Lo so, sono discorsi che annoiano

Sono tempi difficili. Almeno per chi campa con poco, onestamente e si sforza di mantenere il timone saldo tra le mani nonostante la tentazione di virare, tornare in porto e mandare tutti a fare in culo.
Lo so, sono discorsi che annoiano. Però fanno bene a chi è riuscito a sviluppare un senso di orgogliosa resistenza.
Da qualunque parte mi volti è tutta una prova di forza. Mia, nostra.
Uno guarda il  proprio conto in banca e conosce ogni virgola, ogni uscita e soprattutto ogni entrata. Non c’è spreco di zeri, solo parsimonia. Qualche sacrificio e molto orgoglio: nonostante tutto non mi limito a galleggiare, ma nuoto con vigore. Sono fortunato.
Poi però uno legge la cronaca e si trova davanti a cifre che lo stordiscono più di una dichiarazione di innocenza di Berlusconi. Milioni di euro in tangenti. Stipendi pagati a chi non ha mai lavorato. Pensioni di quattromila euro al mese derubricate a spiccioli. Doppi e tripli incarichi elargiti come premio fedeltà, tipo i punti della Mucca Carolina. Perle ai porci e porci senza ali.
Lo so, sono discorsi che annoiano. Però fanno bene come un abbraccio d’amore: personalmente sono sempre e comunque per il trionfo delle certezze. Quelle che mancano quando si assiste all’ostentazione di carriere ingiustificate, al premio delle mediocrità, alla sperequazione dei meriti, allo spreco di fiducia.
Il ritegno è spesso un alibi per non dire, non fare. La prudenza mi piace solo nella guida dell’auto e nella gestione degli aperitivi. Per il resto credo che sia giunto il momento di ammettere che tra gli onesti non ci si annovera, ci si conta.

L’argine contro l’imbarazzo

Non accettiamo ultimatum di nessuno, men che meno che da Renato Brunetta.

Non sono uno affascinato da Renzi, però quel che mi aspetto da un premier che vuole ricostruire un paese raso al suolo dalla corruzione e dalla protervia dei potenti è esattamente questo. Un muro contro i ricatti. Un argine contro l’imbarazzo di dover sottostare ai diktat di personaggi come Brunetta.
Ci piaccia o no, Matteo Renzi è in questo momento la sola strada percorribile in una giungla di ingovernabilità e di populismo. Ci piaccia o no, dobbiamo lasciarlo fare. Del resto in un passato mai troppo lontano (e purtroppo indimenticato) abbiamo dato fiducia a imbonitori, giocolieri, prestigiatori, ci siamo lasciati incantare come topi da pifferai in playback, abbiamo affidato il nostro destino a soubrette travestite da onorevoli e a onorevoli che non valevano manco mezza soubrette.
Ora mi piace credere – senza avere mezza certezza, per carità –  che finalmente ci sia qualcuno che va avanti seguendo fedelmente un programma in cui rischia il culo, il suo. Sino a qualche tempo fa era solo il nostro.

Il dito

Per smascherare il Cavaliere e il suo presunto handicap visivo basta ricorrere a un antico detto: occhio che non vede, cuore che non duole.
Ergo, non fu dito ma questione sentimentale. Vedrete, alla fine si scoprirà che non è corruzione, ma polluzione.

Schifo

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Quando il senso del ridicolo non ha più confini e il grottesco assoluto bussa alla porta del diritto di cronaca vuol dire che si è messi veramente male. Perché è difficile immaginare un’Italia rappresentata da deputati, come quelli del Pdl, che si muovono in massa per occupare un tribunale dello Stato in difesa del loro padrone. Siamo all’atto finale di una messinscena che sino a qualche giorno fa poteva anche farci sorridere, ma che adesso si disvela in tutta la sua pericolosità.
Lo scollamento tra realtà oggettiva e realtà politica tocca oggi un livello mai raggiunto prima. Al confronto, la famosa certificazione governativa secondo la quale Ruby era la nipote di Mubarak è una barzellettina da coda alle Poste. E ciò che indigna ancor di più è che i protagonisti sono sempre gli stessi gaglioffi: per costoro, che sono in Parlamento solo perché scelti e prescelti dal padrone, un deputato della Repubblica non deve tenere conto delle leggi e delle regole comuni, ma può muoversi e battersi in nome di un mondo virtuale nel quale tutto è possibile per pochi eletti e nulla è dovuto al resto dell’umanità.
Il sistema dei valori, inteso come patrimonio comune, può andare in putrefazione. A costoro interessa solo la freschezza delle menzogne (se ne sfornano ogni giorno di nuove) sulle quali il loro partito ha costruito il disastro italiano.
Occupare (anche pacificamente) un palazzo di giustizia, soprattutto se si è rappresentanti delle istituzioni, è una bestemmia nel tempio, un oltraggio alla democrazia. E’ un atto da ultras prezzolati che suscita vergogna. E schifo.

