Falcone, Borsellino e i soloni dell’anti-antimafia

Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.

Rita e Salvatore Borsellino chiedono che gli avvoltoi della politica restino lontani dalle commemorazioni per la strage di via D’Amelio. In fondo chiedono qualcosa che non dovrebbe essere pesato come qualcosa di speciale. Notizia sarebbe il contrario: venite a noi, onorevoli farabutti, strumentalizzate pure i brandelli di memoria dei nostri cari. E invece fanno rumore perché in un certo sentire comune si realizza finalmente il sogno di una divisione nell’antimafia più sacra, quella dei parenti delle vittime. Continua a leggere Falcone, Borsellino e i soloni dell’anti-antimafia

Miccoli, la mafia e la stupidità

miccoli
Il fotomontaggio di Giuseppe Giglio per diPalermo.it
Date retta, il vero colpo mortale sarebbe stato scovare nel giocatore, in questo giocatore, un limpido, genuino, disinteressato, spirito antimafia, un afflato che possa in qualche modo permettergli di valutare la vaga differenza che passa tra giusto e sbagliato, tra bene e male.
Su diPalermo, Francesco Massaro ci va giù duro con Fabrizio Miccoli. Io sono sempre stato un miccoliano di ferro e solo adesso mi rendo conto di aver sopravvalutato (e per coincidenza siamo a un tema speculare rispetto a quello di ieri) un calciatore quantomeno incauto e stupido. Perché, al netto delle questioni penali che l’ex capitano del Palermo dovrà affrontare, il suo problema appare essere quello della stupidità, della grettezza, della superficialità. E ciò non lo salva dalla vergogna.

Punti di vista

Non so voi, ma io in una rosticceria che si chiama “Peli e penne” non ci comprerei niente.

Bastava telefonare a Biagio Conte

Ovunque è un fiorire di articoli e commenti sulla anziana signora, senzatetto e forse con qualche problema psichico, che ha spogliato l’albero Falcone. Ho letto toni di sollievo per il fatto che la mafia non c’entrava e toni enfatici per il fatto che, non entrandoci, la mafia non era riuscita a intaccare la traballante volontà della signora.
Alla fine, un monumento alla lotta alla mafia è stato oltraggiato senza che ci fosse qualcuno a sorvegliare.
Un monumento è di tutti, non servono guardie armate intorno. Se uno vede un altro che lo danneggia, chiama la polizia, interviene, grida, telefona.
Invece qui sono trascorsi giorni in cui l’apparato istituzionale si è messo in movimento per stigmatizzare, dichiarare, porre in essere.
Sarebbe stato sufficiente il fischio di uno dei vigili urbani a passeggio per via Notarbartolo (ce ne sono tanti, ogni giorno, che non fanno un tubo). Invece si è arrivati al presidente della Repubblica.
C’era sin dall’inizio il filmato della clochard: bastava dirlo subito. E magari telefonare a Biagio Conte.
Solo che così non si sarebbe potuta scatenare l’indignazione prêt-à-porter di cui molti hanno bisogno fisico, come di un tiro di cocaina.
Non è solo la mafia che ci procura danni, ma anche la disattenzione verso i nostri simboli. E, quel che è peggio, basta la prima psicolabile di passaggio a scatenare il finto panico.

Ricordare stanca

via-damelio

C’è il rischio che l’anniversario per la strage di via D’amelio vada semideserto. Che le celebrazioni per ricordare la morte del giudice Paolo Borsellino e degli agenti Agostino Catalano, Manuela Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina passino sotto il silenzio della politica e dell’istituzione giudiziaria.
Ricordare stanca, soprattutto quando la memoria deve essere esercitata senza che ci siano eventi collaterali che facciano da stimolo. Infatti ciò che accade per Borsellino non accade per Falcone. Ogni anno, il 23 maggio c’è una mobilitazione che non ha paragoni con ciò che si verifica il 19 luglio. Perché questa disparità?
Io un’idea me la sono fatta (e so di non avere l’esclusiva).
Rita Borsellino non è Maria Falcone: tutto qui.

Sui giovani e la legalità

L'illustrazione è di Gianni Allegra
L'illustrazione è di Gianni Allegra

Ho trascorso due giorni con alcuni studenti di Palermo per discutere di legalità, lotta alla mafia ed ecologia. Mi aspettavo di incontrare ragazzini moderatamente svogliati  – in fondo stavano lì a parlare con me anzichè sorbirsi una lezione di geografia o matematica – invece mi sono trovato davanti a una platea attenta.
Molti di loro non erano neanche nati nel 1992, l’anno delle stragi di Cosa Nostra, la cui liturgia commemorativa si ripete proprio in questi giorni. Pensavo che i ragazzi avessero di queste tragedie una concezione storica, non emozionale: del resto un evento, per quanto epocale, perde colore se non passa sulla pelle.
I loro volti e le loro idee mi hanno fatto capire che sbagliavo.
Gli studenti che ho incontrato usavano il senso critico come un’arma, nel migliore dei modi quindi. Alcuni puntavano a mettere in dubbio le mie tesi, altri le usavano per affilare le loro. Quasi un dialogo tra adulti. E degli adulti ho ravvisato, in quelle testoline brillanti, un certo pessimismo.
“Fino all’anno scorso volevo fare il magistrato – mi ha detto una quindicenne – Ora vedo come vanno le cose e mi chiedo: che senso ha?”.
Ho risposto che bisogna sempre guardare avanti e che lo scoramento è vietato ai minori di 40 anni. Lei mi ha guardato con compassione, come a un padre che racconta ancora la favola della cicogna-taxi per i neonati.
Il senso di sfiducia in un giovanissimo è, nella mia scala di valori, comparabile a un’emergenza nazionale.