Taci, il nemico ti inonda

Nel mondo digitale – cioè prima del web, dei social, della comunicazione istantanea – la censura era una cosa relativamente semplice: bastava chiudere qualche giornale, bruciare qualche libro, mettere sotto controllo l’azienda radiotelevisiva. Oggi è tutto molto più complicato, basti pensare che ad esempio nella sola Cina ci sono 4 milioni di siti web, 1,2 miliardi di smartphone, 700 milioni di utenti di internet, 600 milioni di persone che usano WeChat e Weibo per una produzione giornaliera di 30 miliardi di informazioni. Capite bene che ogni forma di controllo diretta sarebbe impossibile. Eppure, spiega John Naughton sul Guardian, “i regimi autoritari godono ancora di ottima salute”. Com’è possibile?
La risposta la dà Margareth Roberts nel suo libro Censored (di cui ho letto su “Internazionale”):

Per impedire ai cittadini di informarsi, nel mondo digitale la censura usa la paura, l’attrito e l’inondazione. La paura è il vecchio sistema: funziona sempre, ma è costoso e può provocare contraccolpi pericolosi per i regimi. L’attrito impone ai cittadini un aumento dei costi – in termini di tempo o di soldi – per accedere alle informazioni: la pagina web che si carica lentamente, il libro rimosso dalla biblioteca online. L’inondazione ci sommerge di informazioni – molte false e inaccurate – per rendere difficile la distinzione tra quello che è utile e tutto il resto. Serve a diluire e a distrarre. È un sistema economico, efficace e senza particolari controindicazioni.

Ho citato la Cina. Ma la Cina è vicina.

Come si dice griffe in cinese?

Ecco spiegato perchè le aziende cinesi stanno correndo frettolosamente ai ripari, cercando di acquistare posizioni prestigiose nelle nostre città: per difendere la bugia dei loro business.

Vi ricordate quando nel dicembre scorso Giuseppe Giglio scrisse di quella che avevamo ribattezzato come sindrome cinese?
Ecco, in via Montenapoleone, a Milano, è arrivato Giada, tipico marchio cinese.

Io imprenditore, il mercato e la sindrome cinese

di Giuseppe Giglio

La SDA Bocconi di Milano ha tenuto un corso master sul Luxury Market, in particolare quello italiano, dedicato a manager, imprenditori ed industriali cinesi.
Lo svolgimento del master ha avuto luogo nella loro sede di Shangai, e soltanto nella parte finale i corsisti hanno visitato il nostro Paese e alcune realtà imprenditoriali locali, simbolo della nostra eccellenza produttiva, nel campo del tessile, della gioielleria e degli alimentari.
La scorsa settimana sono stato invitato alla tavola rotonda conclusiva, presso la sede milanese dell’università per testimoniare l’esperienza aziendale della mia famiglia, nel campo dei negozi multibrand.
A margine di ciò, ho focalizzato una serie di tendenze che, a mio parere, meritano qualche riflessione.

Scarsa creatività. I cinesi, che hanno mediamente scarsissima creatività e parecchio denaro da investire, stanno cercando di replicare alcuni modelli di sviluppo della nostra economia, per esempio l’offerta di abbigliamento non più (o non solo) attraverso le monolitiche boutique monomarca che campeggiano nelle vie dello shopping di tutte le capitali, ma proprio attraverso piccoli e medi negozianti multimarca, che hanno costituito la spina dorsale del commercio italiano dal dopoguerra a oggi. Continua a leggere Io imprenditore, il mercato e la sindrome cinese

Il Nobel inconsapevole

Mi fa una certa impressione leggere le notizie che arrivano dalla Cina, dove c’è un premio Nobel in galera che non sa ancora di essere stato premiato e dove il governo ha messo il filtro a tutte le comunicazioni. Anche (e soprattutto) quelle private.
Il paese più popolato del mondo si batte quindi per sterilizzare l’immensa catena neuronale del suo cervello collettivo. E-mail, sms, comunicazioni via web sono controllate con un intento che se non fosse reale, sembrerebbe figlio di una verosimiglianza zoppicante: questo povero Liu Xiaobo non deve sapere di essere un simbolo eletto da quella porzione di mondo che non è il suo paese (con qualche eccezione tipo Cuba).
La vicenda, in piccolo, mi ricorda la storia di un mio amico di infanzia che, coinvolto in una inchiesta giudiziaria, aveva una sola preoccupazione: tenere all’oscuro di tutto gli anziani genitori. Non era ancora epoca di internet quindi l’operazione non era impossibile.
Dato che la notizia del suo coinvolgimento era sulla cronaca di Palermo del Giornale di Sicilia, lui pensò bene – nottetempo – di partire per la Valle dei Templi per procurarsi un’edizione di Agrigento che fece trovare a casa dei suoi la mattina dopo. Poi andò sul terrazzo e staccò il filo dell’antenna della tv. Infine fece sparire l’unica radio che c’era.
Trattenne il fiato per 48 ore e gli andò bene. In fondo l’inchiesta in cui era coinvolto era roba da poco.

La valvola del Kirghizistan

Scontri in Kirghizistan.
Il titolo sembra essere fatto apposta per dire: ok, ci sono anche notizie riempitivo.
In realtà il Kirghizistan è uno stato asiatico che ha tutti i requisiti per essere fonte di notizie di una certa importanza: è una costola dell’ex Unione sovietica, è la miniera dell’uranio russo, è un insieme di etnie molto diverse tra loro, è teatro di un recentissimo colpo di stato, è poverissimo, è una rampa dei militari statunitensi verso l’Afghanistan, confina con Cina, Kazakistan, Tagikistan e Uzbekistan, mica Svizzera o Liechtenstein (che esiste solo negli atlanti geografici pur vantando gli abitanti col più alto reddito pro capite del mondo).
Solo che nell’era in cui certi concetti invecchiano senza essere mai nati, il Kirghizistan dovrebbe rappresentarne uno ben concreto: lo stesso che ci spinge a controllare la valvola di sicurezza della pentola a pressione.

La notizia più letta del mondo

Per la serie “incredibile ma vero” rimbalza sul web il risultato di una ricerca sulle notizie più lette del decennio.
E sapete qual è l’argomento che ha tenuto banco dal 1999 a oggi?
L’11 settembre? Sbagliato.
La guerra contro Saddam? Sbagliato.
La recessione economica?  Sbagliato.
La risposta esatta è: l’ascesa politica ed economica della Cina.
Uno si immagina tutto un mondo di lettori che si sveglia – per dieci anni! – e si addormenta con lo stesso pensiero: che si dice in Cina oggi?
Chissà se qualcuno dei ricercatori si sarà chiesto quanto influisce nella domanda globale di informazioni il fatto che la Cina sia il paese con la popolazione totale più numerosa del pianeta. Insomma, basta che la maggioranza dei cinesi faccia qualcosa per assurgere a fenomeno.
Ci vuole un team di ricercatori per capirlo?