Grazie di cuore (bonsai)

Quando nacque questo blog, esattamente diciassette anni fa, era buio e non solo per l’orario. Vivevo in una casa non mia una vita non troppo mia, lavoravo in un’azienda editoriale nella quale non mi sentivo più gratificato (che avrei abbandonato di lì a poco) e avevo appena realizzato che il rischio da evitare negli anni a seguire non era la disoccupazione o la solitudine, bensì la noia.
Insomma cominciai a riempire queste pagine web per dare alla colonna sonora della mia esistenza un nuovo spartito. Solo dopo, molto dopo, mi resi conto che grazie a questo blog, oltre allo spartito, cambiavano anche i teatri e le orchestre (dapprima per metafora) che mi cercavano. Fu lì che iniziò la Somma Meraviglia: quella che mi spinse a non finire mai di ringraziare il Padreterno che mi aveva regalato la più grande soddisfazione per un professionista, e cioè fare un mestiere per il quale ti stupisci che ti paghino. L’ho raccontato più volte, grazie a questo blog ho cambiato mestiere almeno quattro volte in questi anni. E l’emozione più grande è stata quella di fare ciò che ho sempre sognato, e farlo perché non avrei potuto non farlo: come respirare, mangiare, bere, amare, correre, esplorare, inventarsi nuovi limiti da superare.
Quando cominciai qui, Facebook era appena uscito dall’alveo locale e debuttava sulla scena mondiale, Twitter era online da nove mesi, e per capire la caduta di Pinochet leggevo uno dei libri più indimenticabili della mia vita, “Ho paura torero” di Pedro Lemebel. Esistevano ancora i giornali, nonostante la bolla internettiana fosse già scoppiata. Palermo era la città più cool d’Italia.  

Oggi, diciassette anni dopo, mi rendo conto che in realtà poco è cambiato del mondo che mi circonda. Cioè sono cambiate le facce, le situazioni, gli incroci, ma gli ingranaggi sono sempre quelli. La staticità della politica e delle istituzioni (penso alla scuola, al mondo della cultura) è ancora un freno per il futuro. E invece nell’anno 2023 i problemi sono tutti legati al movimento, allo spostamento, ai flussi: dall’immigrazione ai testi universitari e scolastici, dalle stagioni teatrali alla comunicazione liquida, dai rapporti sociali alla scienza, dalle emergenze alle soluzioni ad esse.
Siamo rigidi, fermi. Di default.
E invece dovremmo essere mobili, flessibili, adattabili.
Cerchiamo la democrazia sul web quando non siamo in grado di rispettare il dissenso più semplice e nonviolento: un loggionista alla Scala che grida “Viva l’Italia antifascista”. Inseguiamo la verità anche laddove è chiara ed esplicita, perché una verità nascosta è spesso il Viagra del nostro ego moscio. Vogliamo essere moderni senza accettare la scomodità dell’innovazione, che è rivoluzione e trauma, e chiediamo al futuro di venir pure a farci visita, ma che non si vada oltre un tè e pasticcini nel salotto.
Eppure non è tutta ruggine e aria stantia.

Oggi sono andato a guardare quali sono stati i post più letti nel 2023 su questo blog. E non vi nascondo che la sorpresa c’è stata. A parte l’home page, cinque dei primi sei posti sono occupati da podcast, cioè da narrazioni pure: il podcast infatti richiede all’ascoltatore tempo e dedizione, non è roba che si consuma in un paio di minuti come questa sveltina di qualche riga. Ed è bello pensare che decine di migliaia di persone abbiano scelto di trascorrere ore con me, autore di un piccolo blog, artigiano della narrazione, senza avere la necessità di manifestarsi, prendendo quel che serve e lasciando il resto.
Chi scrive per mestiere e/o per passione non chiede altro che essere letto. Il resto non conta.
Per questo, anche per questo vi ringrazio con tutto il mio cuore bonsai.


Di seguito i link:

Il mago dei soldi
Porno mondo
Una favola storta
Invertiti, viaggio nelle differenze
Sedici
Il cammino, un pretesto di felicità
Il dio ateo del web
Fuochi e pistole
Non può succedere a me

P.S.
La foto alla quale affido questo momento di imperdonabile autocelebrazione è di Peppino Romano

