?
Proprio no.
E’ incazzato nero, quello sì. Per lo scherzetto di Montecarlo e per gli agguati a penna armata dei picciotti del Cavaliere.
Occhio ragazzi: le rivoluzioni sono una cosa seria, più entusiasmanti da leggere che da vivere.  Solitamente riescono se dietro ci sono menti agguerrite, con ideali affilati.
Nel caso di Fini abbiamo solo una solenne incazzatura e una discreta voglia di vendetta. Più o meno quello che serve per mettere giù, al massimo, un editoriale del Giornale. E nulla di più.

Gli specialisti

Ieri Minzolini, per il Tg1 delle 20, ha fatto commentare l’autodifesa di Fini alla redazione online. Che è come affidare la telecronaca del Gran premio di Imola a un gommista, o il commento di un comizio di Bossi a un logopedista.

Fan, Fini, fine

L'home page del sito del Fini fans club di un anno fa

Esattamente un anno fa registravo che il Gianfranco Fini fan club mugugnava per le aperture del presidente della Camera sugli immigrati e per le prese di posizione nei confronti di Bossi e di Berlusconi.
Oggi molte cose sono cambiate – o, come scrisse un celebre cronista siciliano, molta acqua è passata sopra i ponti (e certo, con certe alluvioni…) –  però abbiamo due certezze: primo, Fini ha portato all’estremo il suo dissenso da B&B; secondo, quel fan club non esiste più.

P.S.
Se internet ha un vantaggio è quello di favorire una memoria collettiva. Approfittiamone.

Cervello Fini


Il succo è che Fini si mostra come l’unico politico (e non) in grado di mettere alle corde Berlusconi. Perché conosce i suoi punti deboli, perché ha costruito con lui un partito per mascherarli, perché è stato satrapo e nemico al tempo stesso, perché non c’è peggior nemico di un ex migliore amico.
Fini sa di avere il ruolo più comodo che un oppositore possa immaginare, quello di leader ragionevole esautorato da una maggioranza irragionevole, e si auto-nomina cavallo di Troia del centrodestra.
Il discorso di Mirabello passerà alla storia perché è di un sofismo meraviglioso (ho sempre subito il fascino dei sofisti). Dentro c’è tutto: il federalismo e i vizi del capo, i giovani e le forze dell’ordine, i giornali e il Tg1, la legge elettorale e la giustizia, la scuola e Gheddafi, la Lega e Almirante.
Fini gioca (e vince) sullo stesso tavolo del suo antagonista: la comunicazione. E’ più bravo di Berlusconi perché sa deragliare con misura, segue un copione sapendo che ogni improvvisazione gli costerà cara. Non urla con la mascella volitiva in fuori, non generalizza, non cerca il consenso plebiscitario. Sa che Mirabello non è l’Italia, ma sa anche che Montecitorio non è più la roccaforte del Nuovo Duce.
Si toglie tutti i sassolini dalle scarpe e non schiuma mai di rabbia: se l’autocontrollo fosse un parametro di una nuova legge elettorale lui vincerebbe a mani basse.
Tutto ciò ovviamente non fa di lui l’uomo nuovo, il faro dell’Italia che spera. Però a vedere Fassino che commenta incerto il discorso come se fosse una vittoria sua, e Gasparri rintronarsi con un inusitato riferimento alle bandiere dei movimenti gay (Tg1, of course), c’è da ricordarsi che quando la situazione è drammatica anche gli aiuti insperati possono essere determinanti.
Se si votasse adesso, Fini rischierebbe di raccogliere più consensi a sinistra che dall’altro lato.
Alle prossime elezioni la sua formazione politica toglierà più voti al Pd che al Pdl.
Scommettiamo una birra?

Dimenticare quel tale Tulliani


Il “cattivo” dell’estate – ogni stagione ha i suoi – è un tale Giancarlo Tulliani, un ragazzotto intraprendente e arrogante che ha messo nei guai Gianfranco Fini. I giornali si divertono a dipingerlo come spregiudicato al limite dell’incoscienza, prepotente al limite della ridicolaggine, sfacciato al limite dell’insolenza.
Tutto accade adesso, dopo che altri giornali – quelli di proprietà di un altro arrogantello e spregiudicato che però non può godere più dello status di ragazzotto – hanno raccontato i presunti favori di cui il tale Tulliani godeva grazie a sua sorella, compagna del presidente della Camera.
Il bello di questi personaggi è che sono creati per non riscuotere disparità di opinioni: non sono ricchi di famiglia ma lo diventano (e ciò attira le antipatie di chi con lo stipendio non arriva a fine mese), restano a lungo invisibili alle cronache (e ciò attira le antipatie di chi sui giornali ci finisce troppo spesso), appaiono splendenti pur brillando sempre di luce riflessa (e ciò attira le antipatie di chi vive al buio), difficilmente pagano di persona (e ciò attira le antipatie di chi paga anche per colpe non sue).
Però al termine di queste righe mi rendo conto che Giancarlo Tulliani in fondo non è un “cattivo”: i cattivi, soprattutto quelli senza virgolette, ostentano la forza di una responsabilità, si battono sino alla fine brandendo ragionamenti come se fossero mazze ferrate, si dimenano alla ricerca di un colpo di scena che possa scavare una trincea per loro e una fossa per un altro. Questo tale Tulliani è in fondo un opportunista viziatello, troppo giovane per essere preso come cattivo modello e troppo vecchio per restare impunito.
Il miglior modo per celebrarlo è dimenticarlo presto.

Fini e affini

Anche oggi la Repubblica dedica cinque pagine alla difesa di Fini, mentre il Giornale continua la raccolta di firme per mandare a casa il presidente della Camera.
Insomma un giornale di sinistra difende un monumento della destra e un giornale di destra tenta di demolirlo.

E’ sempre più difficile andare avanti e schivare le macerie di un Paese e della sua coerenza.