La moda dell’onestà

Grillo promette: “L’onestà diverrà di moda”. E’ una bella prospettiva che non può avere oppositori: trovereste qualcuno che promette il contrario? Vabbè, forse sì… ma per praticità escludiamo i lestofanti.
Comunque il problema è questo: basta l’onesta per governare un Paese?
Ovviamente no. Però l’Italia si trova in una posizione più scomoda, in cui chiede non già di essere governata, bensì implora una ricostruzione. Che è una cosa diversa.
Per amministrare servono competenze e furbizia. Per scavare tra le macerie servono braccia forti, magari giovani, e abnegata onestà. Perché tra governi politici e tecnici, tra ministri esperti e creativi, tra figli di papà e figli di puttana, abbiamo consegnato la nostra nazione a gente che quanto a capacità distruttiva considera gli Unni poco meno che pivelli.
La moda dell’onestà, con tutte le scintille qualunquiste che può suscitare, è quindi più che auspicabile, chiunque la proponga.
Il modello di governo che l’Italia degli onesti si aspetta è semplice e di un’intransigenza ferrea: lavorare a testa bassa per tirare su tutto ciò che è venuto giù. Senza fronzoli, senza privilegi, senza odiosi orpelli.
Altrimenti le prossime elezioni, se le faremo, le faremo nelle caserme.

Il partito delle illusioni

C’è un movimento che prende piede nella rete che si chiama #formattiamoilpdl e che, come si intuisce, vuole cambiare il Pdl. Anzi, citando testualmente i promotori, “vuole cambiare in meglio il Pdl”, come se si contrapponesse a un gruppo che lo vuole cambiare in peggio.
A parte l’iniziativa meritoria di battersi per un’idea, c’è però un aspetto molto singolare che va sottolineato. Come si può migliorare un partito che dal suo esordio ha prodotto solo disastri? A quale fonte di ottimismo e buona fede si attinge per sostenere un gruppo di politici che in vent’anni si è occupato esclusivamente di leggi ad personam e di favoritismi?
Il movimento dei “formattatori” ha sicuramente un’intenzione nobile, ma rischia di passare alla storia come quell’architetto che, costruito un immenso castello di sabbia, riuscì ad abitarci sin quando dal cielo non cadde la prima goccia di pioggia. Tutto è possibile, ma non tutto è plausibile.
Il Pdl è il partito col più alto tasso di promesse non mantenute. Serve davvero che qualcuno gli dia la possibilità di vendere altre illusioni?

Il collezionista di spazzatura

Ci eravamo illusi che questo Francesco Belsito potesse dare lo spunto per un’indagine approfondita tra le piaghe della Lega, che fosse problema e soluzione insieme. Trovato il male, trovato l’antidoto. Invece ora ci accorgiamo che il tesoriere manolesta addirittura spiava personaggi del calibro di Roberto Castelli e Rosi Mauro, cioè due delle più squalificate figure del partito di Bossi. E’ vero che a scavare tra l’immondizia ogni tanto si trova roba interessante, ma qui non siamo neanche in una discarica. Siamo nella spazzatura di un collezionista di spazzatura. Un passo prima del nulla, insomma.

Lo sconto, lo scontro e la Norimberga dei partiti

Molto spesso mi sono trovato in disaccordo coi proclami di Beppe Grillo (se sfogliate le pagine di questo blog troverete qualcosa in proposito). Però oggi è difficile dargli torto quando invoca una Norimberga per i partiti.
Sbaglia chi nel nome di una sorta di ragion di Stato invita a guardare avanti e a mettere da parte le polemiche, cercando lo sconto anziché lo scontro. Questo Paese è stato portato quasi alla fame non dalle convergenze economiche, né dai fantasmi della finanza mondiale, ma da una classe politica nefanda.
Facendo lo slalom tra i distinguo, ma evitando di impantanarci nella retorica, dobbiamo dircela tutta perché non è andando appresso alla sottile strategia politica che si porta la pagnotta a casa.
L’Italia è vittima di sprechi inauditi e i partiti sono una macchina mangiasoldi. Punto.
Non c’è nessun deputato o senatore che ci possa convincere del contrario. Se un partito non sa quanti soldi ci sono in cassa, se il fiume di milioni può essere deviato dal primo tesoriere, se vengono fuori diamanti e lingotti d’oro, se gli affari privati si fanno insomma coi soldi pubblici, è chiaro che c’è qualcosa che non va.
E a poco vale la giustificazione ufficiale secondo la quale il finanziamento servirebbe a garantire l’indipendenza dei partiti dalle lobby e la sterilizzazione della politica rispetto al potere economico. Quando si ruba in modo sistematico c’è poco da sottilizzare. Non è lo spettro della dittatura berlusconiana che fa più paura, ma quello della fame.
Quindi ben venga la Norimberga dei partiti. Un processo in cui tutti questi signori dovranno dire dove hanno nascosto i soldi, come li hanno spesi e quando li restituiranno. Sono per lo scontro, non per lo sconto insomma.

Drammatico

Bisogna stare molto attenti con gli aggettivi. Definire “drammatico” l’eventuale taglio del finanziamento ai partiti è da incauti. Di drammatico in questa nazione ci sono molte cose, e il mio non è benaltrismo.  Se si parla di soldi pubblici c’è una parola che legittima tutto: fiducia. Quando paghiamo le tasse lo facciamo sperando che quei soldi siano ben impiegati. Il dramma, quello vero, è che finiscono in sperperi, puttane, auto di lusso, ville, viaggi, cene, diamanti e tangenti varie.
Quindi non facciamo il drammatico errore di indicare drammatici errori che in realtà sono atti di legittima difesa da altri, veri, drammatici errori.

Sprofondo Nord

Secondo la Padania c’è in atto un piano “per mettere il bavaglio all’unica voce scomoda”. Effettivamente a sentire le intercettazioni è scomoda assai.