Long form

Le cose cambiano, lo sappiamo bene anche se ce lo diciamo raramente. Questo blog ha più di sedici anni (è più vicino ai diciassette) ed è una sorta di creatura che ho sempre cercato di trattare bene, anche perché grazie ai contenuti di queste pagine ho cambiato vita e/o lavoro almeno quattro volte.
Le cose cambiano, dicevo. Negli ultimi tempi, direi a partire dalla pandemia, ho notato che in molti lettori c’è l’esigenza di trovare qualcosa di più sostanzioso da leggere: come se non sempre la rapidità di un post potesse soddisfare la curiosità di chi ama il confronto, di chi coltiva il miracolo della curiosità. Analizzando i dati (ci sono vari strumenti per capire gradimento, distrazioni, insofferenze, eccetera) mi sono accorto che alcuni dei post più lunghi, quelli che richiedono un tempo di lettura superiore ai due minuti, sono quelli che restano tra i più graditi: restano, nel senso che c’è chi torna a leggerli, chi ci inciampa più volentieri.
Non l’avrei mai detto sino a quattro anni fa: la rapidità di esecuzione è uno dei pilastri della comunicazione via web, anche se nel blog c’è molto materiale che arriva dalla carta, dal teatro, dalla radio, dalla tv.
Per questo ho deciso di creare una sezione “long form” che troverete nelle “categorie” (qui a sinistra) nella quale sono raccolti questi contenuti di maggiore approfondimento, o semplicemente meno brevi.
Inoltre, presto, molti di questi post diverranno podcast in modo che li possiate ascoltare e non soltanto leggere: un vantaggio per chi ha poco tempo e per chi si annoia in auto, nel traffico o con un compagno di viaggio noioso…
Grazie a tutti e buona lettura.

15 anni di errori

Il motivo di questo post ve lo svelo alla fine. Quindi per arrivarci dovete leggervelo tutto.
E NON BARATE.
Nel dicembre del 2006, esattamente 15 anni fa, credevo che la mia vita fosse un solo lungo binario con un solo treno, che va in una sola direzione. Ero attratto più dalle cose che dalle loro prospettive e me la raffiguravo così: mi interessano i corpi, non le loro ombre. In tal modo facevo un errore molto ingenuo (e credo molto diffuso) che è quello di curare il qui e adesso (il qui e adesso di allora, intendo) e sbagliavo nel diluire il resto in una miscela di fatalismo e ottimismo. Laddove l’ottimismo era spesso l’oppio di una saggia decisione e il fatalismo il suo specchio deformante.
Allora avevo scritto un paio di libri e, grazie a una fortunata traduzione, ci avevo ricavato pure qualche soldino (con allegata prospettiva economico-lavorativa). Inoltre vivevo alla giornata, dentro e fuori casa, dentro e fuori l’ambiente di lavoro.

Ero più magro, avevo più capelli, fumavo due pacchetti di Pall Mall al giorno e correvo la mezza maratona in un’ora e 37 minuti. Per dirla in altro modo credevo che la caleidoscopica varietà di forme sociali fosse affidata al caso. Della serie, antropologia questa sconosciuta. Poi non mi sono certo messo a studiare (lo studio tipo “pronti-via” mi atterrisce più di una promessa di Salvini) , ma mi sono evoluto quasi inconsciamente in un campo per me fino ad allora vergine: quello delle possibilità umane. Nello specifico, possibilità umane applicate a me medesimo.

È così che ho imparato (e ve ne ho parlato spesso) a sbagliare da solo, a saper tornare indietro, a cercare di recensire tutto il casino che mi trovavo per le mani, la maggior parte delle volte per colpa mia. E ho rimescolato un bel po’ di cose: sul fronte affettivo, su quello lavorativo, nel campo degli interessi della cosiddetta cultura generale, nella musica, nella scrittura, persino nel tipo di vino da bere.

Di sicuro non sono diventato migliore. Però sono diventato. Cioè mi sono evoluto, sono cambiato. Non è vero che le cose cambiano da sole, o meglio se cambiano da sole è come confidare in una buona bottiglia di vino (scusate se torna sempre questo tema, ma è uno dei più alti e genuini che mi vengono in mente) abbandonata su un ripiano della dispensa in attesa di tempi migliori o perlomeno adeguati (su questo tema dei tempi per bere un vino rimando a un’apposita riflessione in futuro). In verità quella bottiglia, se le dai una posizione orizzontale, se le assicuri una temperatura costante, insomma se le dai un po’ di cura, cambierà sì, ma tu avrai la coscienza a posto di uno che pur, arrendendosi all’inarrestabile dittatura del cambiamento, non si rassegna a mettere il suo stuzzicadenti per puntellare il traballante mobile del futuro.   

Funziona così nel mondo che ci ostiniamo a difendere dai negazionisti delle emozioni. Siamo deboli e incerti, faciloni e ingenui, crediamo di avere la situazione in pugno senza avere la decenza di misurare il nostro pugno prima della situazione. Siamo macchine programmate per vincere sul terreno dell’avidità, della presunzione, della saccenza, ma abbiamo pochissime speranze sul fronte dell’umanità.

