Chiacchiere e croficisso

Nelle critiche di blasfemia al film di Ficarra e Picone “Santocielo” c’è tutta la ruggine degli ingranaggi che regolano il rapporto della religione, la nostra religione, con la vita sociale, la nostra vita sociale. L’uscita di don Mario Sorce, parroco della chiesa del Sacro Cuore di Gesù di Agrigento che è anche direttore del Servizio di pastorale sociale dell’arcidiocesi di Agrigento, ha più a che fare con un’azione di polizia morale che con il diritto di critica. Perché la critica si basa sul metro artistico, sulla tecnica e l’effetto, persino sul gusto, ma non grida allo scandalo, non induce al boicottaggio in nome di Dio: soprattutto non traccia la storia come ci piacerebbe leggerla. È questo il bullone arrugginito che blocca lo scorrere degli ingranaggi tra noi, molti di noi, e la religione, per chi crede.
L’arte – che è quella di Ficarra e Picone, come è quella di chiunque usi la fantasia per creare occasioni di racconto – non prevede suggeritori esterni che raddrizzino i muri, correggano la rotta. L’arte è appunto (anche) muri stori e rotte perigliose.
Non capirlo, o far finta di non capirlo, è un gesto da polizia morale o comunque da ignoranti. Lo spettatore può dissentire quanto vuole, del resto gli autori hanno come primo obiettivo quello di mirare ai sentimenti, di scuoterli, di far cadere le foglie secche. Ma l’uomo di chiesa, che parla per il gregge (perché lui ancora considera pecore i suoi “seguaci”) avrà sempre l’idea di un auditorium muto, al limite belante, al quale indicare la retta via: immaginando un mondo di rette vie che paiono correre all’infinito e invece si perdono sino a dissolversi nel buio della grettezza.

P.S.
Il prete di cui sopra ha bocciato il film senza nemmeno averlo visto. Quindi ha espresso un giudizio alla cieca: chi non sa, non può parlare di ciò che non sa.
Insomma tutta la polemica nasce dalla presunzione di chi giudica senza conoscere e andrebbe liquidata con un’alzata di spalle. Ma, essendoci di mezzo la religione, è bene impegnarsi a distinguere le chiacchiere dai crocifissi.

L’indiscreta grandezza di Ficarra e Picone

L’articolo pubblicato su Repubblica Palermo.

C’è qualcosa di rassicurante nei prodotti di Ficarra e Picone, più o meno riusciti che siano. Ed è qualcosa che ha a che fare con un concetto antico e desueto, col valore del sano artigianato, di un’opera fatta con ingredienti ben scelti e senza manie di grandezza. Genuino potrebbe essere la parola adatta. Ma forse non basta.

In “Incastrati”, la prima serie del duo su Netflix che sta riscuotendo (meritato) successo, c’è tutto il simbolismo anti-simbolico che ha reso Ficarra e Picone unici nel panorama cinematografico nazionale. Un simbolismo che affonda le unghie nei luoghi comuni di Sicilia – prima di loro solo la coppia Cerami-Benigni era riuscita a decostruirli con effetti esilaranti – e li squarcia liberandoli nella loro essenza di posti, quindi luoghi, inutilmente affollati, quindi comuni. In questa serie si gioca col fuoco degli spettri siculi del tragico triangolo: morte, mafia, tradimento. Ci vogliono arte per maneggiare un sangue che non macchia la trama, furbizia per rendere simpatici i mammasantissima di Cosa Nostra senza aver paura della moralismo idiota dei social, abilità di scrittura per gestire un tradimento coniugale devastante. Ma è questo che Ficarra e Picone sanno fare meglio degli altri: usare il dramma per far finta di riderne e invece misurarne il peso. “Incastrati” è una storia piena di rimandi al nostro quotidiano meno presentabile: il fardello delle bugie, la sottovalutazione dell’amore, l’abitudine che genera solitudine, la voglia di essere altri senza il coraggio di esserlo. È soprattutto la non-rivincita degli eroi, in una terra che ha anche bisogno di armarsi di una risata per scegliere di imbarcarsi nell’ennesimo impegno civile.         

A forza di compleanni…

L’altro giorno ho visto l’ultimo, entusiasmante, spettacolo di Ficarra e Picone. C’è, tra le tante, una battuta formidabile: a forza di compleanni, si muore.

Elogio di Ficarra e Picone

Qualche giorno fa ho rivisto il film Nati stanchi di Salvo Ficarra e Valentino Picone. E ho riso come quando lo vidi la prima volta.
Ficarra e Picone sono, secondo me, il migliore duo comico in circolazione nel nostro paese. Alla mimica, che evoca i grandi Franco e Ciccio, aggiungono un garbo umoristico da fuoriclasse. Davanti alle loro gesta, anche quando la risata è grassa, non c’è mai una caduta di stile, non si perde mai di vista la raffinatezza. In un periodo di tv e cinema sguaiati, dove l’effetto punta più allo stomaco che al cervello, i loro spettacoli, i loro film, le loro apparizioni in video rimandano a un amabile clichè che di ripetitivo ha soltanto l’appuntamento con la battuta ben costruita. Il loro artigianato artistico mi ricorda molto quello di un illustre attore palermitano, Pino Caruso, che – per mia felicità – è proprio nel cast del prossimo film di Ficarra e Picone, La matassa.
Se fossi il direttore di una rete televisiva costruirei uno show settimanale con questo trio, magari il sabato sera. E annullerei tutti gli impegni per non perdermeli.

La favola del sindaco invisibile

Gianni Allegra per i lettori di questo blog
Gianni Allegra per i lettori di questo blog

Con un atto di ammirevole coraggio, il sindaco di Palermo Diego Cammarata è apparso in pubblico per raccontare alla popolazione una favola di Natale travestita da messaggio di fine anno. Coraggio sì, e anche un’indomabile fantasia. Il primo cittadino, smessi i panni magici che ne fanno un eroe dell’invisibilità, ha affrontato con determinazione tutti i punti dolenti della sua amministrazione.
I conti sballati che rischiano di portare il comune al tracollo sono un’invenzione della magistratura contabile, comunista, controrematrice e deviata (i colonnelli della P2 erano la Banda Bassotti al confronto).
Il pasticciaccio delle Ztl è stato causato dall’assenza di Put (che non è quello che potreste pensare, ma l’acronimo di Piano Urbano del Traffico): che volete che sia aver riscosso il pagamento di un balzello senza un’adeguata copertura normativa?
L’immondizia che inonda le strade è in realtà un metodo per limitare l’inquinamento: più difficile la circolazione, meno auto in giro.
L’azzeramento di manifestazioni culturali è una strategia per rilanciare l’economia dei bar (Ficarra e Picone insegnano): perché perdere tempo con una mostra quando con un paio di cocktail Martini si viaggia con la fantasia che è un piacere?
La stabilizzazione dei precari è irrinunciabile: se si mandano a casa 3.500 lavoratori che per di più tengono famiglia, come si gestisce il consenso elettorale? L’unica politica del rigore conosciuta è quella di certi arbitri che fischiano a casaccio…
Infine il sindaco Cammarata ha chiuso la sua esibizione cantando: “A mille ce n’è, nel mio mondo di fiabe da narrar…”.
Applausi e brindisi, dicono. Sul brindisi nessun dubbio.