Roma goes to Hollywood

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Poche parole su “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino, dato che non dirle sarebbe omissione e dirne molte sarebbe sbrodolamento in ritardo.
Il soggetto è discreto, ma è la sceneggiatura a essere eccezionale. Servillo si muove con consueta leggiadria nei ruoli più pesanti: riluce nel buio senza abbagliare, ed è un ulteriore segno di grandezza.
I movimenti della macchina da presa 2013/32886/ giochi da casino gratis /SCO dell’ 11 novembre 2013 – Revoca della convenzione di concessione n. scandiscono bene il trascorrere delle emozioni, tra salotti affollati e atmosfere decadenti. E il modello romano che ne viene fuori è piacevolmente irritante, verosimile come la folla di mantenuti che riempie la nostra politica.
Ecco, se una cosa mi è rimasta di tutto il film, è il piacere di assistere a un’opera confezionata con grande cura dei dettagli. Il che nel panorama del cinema italiano, denso di idee senza confezione e di confezioni vuote di idee, è davvero incredibile.
Specchio dei tempi: il simbolo dell’Italia, della città eterna, della genialità mediterranea, è un film tipicamente hollywoodiano.

Io che detestavo Giuliano Gemma

giuliano gemma
Io Giuliano Gemma lo detestavo perché quando ero molto giovane, le prime volte che andavo al cinema con una ragazzina, beccavo sempre un film dove c’era lui. E lui era bello, figo e ammaliante al punto che la ragazzina che avevo faticosamente agganciato rimaneva affascinata da lui e si dimenticava di me.
I film di Giuliano Gemma hanno segnato indelebilmente la mia adolescenza cialtrona.

R.I.P.

Clooney e un film indeciso

Ieri ho visto “Le idi di marzo” di George Clooney. Dichiaro subito il mio voto,  6 meno.
Il film, che arriva con squilli di tromba e rulli di tamburi per le nomination ai Golden Globe, è un po’ lento, ma non è questo il suo difetto (se fosse la velocità il requisito fondamentale, “Vacanze di Natale” sarebbe stato candidato all’Oscar).
In realtà “Le idi di marzo” è un’opera indecisa. Viene presentata come un thriller, pur non avendo nulla di thriller. E’ ambientata nei territori della politica e non racconta nulla di nuovo. Il meccanismo narrativo ha un perno (di cui non posso dire, per non svelare il finale) che uno spettatore medio può smontare dopo i primi venti minuti: nel senso che si capisce dove si andrà a parare.  Inoltre non c’è azione, non c’è sorpresa.
Allora, direte voi, perché un sei meno e non un tre?
Perché è girato bene, con cura molto americana.
Ma nulla di più.

Otto matrimoni e un funerale

Liz Taylor sarà seppellita nello stesso cimitero di Michael Jackson, Farrah Fawcett, Dean Martin, Truman Capote e possibilmente vicino a Marylin Monroe.
Si dice che i suoi occhi non fossero proprio viola, ma so che da giovane era uno schianto di donna. Si dice che molte delle sue battaglie civili, non ultima quella contro l’Aids, fossero ispirate da motivi personali, ma non mi risulta che un’esperienza diretta vada a detrimento dell’impegno a fin di bene. Si dice che nonostante i sette mariti (sposò Richard Burton due volte) negli ultimi anni trovasse compagnia in un cagnolino di nome Sugar, ma sappiamo come gli animali sappiano essere degni supplenti degli esseri umani.
Si dice che fosse l’ultimo mito di Hollywood, ma ci piace credere che i miti non muoiono mai, anche se per diventare davvero miti hanno bisogno di morire.

Placidi criminali

Dice Michele Placido: “Vallanzasca era un criminale fino in fondo, ma in Parlamento c’è chi è peggio di lui”.
In Parlamento non so, ma nel mondo del cinema di certo sì.

La vita continua

Niente da fare, ogni volta che rivedo questa scena resto incantato dalla somma algebrica del talento di De Niro con l’arte (ruffiana) di De Palma.