Quest’anno è stato molto complicato per il sottoscritto, non più di quello precedente però. Ma il settore “cazzi miei” ha qui un limite imposto dalla decenza.
Ecco, in quest’anno e in quelli precedenti spero di avervi dato almeno uno spunto utile, uno solo, di riflessione. Spero di essere riuscito a scambiare almeno una volta i panni con voi, perché in un blog è importante l’abbigliamento: si entra in un modo, ma se ne esce magari con un maglione altrui. È il book-crossing delle idee, il vero antidoto al veleno dei social. Argomentare, far sedimentare, reagire (magari incazzandosi e non tornando più).

Insomma tutto questo pippone per dirvi che questo blog compie 15 anni e che nel web non è proprio un’età da trascurare, a fronte di migliaia di blog morti in culla e ibernati per decenni, oppure tenuti crudelmente in vita solo per truccare l’audience.

Festeggiando il compleanno di questa capanna virtuale vi invito a pensare cosa eravate 15 anni fa. Dove eravate e  dove  pensavate di arrivare. Se ci siete arrivati o no, non è importante. Quello che conta è che abbiate imparato la lezione: saper sbagliare da soli è un buon modo per sopravvivere, a patto che l’errore sia sempre al suo posto e il sapere dal lato opposto.

Quattordici

Abbiamo opposto fiera resistenza durante il Berlusconismo, quando il partito dell’amore voleva farci credere che esisteva davvero un sogno italiano e che era persino a prezzi accessibili. Non ci siamo lasciati ingannare dalle sirene dell’antimafia prêt-à-porter di Crocetta e Lumia che costruivano eroi buoni manco per una fiction televisiva. Abbiamo diffidato – e i fatti ci hanno dato ragione – dei fanatismi egualitari dei “grillini” che pretendevano di renderci tutti uguali (e piccoli come loro) per decreto, azzerando meriti e competenze. Abbiamo brindato al (raro) trionfo del bello e fischiato i bulli tronfi di un potere che non meritavano. Abbiamo discusso, ci siamo accapigliati, abbiamo riso e abbiamo cercato inutilmente di nascondere le lacrime. Abbiamo sperato nel trionfo della ragione e ci siamo dovuti accontentare di un vantaggio momentaneo. Insomma ci siamo scoperti fragili e uniti nella fragilità: non tutti, giacché la fragilità consapevole è condizione di pochi.

Sono passati 14 anni dalla nascita di questo blog. E 14 anni in certi anni possono essere un’èra geologica. Oggi mi ritrovo a celebrare questo anniversario evitando decisamente ogni reflusso di nostalgia (la nostalgia è un modo di spacciare per nuovo qualcosa di irrimediabilmente vetusto, insomma è una sorta di truffa dei sentimenti). Quindi guardo avanti, oltre la cortina nebbiosa che in questo maledetto 2020 ci offusca l’orizzonte. Grazie a questo blog ho cambiato lavoro molte volte, ho conosciuto persone determinanti, ne ho allontanate di mefitiche, ho coltivato amicizie e rotto sodalizi, ho cazzeggiato e scritto opere teatrali, ho cantato e pianto, ho scoperto nuove strade del mondo e imparato che la parte più importante di una fuga è quella del ritorno.

Per questo mi impegno a continuare, a riempire queste pagine, a preferirle rispetto alle timeline dei social. Perché sono mie, nostre, di chi ci ha buttato un occhio o ha scritto due parole: sono una memoria che nulla ha a che vedere con le sveltine di Facebook.

Quattordici anni sono un tempo sufficientemente importante per una vita, come possono esserlo quattordici minuti o quattordici secondi a seconda dei contesti. Le gioie e i dolori hanno uno strano rapporto col tempo, a meno che non si scelga di vivere il presente e basta. Ecco, in questi 14 anni sono cambiato molto in tal senso: credevo nel “per sempre” di Alice nel paese delle meraviglie, ma oggi non me ne curo più. Preferisco il “mentre”. Preferisco attraversarlo, il tempo. Gustandomi il cuore della torta, magari infilandoci un dito, e fottendomene della fetta.

Siamo fatti di panna e fragole, siamo deperibili, ma capaci di scatenare una tempesta di piacere se finiamo nei palati giusti. Godiamocela, prima che il frigorifero si scassi.
Viviamo in un universo di interferenze. Ma le interferenze se ben orchestrate possono essere musica.

