Spuntò un bastone

Da El Pito a Ballota.

La notizia è un bastone. Che oggi ho raccattato e portato con me tutta la giornata e che, al momento, è nella mia stanza a riposare. Però il contesto della notizia è un incastro di tre riferimenti.

Il primo è che a me non piace camminare con le mani impegnate (rif.A).
Il secondo è che nel Cammino del Nord c’è il problema dei cani liberi, non sempre innocui (rif.B).
Il terzo è che, come alcuni di voi sanno, io soffro di Doc cioè di Disturbo ossessivo compulsivo (rif.C).

Stamattina, al ventitreesimo giorno di cammino, ho visto questo ramo spezzato, dritto e forte. Il rif.A mi suggeriva di lasciarlo lì: che poi inciampi (a me il bastone non aiuta nel camminare, come qualunque cosa che uno si porta appresso controvoglia), ti fai male e ci fai una figura di merda a spiegare che ti sei rotto perché non sai fare due cose contemporaneamente, camminare e scandire i passi col bastone. Ma era il rif.C a dare i maggiori problemi. Il mio Doc che si alimenta di rituali – dai colori all’igiene, dalle geometrie al cibo – è refrattario a certi cambiamenti.

Ve la faccio breve perché l’argomento è tanto serio quanto sterminato: la mia mente è in alcuni casi infastidita da ciò che è dispari, o meglio da ciò che non è simmetrico. Esempi: se in moto guardo lo specchietto di sinistra, automaticamente mi viene da guardare quello di destra; se faccio una rampa di scale che battezzano il piede destro per il primo passo, devo necessariamente pareggiare il conto fermandomi e riavviandomi con il piede sinistro.

Ecco, il bastone è dispari. E io lo passo ogni tot di tempo da una mano all’altra perché altrimenti i miei pensieri ne risentono. Tanto sono solo e nessuno si accorge di questa follia della quale voi ridete e io no.

Promettendo che un giorno vi racconterò alcuni risvolti esilaranti di questo problema che esilarante proprio non è, vi riporto alla scena iniziale, quella in cui ho visto il ramo.

Ho pensato: è ottimo per il rif.B. I cani liberi, nella mia esperienza nel Cammino, sono un problema. O meglio lo sono i loro padroni, che ritengono che il mondo venga dopo le esigenze del loro animale. Una settimana fa in Cantabria mi sono trovato davanti una coppia di ragazzi terrorizzata, lungo un sentiero, perché un cane bello grosso gli abbaiava contro accorciando la distanza. Il suo padrone rideva e fumava in mutande (eravamo nei pressi di un camping), e non faceva nulla per richiamare il cane. Mi sono avvicinato e gli ho detto di riprendersi l’animale perché quei giovani si stavano squagliando tra le felci. Lui, sempre fumando, ha borbottato qualcosa tipo: ma qui siamo in uno spazio aperto. Appunto, ho risposto io. E ho raccattato da terra un bastone di legno. Tutto ciò mentre il cane era ormai a pochi metri dai due poveri ragazzi ai quali si stava fermando il respiro in gola.

Ho alzato il bastone e a un certo punto ho capito che non dovevo dirigermi contro il cane, ma contro il padrone. Della serie: ok viva gli animali, ok i cani sono migliori dell’uomo, ok altre menate da video social virali, ma io oggi con te me la sbrigo. Ebbene la questione si è risolta improvvisamente con un fischio al cane e un guinzaglio che il tipo teneva, tipo riempitivo, nelle mutande.
Insomma ecco perché adesso quel bastone riposa nella mia stanza in hotel.

Perché il cammino è lungo e l’egoismo di certi uomini ha bisogno di argomenti solidi.

(20 – continua)

Le altre puntate le trovate qui.

A questo argomento è dedicato il podcast in due puntate “Cammino, un pretesto di felicità” che trovate qui.

I pensieri e il latte +

Da Avilés a El Pito.

Da Avilés a El Pito è tutto un estenuante saliscendi di colline verdi, l’unico vantaggio è che finalmente torna il silenzio dopo le tappe cittadine di Gijón e Avilés. E il silenzio durante il Cammino è tipo il “latte +” di “Arancia Meccanica”, una droga dolce e pericolosa, depurata dalla componente di istigazione alla violenza.  

Provo a spiegare.

Il silenzio è qualcosa a cui non siamo abituati, nel senso che lo conosciamo ma non lo sappiamo usare. Dormiamo nel silenzio, studiamo o ci concentriamo per fare qualcosa nel silenzio quando lo troviamo, ma non ci capita di vivere il silenzio. Il motivo per cui ho scelto di fare il Cammino del Nord da solo (tranne alcune piacevoli e occasionali condivisioni di passi ed esperienze) è proprio questo: io che sono un chiacchierone, un bordellaro di prima specie, volevo sperimentare il “latte +” della relazione con se stessi. Così mi sono imbarcato in questi trentatré giorni di dimostrazione pratica del fatto che nascere solisti non significa vivere da solitari e magari morire soli (anche se sull’atto finale eviterei ogni forma di facile entusiasmo).

Il fattore X che inocula nelle vene di questa mia modestissima sperimentazione il virus dell’imprevedibilità è legato alla natura degli spagnoli, che quando si mettono di impegno riescono a essere più rumorosi e fastidiosi degli italiani. Ad esempio, ora sto scrivendo nell’unico bar- ristorante di El Pito (il groove sta a Cudillero, nella foto, due chilometri e mezzo più avanti e soprattutto 150 metri di dislivello sotto) e sono circondato da maschi ubriachi e donne che giocano a carte, accomunati da una livella sensoriale: non parlano, urlano.  

Eppure il silenzio accumulato fa il suo lavoro poiché ti ha messo dentro tanti di quei semi che non ci sarà tempesta di rumore in grado di impedirgli di germogliare. Faccio un discorso serio, una volta tanto in questi diari di cazzeggio. La fatica, la solidità delle intenzioni, il miraggio dell’obiettivo, una volta sul Cammino, ti spiegano che non c’è nulla di eroico a fare tutti questi chilometri a piedi con lo zaino in spalla e la tua vita sul groppone. C’è solo qualcosa di grande, di infinitamente grande solo per te stesso.
Perché ti fai un dono unico – e quando ti ricapita un’occasione simile. Tu che vivi di link all’emozione di massa, ti ritrovi in uno stato di grazia che non è ascetismo ma, al contrario, comunione: con quel te stesso che magari non frequentavi da secoli, con una compagnia improvvisata, con un pensiero che non è solo tuo, con una prospettiva che ti faceva paura o peggio schifo.

Ogni giorno i miei amici mi scrivono per sapere come sto, dove sono arrivato e per verificare il mio stato vigile. Oggi mi hanno scritto: “Cominciamo a preoccuparci. Quando scatta il passaggio tecnico da viaggio a latitanza?”. Ho risposto semplicemente che è bello che qualcuno ti pensi, perché i pensieri ammuttano, cioè spingono.

È questa una grande lezione del Cammino. I pensieri sono benzina ecologica, sono fisica ancor prima di metafisica, sono una forza di propulsione.

(19 – continua)

Le altre puntate le trovate qui.

A questo argomento è dedicato il podcast in due puntate “Cammino, un pretesto di felicità” che trovate qui.