Una buona antimafia

L’articolo pubblicato su Repubblica Palermo.

Abituati come siamo a guardare la politica con diffidenza, rischiamo di perderci qualche passaggio quando invece il Palazzo lavora di buona lena e con attenzione. Allora è bene fermarsi e dare atto che c’è una politica che non è solo, per dirla con Berlinguer, una macchina di potere e clientela. La Commissione regionale antimafia guidata da Claudio Fava è un esempio di come si può vigilare sulle cose nostre senza lasciarsi trascinare dalla corrente del momento, di come si può indagare su temi di cronaca scottante senza farsi tentare da sterili effettismi. Così è stato per l’esame del caso Montante e sulle sue diramazioni complicate, per gli interrogativi sull’attentato Antoci e su certe incongruenze non da poco, per la recente disamina del doppio (o triplo) tentativo di depistaggio delle indagini sulla strage Borsellino. La Commissione ha, ad esempio, trattato un noto giornalista anti-boss come un normale testimone e non ha esitato a evidenziare alcune contraddizioni nel suo operato, rischiando la scomunica dell’antimafia adorante. Ha lavorato, insomma. Magari avrà sbagliato in molte o alcune conclusioni, ma si è data una direzione. È bene ribadirlo: qui non si giudicano i risultati che possono essere oggetto di valutazioni discordanti, si giudica un metodo. In particolare una discreta indipendenza dal mainstream, perché prima di affondare un coltello nella crosta delle cose bisogna assicurarsi che non sia stato usato per altro, insomma che sia pulito. Questa Commissione ha tentato di tenere a distanza il pregiudizio, di non conoscere intoccabili, di saper coniugare rigor di legge e curiosità. Ci ha rivelato che il compito della politica non è solo dare risposte, ma saper fare domande.

Antoci, gli spari e le nebbie

L’articolo pubblicato su la Repubblica.

Nella drammatica miscela di sonniferi giudiziari e veleni istituzionali il giallo dell’attentato a Giuseppe Antoci, rilanciato dalla relazione della commissione regionale antimafia, poggia su una sola certezza: il lavoro dell’organismo guidato da Claudio Fava è stato indiscutibilmente migliore di quello investigativo, perché ha saputo mettere a frutto con grande equilibrio la certezza del dubbio senza perdersi in conclusioni avventate, ma senza nemmeno fare il pesce in barile.

Per il resto, il quadro che viene fuori da quelle 104 pagine è un insieme di domande e interrogativi che raccontano una storia dai contorni inquietanti. Una storia che qualcuno vorrebbe relegare a vicenda di provincia, e che invece evoca scenari pericolosamente nebbiosi.

Inutile girarci intorno, delle tre ipotesi contenute nel documento – agguato mafioso, avvertimento, messinscena – la terza è quella che catalizza i maggiori sospetti e che alimenta il fuoco di fila delle domande. Innanzitutto: perché si sarebbe dovuto simulare un attentato? E a seguire: a chi avrebbe giovato la messinscena?

A scorrere i verbali dell’antimafia si ricava la sensazione che l’inchiesta giudiziaria sia stata costruita con un misto di leggerezza e imbarazzo. Leggerezza perché le prime indagini per un agguato di tale livello sono delegate soltanto alla squadra mobile di Messina e al Commissariato di Sant’Agata di Militello. Imbarazzo perché in tutta questa vicenda non c’è mai un’autorità che ha il coraggio di mettere le mani nell’acquitrino di lotte durissime, e nemmeno nascoste, tra ufficiali di polizia giudiziaria: quasi che si temesse il fastidio nel riscuotere una verità dolorosa. 

Poi c’è la figura della vittima designata, quel Giuseppe Antoci che da presidente del Parco dei Nebrodi aveva rotto le uova nel paniere alla mafia con scelte nette e coraggiose. Domanda: perché Antoci è così duro con Claudio Fava, che comunque lo aveva dipinto come “vittima, bersaglio della mafia o strumento inconsapevole di una messinscena”? Antoci dice: “Non mi sarei aspettato una cosa del genere da chi l’ha vissuta sulla propria pelle”, e cita addirittura Pippo Fava. Perché difende strenuamente la versione dell’attentato? E soprattutto, come mai non è colto da un dubbio dinanzi alla marea di contraddizioni che, puntualmente elencate in sede giudiziaria e in sede politica, sommergono la versione ufficiale rendendola a tratti inverosimile?

In quella terribile notte tra il 17 e il 18 maggio 2016 non c’è una sola ricostruzione che non sia in contrasto con le altre: non tornano i conti sul numero degli attentatori, sulle armi usate, sulle modalità del blocco della strada, sulle tempistiche di chi arriva e chi va, non tornano i conti su nulla.

E, ineluttabile, albeggia sullo sfondo la luce triste di un’antimafia politicante che vuole mettere a tutti i costi il cappello su un mostro a due teste: quella della minaccia e quella della mistificazione.

Fava e la puzzetta antimafia

Claudio favaPur non di ammettere di aver somministrato una bufalazza ai suoi lettori, sul Fatto Quotidiano, l’onorevole Claudio Fava ieri è tornato sull’argomento “presunta radiazione di Riccardo Orioles”. Cerco di essere schematico perché non vi voglio tediare.
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L’Antimafia a scrocco

equilibrista-picC’è una storia che può aiutarvi a capire certi deragliamenti dell’informazione e certi meccanismi dell’antimafia. È una storia che conosco bene perché ne sono stato protagonista, in quanto componente del Consiglio di disciplina dell’Ordine dei giornalisti di Sicilia.
Ieri il Fatto Quotidiano ha pubblicato un articolo firmato da Claudio Fava, Michele Gambino e Antonio Roccuzzo in cui si dice che Riccardo Orioles, tra i fondatori de I Siciliani di Pippo Fava, è stato radiato/sarà radiato (sui tempi non sono riusciti a mettersi d’accordo) dall’Ordine dei giornalisti per un “misero debito”di 1.384 euro. Orioles, in pratica, non può pagare la quota associativa da anni perché versa in condizioni economiche precarie. Nell’articolo Fava & company scrivono di “una paradossale ignominia che merita di essere raccontata”. E il racconto, in estrema sintesi, è questo: si caccia un giornalista antimafia e s’ignora invece la condotta di un giornalista come Mario Ciancio, direttore editore della Sicilia di Catania, sotto inchiesta per concorso esterno in associazione mafiosa. La conclusione è: “Se Riccardo sarà radiato da quest’Ordine, ce ne andremo anche noi”.
Tutto chiaro.
Solo che c’è un problema: Orioles non è mai stato radiato. Continua a leggere L’Antimafia a scrocco

Una firma non si nega a nessuno

C’è un lato curioso nell’appello degli intellettuali (categoria eterea e impalpabile) che invocano la discesa in campo di Claudio Fava come presidente della Regione siciliana. Beppe Fiorello, Dacia Maraini, Gustavo Zagrebelsky, Moni Ovada, Nando Dalla Chiesa e altri firmatari del documento, lavorano e vivono in Sicilia?
Capisco le buone intenzioni, ma ora sarei tentato di avviare una raccolta di firme (tra non intellettuali, s’intende) per il governo regionale della Valle d’Aosta: alla mia settimana bianca ci tengo, io.