E sono tredici

E sono tredici. Questo blog macina un altro anno e cerca di invecchiare meglio del suo titolare, un po’ come accade con certe automobili ben curate. Per questo anniversario ho deciso di dividere il messaggio urbi et orbi in due parti. La prima è questa e la leggerete (spero), la seconda la guarderete e la ascolterete (spero) nel video in questa pagina. Perché ci sono cose che si scrivono e cose che si dicono guardandosi in faccia. Ed è bene ricordarcelo.

Quante vite sono trascorse da quando digitai le prima parole su queste pagine? Tre? Quattro? Di certo molto è cambiato e non solo dalle mie parti, ma nei quartieri del mondo.

I problemi hanno una caratteristica imbarazzante: più sono antichi, più ci sembrano ridimensionabili. C’è sempre un problema nuovo a scacciarne uno vecchio, e il più recente sembra più pesante, irrisolvibile. Nella fenomenologia delle rotture di coglioni, il fattore tempo altera il peso specifico dell’evento disturbante nascondendone invece la vera essenza: se un problema è antico vuol dire che permane, quindi è un problemone. Tutto ciò ha a che fare con l’assuefazione: persino la spina nel piede dopo un po’ fa il callo.

Ecco, il mio tema di questo 2019 è stata la lotta contro l’assuefazione e la sua sorellastra, la distrazione. Ci ho scritto un’opera e una pièce dove l’unica parola bandita era “rimpianto”. Il rimpianto è l’alibi dei deboli che non sono riusciti manco a passare per imbecilli, magari per riuscire a riscuotere una sorta di reddito di cittadinanza della coscienza civile.

Mi piace pensare che in questi tredici anni l’allenamento per una sana intransigenza abbia coinvolto qualcuno di voi, tipo le vecchie lezioni di aerobica in tv dove c’era un tale che cantilenava qualcosa che finiva sempre con “and step… and go…” e insinuava un tremendo tarlo: davanti alla televisione si poteva persino non star seduti. Ecco, l’idea che davanti a un blog – uno dei pochi blog sopravvissuti – si possa fare, ergo pensare, qualcosa di non consono, non allineato, è carburante nel motore della mia autostima. Ed è il motivo per cui sarei tentato di ringraziarvi personalmente, in un porta a porta tipo rappresentante del Folletto. Non è detto che non lo faccia. Grazie a tutti, grazie di cuore.

P.S.
Questa era la parte scritta. Ora, se volete c’è quella parlata…

Dodici anni

È stato un anno difficile ma entusiasmante. Il dodicesimo di anni difficili ma entusiasmanti, da quando cioè vive questo blog che oggi fa il compleanno. Non sono molti i blog che resistono da tanto tempo, perché non è l’usura il peggiore nemico ma la consunzione delle idee o la loro diluizione nell’acquitrino dei social, acqua che sembra mare aperto ed è invece una pozzanghera che ce l’ha fatta. Dodici anni sono almeno due o tre vite per me, tanto sono cambiate le cose intorno a queste pagine. La compagnia di giro, i suonatori, i nani, le ballerine, i figuranti e i protagonisti, fossimo stati in un frullatore ci saremmo riposati di più. Grazie a questo blog – l’ho già scritto e lo ripeto – ho imparato molto, soprattutto a sbagliare da solo e a non dare mai la colpa agli altri se un ingranaggio si inceppa. Ho anche cambiato lavoro e imparato a fare nuove cose, sempre partendo dall’esperienza maturata su questo campo: in questi dodici anni non c’è giro di boa, non c’è emozione degna di nota che non abbia avuto un riverbero qui. Ed è un orgoglio immaginare che quel manipolo di coraggiosi che ogni giorno passa da queste parti abbia in comune col tenutario del blog la voglia di tenere lontana l’imparzialità. Io non sono imparziale, non lo voglio essere e quando è accaduto è stato sempre perché ero distratto, o costretto dalle circostanze, o magari facevo finta e non me ne rendevo conto: comunque per colpa mia (vedi sopra). Imparziale è il giudice, l’arbitro. Non chi scrive, chi racconta, chi sogna e chi crede. Nel mondo delle idee, da quelle più alte a quelle al di sotto della cintola, ci si schiera. Un tempo si credeva nella penna come una spada, oggi le metafore possono contare su nuove armi. Di sicuro la penna non sarà una bilancia perché la ragione non ha un peso forma e tenerla a stecchetto significa lasciarla morire.

Se siete qui so che sapete meglio di me dove potrei andare a parare, perché noi imparziali e felici ci capiamo senza dispendio di inutili sillabe.
Per questo, anche per questo, vi ringrazio.
Felicità.

3.000

Per gli amanti dei numeri, siamo al post numero 3.000 di questo blog, che è online da 2.441 giorni, cioè da oltre sei anni e mezzo.
Se sono ancora qua, il merito è di chi mi legge. Quindi grazie a tutti voi.