Il miracolo del clochard ammazzato

L’articolo pubblicato oggi su Repubblica.


C’era una volta un clochard francese che stava a Palermo sotto i portici di Piazzale Ungheria. Si chiamava Aid Abdellah ma per tutti era Aldo, un uomo gentile, un artista che viveva in simbiosi col suo gatto Helios. Non era un disperato, era uno che aveva fatto una scelta di felice determinazione, quindi era esattamente l’opposto di un disperato. Parlava tre lingue ed era colto. Quando s’imbatteva in ragazzini storti, e capitava vivendo per strada, li ammoniva ma sempre col sorriso: “Andate a scuola”. Aldo aveva un solo difetto: era un uomo buono.

Una notte un paio di quei ragazzini storti cercarono di rubargli dei soldi, lui si oppose e loro lo uccisero con una spranga di ferro portando via il bottino: 25 euro.

Con la sua morte si compì un miracolo di cui si parlerà per lungo tempo, se è vero che gli saranno intitolati i portici che erano la sua casa. Il miracolo di una comunità di palermitani che quando Aldo era ancora in vita, quindi fuori dalla comoda scia dell’emozione post mortem, si occupavano di lui con la discrezione che lui stesso esigeva senza chiederla. Vero altruismo fatto di parole – ma non altruismo a parole –, del caffè che la mattina una barista gli portava, della chiacchiera disinteressata, del sorriso sincero tra amici che non si sono mai detti amici per non inciampare nel formalismo di un rapporto codificato. La Palermo che si muoveva silenziosamente attorno ad Aldo, e a quelli come lui, è una città nella città: gente intellettualmente operosa e non importa se con la laurea o con la licenza elementare; artigiani del buon fare; nemici della lamentela che nasconde l’inerzia. La città della tolleranza silenziosa che non ostenta, non urla nemmeno davanti alla morte perché sa che è facile amare qualcuno quando quello è due metri sottoterra.

Questa comunità venne alla luce quando Aldo non ci fu più. E fu un miracolo nelle lande dell’ira on demand e della desertificazione di buone azioni selfie-free. L’emergere dalle viscere di un sentimento antico come il rispetto, di un manipolo di sopravvissuti al cattivismo imperante che, come zombie felici e discreti, si ripresero qualche metro di marciapiede e lo illuminarono di vero altruismo. Questo per Aid Abdellah che per tutti era Aldo e che non era un disperato.

Niente, grazie

L’extended version dell’articolo pubblicato su Repubblica.

C’è sempre un mistero insondabile nel cuore di un clochard, nell’ultimo degli ultimi che sopravvive di carità quindi di una solidificazione dell’amore. Riguarda un inizio o una fine, uno spettro o un traguardo, una fuga o un riparo. Le storie di chi ha scelto di vivere senza storia sono la crosta più insondabile del pianeta della mente dove ricchezza e povertà hanno lo stesso valore, amore e odio si annullano a vicenda, fiducia e incredulità evaporano nel calore artificiale dell’alcol o chissà quale altro additivo. E invece, nonostante noi e i nostri filtri di benessere a portata di mano inguantata, c’è un livello di libertà tra il tutto e il nulla, lo Yin e Yang del sistema di relazione convenzionale, che rende possibile e affascinante ciò che altrimenti potrebbe essere catalogato come follia.

Il mistero di Aldo, il barbone ucciso sotto i portici di piazzale Ungheria a Palermo, si è disvelato subito dopo la sua morte quando una piccola processione di cittadini non griffati socialmente ha lasciato trasparire l’affetto per quell’uomo che passava le notti in un giaciglio di cartone. La barista che ogni giorno gli portava la colazione, l’artista che gli chiedeva cosa gli servisse per poi sentirsi rispondere “niente grazie”, il negoziante che ogni mattina scambiava quattro chiacchiere con lui.

