Onorevoli del piffero

Trovo irritante quest’aria da gita scolastica nelle elezioni del presidente della Repubblica. Lo dico a rischio di sembrare bacchettone, ma oggi nell’anno 2013 con tutto quello che è accaduto e con tutto quello che ci ha piegati e piagati scrivere Rocco Siffredi, Fiorello o Mussolini nella scheda è da coglionazzi.
Non sarà la presunta aria nuova a togliere dai piedi i soliti idioti che non riescono neanche a godere per la piacevole vertigine di essere in un posto così importante in un momento così importante. Se solo si scoprisse una volta buona chi è che mette incinta la famosa mamma dei cretini, si potrebbe giustificare un delitto preventivo a fini costituzionali.

Tutti da Fiorello, come Fiorello

E’ davvero un peccato che la trasmissione di Fiorello sia finita, anche se è immaginabile che la Rai – a meno di follie suicide – abbia fatto tesoro dell’esperienza.
Come ci siamo detti sin dall’inizio, la grandezza dello showman siciliano è quella di far sembrare nuovo ciò che è antico e collaudato. E questo in una nazione di dilettanti allo sbaraglio (magari con la spinta di papi) è una bella cosa. Però se una critica può essere mossa a Fiorello, senza il rischio di finire crocifissi su Twitter, questa riguarda la sudditanza degli ospiti. Tutti, da lui, parlano come lui, citano lui, si muovono come lui. Persino Roberto Benigni risparmia sulle battute e fa il verso al padrone di casa.
Ecco, in un prossimo spettacolo del più grande showman dopo il weekend sarebbe bello che la vecchia regola del varietà fosse rispettata: ognuno resta fedele al suo personaggio.
E poi Fiorello è così piacevolmente debordante che si può anche risparmiare sugli ospiti.

Fiorello e la novità di una tv antica

Perché Fiorello piace? Perché è rassicurante. Perché propone una tv antica che, dopo anni di buio catodico, sembra quasi nuova.
Con la sua verve da animatore – un tempo si sarebbe detto da animale da palcoscenico –  coinvolge anche i clienti più svogliati: grida, saltella, ripete le battute per i distratti. Dà soddisfazione a quelli delle prime file, ammaestrati per una comparsata a favore di telecamera, e suona la sveglia a quelli che sonnecchiano in fondo, i follower di Twitter.
E soprattutto è talmente bravo da spacciare l’acqua calda per novità dirompente. Se più di trent’anni fa Renzo Arbore con la sua “Altra domenica” avesse potuto rubare qualche minuto alla diretta (finta) di Canale 5, lo avrebbe fatto di certo. Solo che allora non c’era il Biscione e la competizione tra le reti televisive era solo una questione di lottizzazione.
Fiorello è un gran cazzeggiatore e ha il merito di riuscire a portare sul piccolo schermo tutti i suoi pensieri trasversali. Ogni tanto ci azzecca (geniale la trovata di fregare Mimmo Foresta alla D’Urso), ogni tanto no (quella con Caparezza si capiva a distanza che era una marchetta discografica o qualcosa del genere).
Alla fine ci si diverte, come nei vecchi varietà dove tutto era in qualche modo annunciato, anche le sorprese, e dove la serena professionalità degli autori garantiva un intrattenimento garbato.
#ilpiùgrandespettacolodopoilweekend è un programma che merita perché, almeno per una volta, vale l’investimento economico: belle scenografie, ospitate non banali, orchestra tosta, regia senza fronzoli.
Unico interrogativo: che lo hanno pagato a fare Daniel Ezralow?