Le Cannes di Bondi

L’attimino fuggente
di Giacomo Cacciatore

Al festival del cinema di Cannes 2010 spiccheranno due assenze. Una è quella dell’attuale ministro della cultura Sandro Bondi (l’autore delle poesie a Silvio, sì, proprio lui)  che contesta – anzi deplora –  il film “Draquila” di Sabina Guzzanti, a suo dire lesivo della dignità dell’Italia all’estero. L’altra riguarda il regista Jafar Panahi. Involontaria: l’hanno ammanettato a Teheran perché preparava una pellicola contro il regime.
Da un lato, chi promuove la censura. Dall’altro, chi la subisce malamente. In mezzo, qualcosa che non andrebbe toccata da nessuno, pena il ridicolo per non dir di peggio. Cioè la libera espressione artistica.
Inutile chiedersi chi, tra i due assenti, complici le circostanze, stia facendo una figura barbina internazionale che si ingrossa ogni giorno di più. Mettendo fianco a fianco le ragioni di Bondi e quelle di Panahi, almeno il destino non se n’è stato con le mani in mano. Oltre che cinico e baro, deve essere anche comunista.

Ne parleremo, intanto c’è il trailer

“Con gli occhi di un altro”, film di Antonio Raffaele Addamo con Filippo Luna.

La gloria dei bastardi di Tarantino

Ho visto solo adesso Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino e l’ho trovato bello. Bello come può essere un film coi tempi giusti, che fa solo le promesse che può mantenere.
La grandezza di Tarantino, secondo me, sta nell’ideare e realizzare storie scavate nella pietra dell’originalità senza essere astruse. Il suo cinema è perlopiù piacevolmente snob, con accenni naif, e ricchissimo di citazioni lievi. In Bastardi senza gloria ci sono lunghi dialoghi che non fanno mai rallentare la narrazione. E ci sono anche complessi movimenti di camera che non scadono nella scontatezza dell’effettismo. Ma, al contrario, impreziosiscono un prodotto che vale sino all’ultimo centesimo i soldi del biglietto (o del noleggio).

Paranormal (poco) activity (tanta)

L’attimino fuggente
di Giacomo Cacciatore

Deve essere il periodo. Esaurite le cartucce della politica che si fa spettacolo (ci abituiamo presto a tutto, si sa), si fa inversione di marcia: lo spettacolo nutre la politica. Ora Alessandra Mussolini, ancora calda dei fumi del caso Morgan e delle relative ospitate tv, sposta la sua indignazione di mammina italica – tutta core in mano, labbroni e pugni sui fianchi – al cinema. Tranquilli, stavolta non c’entra Michele Placido (a lui ci ha già pensato Brunetta). La pietra dello scandalo è “Paranormal Activity”, horror semi-amatoriale  di tale Oren Peli, divenuto campione d’incasso negli USA con la benedizione di Spielberg. Pare che il film stia creando una specie di psicosi collettiva tra i giovani, con ricoveri, crisi di panico e svenimenti degni de “L’esorcista” alla sua uscita nelle sale. Al punto che l’Alessandra nazionale ha diffuso una nota d’allarme al ministro Bondi sulla pellicola, lamentandone la mancanza di divieto ai minori. E ora date retta a me, che di film dell’orrore veri mi sono nutrito fin da quando avevo otto anni. Io, “Paranormal Activity” l’ho visto. E’ una noia mortale. E’ un film che non fa paura nemmeno per un minuto dei 90 e più complessivi della sua durata. E’ un’accozzaglia di situazioni straviste, con uno stile stravisto e con degli attori cani come mai se ne sono visti. E’, soprattutto, un film stupido. E, come sanno quelli che di horror veri se ne intendono, fare paura è una cosa che richiede grande intelligenza. Tanta quanta la paraculaggine di chi, come certi nostri politici, non perde occasione per cavalcare cavalli spompati, senza nemmeno sapere di che razza sono.