Martirio quotidiano

C’è un’evoluzione nel metodo Travaglio, quella sorta di cerimonia sacrificale e laica che consiste nel prendere un preconcetto ed elevarlo a fatto acclarato senza inciampare in un minimo scalino di coscienza. È il finto martirio dopo la condanna. Marco Travaglio ha diffamato il padre di Matteo Renzi e un giudice lo ha condannato. Accade, purtroppo, di sbagliare: solo che il Fatto quotidiano ha sbagliato non una, non due, ma tre volte nello specifico dato che sono tre gli articoli contestati. D’accordo, accade di sbagliare e reiterare l’errore. Si può scegliere di chiedere scusa oppure di tirare dritto a testa alta. Invece Travaglio che fa? Usa il suo preconcetto per martirizzarsi da solo, affermando di essere stato condannato per una parola sbagliata inserita in un contesto in cui la sostanza dei fatti era fondamentalmente esatta. Che è come dire: io scrivo che sei un ladro disteso su un campo di margherite, mi condannano per il ladro, ma le margherite c’erano tutte. Poi la ciliegina sulla torta: Renzi non ha mai pagato per le sue balle. E qui si rasenta il sublime, accostando in pieno stile travagliesco un reato (il suo, cioè la diffamazione) a un’eventuale panzana (quella di Renzi) che reato non è.
Gran finale con appello ai lettori del Fatto quotidiano a sostenere il giornale in questo momento così difficile. I lettori rispondono, ed è un sollievo per tutti che un giornale riesca a sopravvivere agli errori di chi lo dirige.

Una storia da manuale

La storia è da manuale. Come probabilmente sapete un “esperto tecnoinformatico, consulente in comunicazione, operatore audiovideo, scrittore, event planner” che si chiama Davide Guida è stato condannato in via definitiva per diffamazione dopo avermi ucciso sul web nel 2011. La sentenza è chiara e in qualche modo rappresenta una pietra miliare dato che parliamo di fake news ante litteram. Quello che apparentemente manca è il movente.
Però quello ve lo ricostruisco io con ragionevole approssimazione.
Esiste un collegamento (di IP) tra il sabotaggio della mia voce su Wikipedia e le provocazioni che si erano accese proprio il giorno prima su questo blog in questo preciso post in cui si parlava della propensione politica del centrodestra campano per le belle ragazze. Nello specifico si faceva il nome di una signorina che lega il post in questione a Guida. Questa ragazza – che ovviamente non ha alcuna colpa – viene indicata nel mio post (con foto) in un contesto ironico sulla situazione politica campana nel 2010. E la stessa signorina è una sorta di ossessione per Guida che, nel corso degli anni, le dedica su Facebook centinaia di post di ammirazione. Addirittura, due giorni dopo essere stato interrogato dalla polizia mette online una foto che lo ritrae insieme a lei come profilo del suo account Facebook.
Insomma in mancanza di altri possibili moventi, questo è quello più grottescamente probabile: una sorta di vendetta, un sabotaggio per d’onore. O chissà.
Resta un’ultima considerazione: un “esperto tecnicoinformatico” che si fa scoprire senza troppa fatica tramite il suo IP non è proprio garanzia di inossidabile professionalità. Ma ognuno è libero di scegliersi l’esperto che vuole.
Ve lo dicevo che questa è una storia da manuale. Di istruzioni.

