Ok, per il pentito il prezzo non è giusto

L’articolo pubblicato su Repubblica.

Il collaboratore di giustizia Pasquale Di Filippo ha ragione a indignarsi a causa della serie tv “Il cacciatore” che lo ha svelato agli occhi della figlia quattordicenne come killer spietato di mafia. Evidentemente a casa non hanno un computer o uno smartphone e nessuno si è mai sognato, prima di quella sciagurata fiction, di digitare il nome del capofamiglia: forse la località segreta è talmente segreta da non essere più manco località. Di Filippo ha intenzione di far causa alla Rai che gli ha accollato qualche crimine di troppo: può accadere di sbagliare quando si ha a che fare con grandi quantità, ma per questo esiste la legge ordinaria. Ciò che invece resta ai margini della vicenda sono due dubbi. Perché l’incolpevole ragazza non è stata preparata per tempo a una realtà complicata? E soprattutto com’è che non è stato ancora trovato un modo per premiare il “pentito” del “prezzo altissimo pagato per contribuire a fare giustizia”? Evidentemente scontare solo dieci anni per quattro omicidi non è stato abbastanza.  Insomma ci vuole una serie tv ad hoc: Very Stranger Things.

Perché Rigopiano è una tragedia da film

Raccontare imprese, tragedie, vittorie, sconfitte, scommesse, scandali non è un delitto. È un mestiere che ha varie sfaccettature: lo si può fare con un occhio al qui e adesso su una pagina di giornale, lo si può fare con la lente di ingrandimento per un’inchiesta o un approfondimento, oppure lo si può fare costruendo una storia più o meno liberamente ispirata alla realtà in un romanzo o in una fiction. Funziona così da sempre, da quando è stata inventata la narrazione, cioè la vita.
La levata di scudi contro la fiction di Pietro Valsecchi sulla tragedia di Rigopiano è quindi figlia di un tempo di indignazione prêt-à-porter e anche di un certo pecoronismo in cui non è importante fermarsi a pensare ma seguire il flusso, dichiarare senza esitazione prima che qualcuno arrivi prima. Il disastro dell’albergo sommerso e devastato dalla valanga sul Gran Sasso è innegabilmente una storia incredibile da raccontare, da indagare, da decostruire e rimontare. Perché la cronaca non è colpa di chi la racconta, perché l’anima dei narratori ha il lasciapassare dell’Arte che, come tutti sanno, non si cura dell’etica. E per fortuna!
Se avete tempo leggetevi questo vecchio articolo di Claudio Magris sul mestiere degli scrittori.
Quindi non lasciatevi prendere dalla compulsione di critica e prima di dare un giudizio su questa vicenda pensate ai drammi del nostro tempo che hanno ispirato romanzi, film, serie tv. Li avete letti, visti e vi sono piaciuti o meno. Ma non vi siete sentiti sporchi. Magari perché eravate in era pre-social oppure perché nessuno aveva avuto il tempo e la voglia di piantare il seme del pressapochismo che genera la pianta della superficialità.
Rigopiano è una grande tragedia italiana. Ma può essere anche un gran film o un romanzo ben scritto. Basta giudicare a cose fatte. Recensire le intenzioni è un atto estremo di egoismo. E di ignoranza.

La mafia che fa male alla tv

tv fa maleLa mafia nelle fiction fa male all’antimafia? Secondo me, no. La mafia nelle fiction fa male alle fiction se raccontata male. Io ad esempio non guardo “Gomorra” non perché mi appello a un barlume di etica, ma perché non mi piace. Non mi piace, in generale, la maniera italiana di narrare in tv: povertà di sceneggiature, ritmi imbarazzanti, scarsa credibilità dei personaggi.
C’è poi un aspetto particolarmente irritante per chi, come il sottoscritto, è un buon consumatore di fiction d’oltreoceano: l’ossessione del messaggio. Nei nostri prodotti televisivi c’è sempre la smania di consegnare al telespettatore un plico virtuale nel quale sta scritto in bella grafia l’intendimento degli autori. E, badate bene, non si tratta di un (sano) patto di verosimiglianza, ma di una giustificazione quasi sempre pelosa: ti sto raccontando tutto ciò perché tu sappia che questo è male, non ti fare venire in mente strane idee e magari domani ti metti a sparare a poliziotti e magistrati; perché noi siamo i buoni anche quando mitragliamo le saracinesche con le nostre armi caricate a salve; e ricordati che quello che vedi non è sangue vero, ma un liquido rosso speciale che non irrita, si smacchia in lavatrice e fa pure bene alla pelle.

Continua a leggere La mafia che fa male alla tv

Sottotitoli

zaia_montalbano

Da Gianfalco.

Al ministro Luca Zaia piacerebbe che le fiction della Rai fossero in dialetto, o coi sottotitoli.