Il finto fasto del Festino

image Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.

Facciamo un gioco. Trovate qualcuno che vi legga questo articolo mentre voi chiudete gli occhi e immaginate. Immaginate una città che si prepara all’appuntamento con la Grande Festa per la sua santa patrona, in un tripudio di tensione emotiva e devozione. La tensione è talmente palpabile da venir sperimentata, sotto forma di calci, sulla schiena dell’organizzatrice del mega evento, a conferma del fatto che, alla nostra latitudine, certi riti pagani accomunano sfilate e minacce, cazzotti e mortaretti. La devozione, poi. Per immergersi in toto nell’estasi del culto occorre un’ulteriore spinta dell’immaginazione, quella che rende complementari la devozione con la tradizione, la preghiera con la richiesta esplicita. Cosa pensavano di fare quei devoti lavoratori (socialmente più pericolosi che utili) arrestati perché minacciavano di bloccare la Grande Festa, se non perpetrare la tradizione di una grazia che qui si ritiene dovuta? Suvvia, la minaccia in fondo non è altro che una forma di preghiera un po’ spinta.
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Viva Palermo con quel che ne consegue

Ieri dopo quattro anni Palermo ha ritrovato un sindaco nel giorno della più importante festa della città. Un sindaco che ha lanciato, dal carro della Santuzza, quelle poche parole incatenate che suggellano un rito secolare. Le tradizioni sono il cemento della civiltà e per troppo tempo sono state negate alla mia città. Ne scrissi qualche tempo fa e mi sembra ieri. Solo che per fortuna non lo è. Ieri c’era un sindaco in carne e ossa e non un fantasma.

Daverio incazzato

Non sono ne comunista ne stalinista, sono convinto giacobino, ed ho risposto alla provocazione con una giusta contro provocazione. Solo dei fessi potevano non capire. Solo dei perversi potevano fingere di non aver capito.
Cari palermitani, vi ho voluto bene, da ingenuo idiota. Ora so che non ve ne poteva fregar di meno. Ora so che mi sorridevate come ad un turista demente e pensavate: povero cretino! Ora ho imparato. Passo e chiudo per sempre. Mi porto come ricordo imperituro il grido del ragazzo con telecamera che mi urla : “dacci i tuoi soldi! “.

Philippe Daverio si incazza su Rosalio.

Signor sindaco, pensi a governare

Diego Cammarata, in un’intervista al Giornale di Sicilia, dice che a Palermo c’è una campagna di odio contro di lui o i suoi accoliti orchestrata da “certi blog”.
La sua dichiarazione stimola due riflessioni (ed è già un bel record se si tiene conto che solitamente il suo verbo è un antidoto prezioso contro l’insonnia).

Il ricorso alla scusa dell’odio, come più volte abbiamo scritto, è un escamotage per non darsi la pena di argomentare. Il sentimento che si fa ragione sociale è un totem alla scarsezza della politica: quando non si sa cosa dire, si dice che c’è il male, che il diavolo esiste e che se le cose non vanno bene la colpa è dei cattivi.
L’odio delle lotte di classe, l’odio che arma il simile contro il meno simile è un’altra cosa, appartiene a un’altra (brutta) epoca e ha un’orribile caratteristica: fa solo vittime collaterali. In ogni caso, quindi, se mai esistesse il sentimento sociale di cui blatera Cammarata, lui dovrebbe ritenersi salvo e i più preoccupati dovremmo essere noi.

Il secondo punto su cui vi invito a riflettere è questo: il sindaco di Palermo identifica in “certi blog” (chissà quali…) l’origine di tanto odio. Anche questo è un tema di cui abbiamo discusso nel corso degli anni. C’è nelle comunità internettiane una componente particolarmente aggressiva e anche un po’ vigliacca che usa termini violenti, che non conosce argomentazioni civili e che si crede forte solo in virtù di un presunto anonimato. Ma è un gruppo di minoranza che è quasi sempre bannato dai blog seri. Quindi ha un peso irrilevante nella genuinità delle opinioni che circolano online.
Perché allora Cammarata accusa i blog? Badate bene, credo che sia la prima volta che il sindaco di Palermo ci additi pubblicamente come i veri colpevoli di chissà cosa.
Cammarata sa che ormai non può più contare sull’appoggio della stampa ufficiale, da sempre addomesticata alle esigenze del Palazzo, ed è costretto a rispondere alle crescenti lamentele, alle contestazioni, alle proteste. Una bella fatica. Però, siccome le critiche più puntuali gli arrivano dal web, l’unica arma che gli è rimasta per difendersi è quella della delegittimazione della sola forza di opposizione seria che esiste in questa città: quella dei blog.

Signor sindaco, qui nessuno ha fatto e farà nulla di male. Il dissenso non c’entra col codice penale e ancora meno coi sentimenti. I blog sono una risorsa, non l’inferno.
Vada avanti e governi serenamente con la trasparenza che la caratterizza.
Trasparenza fisica, intendo.

Miracoli? La Santuzza ha già dato

Ecco gentile sindaco, faccia di Palermo una città che non può essere dileggiata per un voto in controtendenza. La renda inattaccabile, preziosa per i suoi talenti inespressi. La vera scommessa è portare alla luce e valorizzare ciò che rimane nascosto. Faccia meno inaugurazioni e più passeggiate. Ascolti la musica che suonano i suoi concittadini, legga le loro parole, corra con loro se corrono, li aiuti se inciampano. Se io fossi lei vorrei conoscerli tutti, proprio tutti.

Io medesimo sottoscritto, tre anni fa su questo blog.

