Il non comune senso del ridicolo

C’è una polemica che, in questi giorni, si è sviluppata nelle cronache locali per finire, inesorabilmente, nelle affamate edizioni nazionali (la domenica è dura, eh).
L’oggetto del discettare è il manifesto che vedete sopra: un’immagine di Hitler e la scritta “cambia style, don’t follow your leader”.
Il messaggio è talmente provocatorio da rasentare il banale. Eppure il Pd e l’associazione nazionale dei partigiani si sono intestati una battaglia per fare rimuovere i cartelloni. Capisco i partigiani – l’età e le cicatrici hanno un peso -, ma non il Pd (che pure ha le sue cicatrici).
Qual è il riverbero politico di una campagna che ridicolizza un criminale sanguinario vestendolo di rosa e invitando per di più a non seguirlo?
Cosa c’è di scandaloso nel rifarsi a modelli triti per suscitare curiosità a buon mercato?
Vado al sodo e la chiudo qui.
Che io ricordi, l’ultima campagna pubblicitaria veramente disdicevole, perché volgarmente bugiarda, fu quella del Comune di Palermo in cui si riprendevano alcuni titoli, di dubbia veridicità, dei giornali. E non mi risulta che contro il manifesto che urlava “La città più cool d’Italia? E’ Palermo” sia mai stato chiesto un provvedimento di sequestro.

Uno che tira fuori i cognomi

Diego Cammarata

Sarà il caldo, sarà un misunderstanding o semplicemente la noia, eppure il sindaco di Palermo (che, per i più distratti, si chiama Diego Cammarata) ha compiuto un atto di imperio. Ha sporto denuncia per la vicenda Amia.
Frenate gli entusiasmi, però. Quando le notizie sono troppo belle è probabile che un trucco ci sia. Infatti, a ben leggere, lo spunto di coraggio del primo cittadino più cool del Belpaese è diluito in una brodaglia insapore. La denuncia è, udite udite, contro anonimi pur essendoci, nella vicenda e in tutti i suoi sviluppi, l’imbarazzo della scelta in quanto a nomi, cognomi, indirizzi, codici fiscali e pedigree politici.
Ci sono buone intenzioni e intenzioni travestite da buone intenzioni. Ricordo un famoso giornalista siciliano che impartendo la consueta lezione professionale (non richiesta) ai suoi sottoposti disse di un celebre politico democristiano sotto inchiesta per mafia: “L’onorevole tal dei tali con le cosche non c’entra niente. Come lo so? Me l’ha detto lui”.
Il noto giornalista e il sindaco Cammarata sono molto amici.

Mai più cool

piazza marina palermo

L’attimino fuggente

di Giacomo Cacciatore

Non esco mai il sabato sera a Palermo. Ieri ho scoperto ancora una volta perché, e mi sono dato ragione per sempre. Appuntamento con amici alla presentazione del nuovo libro di Salvo Toscano. Villa Filippina è un bel posto, l’angolo bar sponsorizzato dalla rivista I Love Sicilia gradevole, i camerieri gentili. C’è anche il fatto che sono le otto meno un quarto. Il sabato in città, quello delle resse ai ristoranti e delle sgommate ubriache, è ancora lontano. Si ragiona, si respira. E si benedice la coazione a ripetere dei festaioli di fine settimana: prima delle nove e mezza non si mette piede fuori di casa. Non è cool. Prossima tappa: piazza Marina. Qui, cambio d’umore. Uno dei posti più cool di Palermo. Nel mio vocabolario: automobili che ti pestano i piedi, posteggiatori con l’indole di don Vito Corleone e cibo da mensa aziendale, data l’affluenza di pubblico. Facciamo un salto a Villa Garibaldi. C’è una manifestazione di giovani alternativi. L’atmosfera è quella triste di una festa dell’Unità liofilizzata. In un gazebo proiettano “Buena vista social club”. Spettatori: il proiezionista. Canta un gruppo Peruviano. O forse Cileno: non lo so, indossano il costume tipico. Capisco perché la sinistra perde le elezioni.  Climax: una pizzeria molto gettonata all’angolo della piazza. Gettonata senza nessun motivo al mondo, avrò occasione di dirmi a fine serata. Il cameriere si offende se uno gli chiede gli ingredienti di una pietanza. Si offende quando un mio amico cerca di stemperare la tensione (dovuta a che? Stai facendo il tuo lavoro!) con una battuta leggera. Si offende quando gli facciamo notare che aspettiamo gli antipasti da due ore e quelli al tavolo accanto al nostro, arrivati dopo, sono già al dessert. Un mio amico giornalista si alza, offeso lui, finalmente. Chiama a gran voce il padrone, minaccia di andarsene. Il padrone si offende a sua volta, malamente. Si arriva alle parole grosse. Il proprietario della pizzeria è quello che le spara più grosse, svelando così da chi ha imparato il cameriere a maltrattare i clienti: da lui. Lungi dall’ammettere che gestire un locale non è cosa sua, la butta sul piano personale.  Il nostro amico avrebbe osato lamentarsi perché è un giornalista del tg 3. Sentendosi un divo comunista, pretende di non essere trattato a pesci in faccia. Insomma, un raro esempio di arroganza. L’amico giornalista se ne va. Dovremmo farlo tutti, ma arrivano le pizze.  Il proprietario condisce la sua brillante ospitalità con un tocco di grazia: si avvicina a me e dice dell’assente che “gli stava sui coglioni”. Si aspetta solidarietà. Stavolta mi offendo io. Mastichiamo antipasti (pessimi) pizze (sbagliate) e offese. Paghiamo. Ci hanno fatto uno sconto, ma su un prezzo gonfiato. Vengo a sapere che la pizzeria è del fratello di un militante storico di destra passato disinvoltamente al pd. Non ci faccio caso: non mi piace che le colpe della politica ricadano sulle gestioni delle pizzerie. Però non liquido troppo presto le mie riflessioni in merito.  Comunque, giuro a me stesso: mai più di sabato. Mai più lì. Mai più cool.