Le porcate sulla Boldrini e la congiura degli imbecilli

grillo-boldrini

Quello sulle offese sul web alla Boldrini, dopo il video pubblicato da Grillo, è un vero festival dell’ipocrisia. E non, ovviamente, perché sia giusto scrivere porcherie contro il presidente della Camera, ma perché l’eccezionalità del fenomeno è evidentemente montata ad arte. E qui non c’entra la fede politica, ma la cronaca.
Da quando internet è diventato il mondo degli scambi di opinione, il luogo dei commerci, il paradiso della libertà e l’inferno della ragione, si è verificata una invasione di cretini. E non c’è da stupirsi, accade così nella storia. Insieme con la popolarità si registra spesso un inevitabile abbassamento di qualità, perché la massa non è immune dal calcolo delle probabilità: più persone ci sono, più è alto il pericolo di contagio degli imbecilli.
Sul web, prima che la Boldrini s’inventasse un ruolo politico, le offese sono sempre esistite. E a nessuno è mai venuto in mente che ciò è giusto e che bisogna imporsi di essere tolleranti, pazienti, che bisogna porgere l’altra guancia (telematica o no). No, le leggi per difendersi ci sono e funzionano pure. A me è capitato di dover ricorrere alla giustizia per un caso di diffamazione e la legge, pur coi suoi tempi, mi ha dato una risposta. Quindi fare diventare uno scandalo politico la semplice prova di esistenza in vita di un gruppo di coglionazzi è un’operazione che non convince. Anche perché – diciamocelo – non siamo proprio un Paese raffinato. Abbiamo sopportato per decenni un premier che dava del coglione ai nemici politici, che definiva “culona inchiavabile” una leader internazionale, che offendeva apertamente un’intera categoria come quella dei giudici. Abbiamo visto cappi e mortadelle in Parlamento. Abbiamo sopportato i latrati razzisti di una pattuglia di ministri leghisti. Insomma ci siamo cuciti addosso una tolleranza che doveva essere un vestito di civiltà, ma che invece era solo una corazza di difesa contro lo schifo che ci circonda.
Ora scopriamo che la nuova emergenza italiana sono quattro falliti, nottambuli e segaioli, che postano porcherie contro il presidente della Camera sul blog di Grillo.

Sul web più controlli, più rischi di essere colpevole

La Corte europea per i diritti dell’uomo ha stabilito che i siti web sono responsabili dei post anonimi offensivi. La decisione aggiunge confusione in un campo sul quale, nel 2010, era entrata a gamba tesa la Cassazione stabilendo che in caso di contenuti diffamatori, il regime di responsabilità previsto per il proprietario del sito web è diverso da quello previsto per il direttore di una testata giornalistica: infatti su internet, secondo i giudici, vi è un alto tasso di interazione e di velocità che rende impossibile la gestione e controllo dei contenuti.
Ora la Corte di Strasburgo dice invece che il portale è pienamente responsabile, specialmente in quei siti in cui è attiva la moderazione dei commenti. Ciò ci consegna il seguente paradosso: più controlli, più sei colpevole, perché ti assumi la responsabilità di ciò che hai lasciato passare. Se invece te ne freghi, vivi felice.

Ho scoperto chi mi uccise sul web, e mi viene da ridere

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Ci sono voluti più di due anni, ma alla fine le indagini hanno prodotto un risultato. E’ stato identificato il killer mediatico che nel gennaio 2011 mi uccise sul web: ora è indagato per diffamazione. Un sicario scarso e alquanto stupido dato che la mia resurrezione avvenne entro poche ore e che le tracce da lui lasciate erano imbarazzanti proprio perché si tratta di una persona che per mestiere si occupa di web (non vorrei essere nei panni dei suoi clienti).
Come si intuì subito, costui aveva qualcosa in comune con una graziosa esponente del Pdl campano di cui avevo garbatamente parlato qualche mese prima. Ieri, dopo che il mio avvocato mi ha comunicato il nome dell’indagato (come da mio diritto), sono bastate un paio di ricerche sul web per capire chi è questo personaggio. Di più, al momento non posso dire. Però prometto di raccontarvela tutta, la storia, non appena gli atti saranno resi pubblici: ci sarà da divertirsi, ve lo assicuro.

Vergognarsi un po’

Raffaele Lombardo ha chiesto 50 mila euro di risarcimento al mensile S. E’ un ulteriore esercizio dell’arte della querela, di cui abbiamo parlato qualche tempo fa.
Quando il potente si muove contro il controllore, cercando di schiacciarlo con un’azione legale pagata dai contribuenti, c’è sempre da allarmarsi. Nella fattispecie la richiesta non è simbolicamente astronomica, ma realisticamente mirata ad azzoppare un mensile che fa ottima cronaca.
Spero che Lombardo trovi il tempo per vergognarsi un po’.