Negli ultimi anni l’appuntamento col Festino di Palermo è diventato come l’appuntamento di un malato terminale col suo medico: i miglioramenti sono affidati ai miracoli. Solo che in tal senso la Santuzza ha già dato.
E’ vero che questo sindaco non c’è più. Ma, sommessamente, molti di noi se ne erano accorti da un anno, forse due, o più.
Fa impressione rileggere certe cronache datate e accorgersi che nel regno di Cammarata Diego il tempo serve soltanto a invecchiare.

Ma Daverio?

L’attimino fuggente
di Giacomo Cacciatore

Ho letto ieri su Repubblica Palermo che Philippe Daverio – consulente artistico ed esotico della giunta Cammarata – messo alle strette in merito al pasticcio dei tagli al festino di Santa Rosalia si è levato qualche sassolino dalle scarpe nei confronti dei palermitani. Non ho difficoltà a ribadire che il personaggio non mi sta simpatico. Tanto più mi stupisco di dovergli dare ragione su alcuni punti del suo sfogo pubblico.
Daverio, per esempio, afferma che “c’è una città parassitaria che pensa che l´assistenza sia un obbligo”.
Vero.
Aggiunge: “La maggior parte dei palermitani è simpaticissima, ma poi c’è una parte della città, rappresentata soprattutto da certi politici, fatta di parassiti. Infine c´è una grande assente, la società civile. Qui c’è solo il popolo”.
Vero.
Poi, in un faccia a faccia con un gruppo di lavoratori della Gesip che prospettava di non far muovere né carro né Santa in occasione del festino: “Se volete protestare saliteci sopra e distruggetelo, ma tanto non avete le palle”.
Più che vero. Da noi can che abbaia non morde. Specialmente se, alla fin fine, deve leccare la mano benevola del padrone.
Conclusione: Ma davvero sono un daveriano? Possibile, se non fosse per qualche punto che mi va di aggiungere a margine della ramanzina del farfallinato francese. Si tratta di semplici congetture.
Primo: a molti – forse ai più – sfuggono le ragioni della nomina di Daverio a consulente del comune di Palermo.
Secondo: a molti – forse ai più – sfuggono i risultati del lavoro di Daverio in veste di consulente.
Terzo: molti – forse i più – staranno magari pensando che quando si parla di parassiti che succhiano soldi della collettività senza ripagarla con un vantaggio, un bene o un servizio tangibile, la nazionalità e la cittadinanza poco importano. Cambia solo il modo di pronunciare la “erre”, ma la categoria zoologica è sempre quella.

Ma io sono per il Festino low cost

Ad essere sincero, l’idea di un Festino low cost a me piace. L’esigenza di stringere la cinghia potrà consegnarci una celebrazione più felice, perché in linea coi tempi. Non un’ostentazione ma una semplice, sentita rievocazione. Ogni epoca ha la sua peste e i suoi riti per estinguerla. Oggi per cacciare i ladroni non servono più soldi, ma più dignità.
Forse un Festino più composto è il modo ideale di invocare un futuro migliore.

Piange Palermo

Foto di Tony Siino, da Rosalio
Foto di Tony Siino, da Rosalio

L’attimino fuggente

di Giacomo Cacciatore

Rosalia mi perdoni, ma il festino della patrona non l’ho mai potuto digerire. E in fondo, non è nemmeno responsabilità della santa.  E’ la premessa drammatica della celebrazione che non mi esalta: i guai li risolve la provvidenza. Niente può l’iniziativa.  Cade la peste su Palermo. Le madri piangono i loro figli. Gli uomini piangono figli, madri, nonni e cugini. I più arrabbiati piangono – e basta – l’egoismo dei potenti (che cosa mai avevano promesso nelle precedenti elezioni?) che hanno mezzi e astuzia sufficienti per cercarsi squadre di cerusici che li preservino dal male nero, e ognun per sé, eccetera. Tutti quanti piangono e strapiangono nell’attesa della Santuzza che innaffi la città di benedizioni anti-peste. Intanto muoiono, si denudano il petto, boccheggiano, poetano, si contorcono, corrono senza direzione.  Nella proverbiale Oslo, sarebbe saltato fuori un medico benefattore della collettività che avrebbe cavato un antidoto da una muffa. Un santuzzo.  A New York, avrebbero prima costituito un gruppo di scienziati no-profit impegnati a lottare contro l’epidemia e spodestato sindaco o presidente marrani. Uno staff di santuzzi.  Poi, a cose fatte, avrebbero pianto. E pregato. A Palermo, persino nelle favole antiche, si tiene conto della più archetipica risorsa del siciliano: l’assistenzialismo, più o meno disatteso. Cammarata, distratto com’è,  ha fatto male a non salire sul carro. La Santa c’entra pochissimo con i lazzi i frizzi e i palloni della notte del quindici luglio. I veri protagonisti del festino sono quelli come lui.

Il sindaco che non fa il sindaco

Festino Palermo

Si avvicina il giorno fatidico per il sindaco di Palermo. Quello in cui la tradizione sopperisce alle necessità della politica, l’incanto popolare sommerge l’occhiata dell’invidioso, il piccolo ruolo di un uomo diventa ingranaggio della grande storia di una città.
Il 14 luglio a Palermo si celebra il Festino di Santa Rosalia, festa di cori e di cortei, di fuochi e di sudore. Dallo stuolo adorante che accompagna il carro con la santa un solo uomo è legittimato a ergersi per gridare – secondo il rito secolare – cinque parole di augurio e devozione (“Viva Palermo e Santa Rosalia”): il sindaco.
Lo scorso anno, Diego Cammarata, che di Palermo è ancora sindaco, è riuscito nell’impossibile: fare del suo giorno fatidico un giorno qualunque di invisibilità, sottraendosi alla cerimonia dell’augurio.
Quest’anno presenterà certificato medico?