In un miracoloso do ut des di dignità, Aldo e le persone che gli elargivano attenzioni erano attenti ciascuno a non invadere la coscienza dell’altro. Solo chi non conosce la landa del disagio interiore, chi non è mai incappato nel buio della mente, chi non ha mai ascoltato le domande mute di chi invoca rispetto per una scelta anche folle, può derubricare tutto in emergenza abitativa o assistenziale. Non c’è nulla di più difficile che aiutare chi non chiede l’aiuto che merita, non c’è nulla di più meraviglioso che dare una mano senza che la mano si veda (a patto di non simulare).

Il mistero di Aldo si è disvelato tranciando i cavi del perbenismo più becero, quello che elemosina ma non nutre, e configurando una forma altissima di rispetto, quella per la scelta in sé qualunque essa sia. Sapete una cosa? La gente è migliore di quanto possiamo pensare. Il male della menzogna, il rifiuto inorganico del pensiero (quello più inquinante), la violenza dell’ignoranza hanno un impatto fortissimo sul tono emotivo dell’opinione pubblica. Perché un popolo preoccupato, soprattutto se artificialmente, è più sensibile a rassicurazioni basic che non necessitano di troppi argomenti.

La carovana di umanità garbata al capezzale di cartone del clochard ammazzato (pare da due balordi minorenni) ci rivela oggi che si può marciare silenziosamente in ordine sparso per un ideale di carità discreta. Nell’Italia del “prima gli italiani” c’è un manipolo di anarchici che guardano l’altro, il più debole, senza ostentare sui social, che non si trincerano dietro un’elemosina di cittadinanza ma chiedono semplicemente “che ti serve?”. E come epitaffio la risposta: niente, grazie.       

Su clochard, cultura, pianoforti e piagnonismo

Tiro fuori dal tritacarne dei social uno spunto di riflessione – a dire il vero non nuovo, ma sempre interessante – sul rapporto tra cronaca cruda e cultura, sulla Palermo ferita dall’immondizia e sulla città che invece sta cercando di rinascere con manifestazioni e spettacoli di prim’ordine.
L’altro giorno è morto un clochard e su Facebook si è scatenata una polemica sul fatto che se un uomo muore per strada, solo e disperato, quella della Capitale della cultura è solo una favola o una frottola, dipende dal grado di fantasia del polemista di turno. Mi sono ribellato a questa raffigurazione che ritengo ingiusta e piagnona. E l’ho fatto con l’esempio più banale che mi è venuto: il 23 dicembre scorso una clochard è morta a Pistoia, la capitale della Cultura 2017, e non risulta che alcun pistoiese si sia sognato di mettere in dubbio il prestigio della città.  L’acredine con la quale la mia argomentazione è stata respinta mi ha fatto riflettere. Quindi ne scrivo qui, a casa mia, per cristallizzare alcuni concetti, a futura memoria insomma. Continua a leggere Su clochard, cultura, pianoforti e piagnonismo

Pensiero debole, minchiata forte

C’è un insulso movimento di pensiero, che naturalmente sboccia sui social, secondo il quale un assassino – crudele e selvaggio come un assassino che dà fuoco a un essere umano – non ha diritto a un avvocato. Deve marcire in galera, deve essere bruciato a sua volta, occhio per occhio canino per canino.
I portatori (neanche tanto sani) di simili geni di incongruenza potrebbero limitarsi a dire: ok è vero, esiste la legge però a me la legge fa allergia quindi sono per il taglione. Invece ne fanno una campagna di opinione che, con le dovute cautele, ha la stessa plausibilità di un programma politico di Francesco Benigno.
Ma l’allergia verso la legge non può essere invocata solo quando c’è di mezzo il sentimento più a basso costo che esista, e cioè la vendetta. Perché chi di allergia ferisce…
Che ne direbbero questi geni del pensiero social se la stessa allergia colpisse anche il mondo che li circonda e non soltanto i loro alacri polpastrelli? In fondo un assassino, un truffatore, un rapinatore, un corruttore soffrono della stessa loro patologia. Anche loro si ribellano, a volte a muso duro, alle regole. Solo che loro almeno non dilagano su Facebook. Mica fessi, quelli.