Tra leoni, grilli e pecoroni (molti i pecoroni)

Giorgio Napolitano

Il governo di Re Giorgio II, l’unico sovrano senza corona che succede a se stesso in una repubblica monca, inizia con un ruggito e qualche artigliata. E poco importa se la mano è tremante e lo sguardo è velato dalle lacrime. Il messaggio al Paese e alla Storia è chiaro: non siete stati in grado di muovere un passo da soli e siete stati costretti a chiedere aiuto a un vecchio di ottant’anni, quindi ora si fa come dico io e non rompete i coglioni.
Napolitano è, ironia della sorte, il vero artefice di una nuova stagione politica in cui ci sarà un premier con una tabella di marcia già fissata dal Presidente-Re e in cui la politica sarà chiamata a un’inusitata prova di responsabilità.
La parte più interessante del discorso di insediamento mi è parsa quella dedicata al Movimento 5 stelle con un esplicito distinguo tra piazza e Parlamento, tra rete e democrazia. Il resto (l’appello alle larghe intese, le lodi a Monti, le accuse velate all’innominato Berlusconi, la dichiarazione di inefficienza indirizzata all’invisibile Bersani) fa parte di un copione che sarà sviluppato con soporifera dovizia di dettagli dai giornali: e io non voglio conciliarvi il sonno, adesso.
I grillini dunque. Continua a leggere Tra leoni, grilli e pecoroni (molti i pecoroni)

Da Ratzinger a Bergoglio, in una sola frase

bergoglio ratzinger

Nel suo discorso di insediamento Papa Ratzinger cercò di toccare le corde dell’emozione con queste parole.

 La Chiesa nel suo insieme, ed i Pastori in essa, come Cristo devono mettersi in cammino, per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza.

Era il massimo che potesse dire, lui, Papa teologo, tedesco, freddo e distante come un extraterrestre in scarpette rosse.

Oggi Papa Bergoglio nel suo discorso di insediamento ha volato basso.

Non dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche della tenerezza: il prendersi cura chiede bontà. Il vero potere è il servizio, soprattutto dei più deboli e dei più poveri.

Un Papa che fa l’elogio della tenerezza è un genio. Un Papa che identifica nel vero potere il servizio è finalmente un Papa che sta coi piedi per terra.

Cervello Fini


Il succo è che Fini si mostra come l’unico politico (e non) in grado di mettere alle corde Berlusconi. Perché conosce i suoi punti deboli, perché ha costruito con lui un partito per mascherarli, perché è stato satrapo e nemico al tempo stesso, perché non c’è peggior nemico di un ex migliore amico.
Fini sa di avere il ruolo più comodo che un oppositore possa immaginare, quello di leader ragionevole esautorato da una maggioranza irragionevole, e si auto-nomina cavallo di Troia del centrodestra.
Il discorso di Mirabello passerà alla storia perché è di un sofismo meraviglioso (ho sempre subito il fascino dei sofisti). Dentro c’è tutto: il federalismo e i vizi del capo, i giovani e le forze dell’ordine, i giornali e il Tg1, la legge elettorale e la giustizia, la scuola e Gheddafi, la Lega e Almirante.
Fini gioca (e vince) sullo stesso tavolo del suo antagonista: la comunicazione. E’ più bravo di Berlusconi perché sa deragliare con misura, segue un copione sapendo che ogni improvvisazione gli costerà cara. Non urla con la mascella volitiva in fuori, non generalizza, non cerca il consenso plebiscitario. Sa che Mirabello non è l’Italia, ma sa anche che Montecitorio non è più la roccaforte del Nuovo Duce.
Si toglie tutti i sassolini dalle scarpe e non schiuma mai di rabbia: se l’autocontrollo fosse un parametro di una nuova legge elettorale lui vincerebbe a mani basse.
Tutto ciò ovviamente non fa di lui l’uomo nuovo, il faro dell’Italia che spera. Però a vedere Fassino che commenta incerto il discorso come se fosse una vittoria sua, e Gasparri rintronarsi con un inusitato riferimento alle bandiere dei movimenti gay (Tg1, of course), c’è da ricordarsi che quando la situazione è drammatica anche gli aiuti insperati possono essere determinanti.
Se si votasse adesso, Fini rischierebbe di raccogliere più consensi a sinistra che dall’altro lato.
Alle prossime elezioni la sua formazione politica toglierà più voti al Pd che al Pdl.
Scommettiamo una birra?