La lezione della ragazza con la chemio nella borsetta

eleonora letizia futura marsalaUn estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.

A leggere le sue parole sembra che la morte più che spaventarla la annoiasse. Per questo Eleonora Marsala, anzi Eleonora Letizia Futura Marsala come si firmava sul suo blog, da quando il cancro al colon l’aveva colpita tre anni fa, aveva cominciato una battaglia parallela a quella medica, una battaglia per il diritto all’allegria.
Si faceva chiamare “la ragazza con la chemio nella borsetta” ed era diventata molto popolare nel web, specialmente dopo che la tv e i giornali si erano occupati di lei. (…)
Sembrava imbattibile Eleonora, forte di quel corpo indebolito, armata delle cicatrici che aveva messo in mostra su una pagina Facebook intitolata “le tacche della vittoria”. Sembrava potercela fare e invece non ce l’ha fatta, a conferma che il destino non ama la meritocrazia.
Però, andandosene, questa combattiva trentatreenne palermitana ci ha lasciato una lezione sull’importanza di chiamare le cose col loro nome. Troppe volte noi giornalisti ci siamo rifugiati nell’espressione “male incurabile” per narrare del cancro, come se ci fosse imbarazzo nel pronunciare la parola giusta. Lei invece è sempre andata dritta al cuore del problema. Si mostrava com’era, coi capelli rasati a zero, con la parrucca, con i tagli di sette operazioni colorati sul suo corpo da un’amica body painter. Continua a leggere La lezione della ragazza con la chemio nella borsetta

La chemioterapia, l’Imu e il cancro della stupidità

In Sicilia la candidata montiana Gea Planeta Schirò ha paragonato l’Imu alla chemioterapia, inanellando una cazzata dietro l’altra. Se ne scrive con chiarezza su diPalermo, ma qui mi sembra necessaria un’appendice di provocazione che neutralizzi spero definitivamente questa scemenza.
La Planeta Schirò non ha una colpa originale, tutta sua, ma ha semplicemente mutuato il linguaggio della vecchia politica che lei stessa vorrebbe combattere. La lingua delle estremizzazioni, dell’ostentazione dei diti medi, delle toccate di culo, dei membri eretti e delle pallottole per i giudici non allineati.
Probabilmente la candidata non sa, o ha dimenticato, che il Paese si è rotto le scatole di queste esibizioni, non già perché bacchettone e parrinaro, ma perché stanco di essere preso in giro da guitti che si credono maestri di vita. La volgarità è l’esercizio più facile che esista: basta non riflettere, non progettare, non rispettare. E i politici che si esibiscono nei turpiloqui, metaforici o esplici, non meritano pernacchie né pomodori in faccia. Meritano l’omologazione con l’oggetto dei loro pensieri mefitici, meritano di vedersi – in uno specchio virtuale – come loro vedono gli altri.
Cioè così.


Curabili

Alcuni giornalisti, sbagliando, lo chiamano “male incurabile”. Perché hanno paura di scrivere o pronunciare la parola cancro. Altri, i migliori, non solo la malattia la chiamano col suo nome ma raccontano anche come si fa a combatterla e implicitamente ci dimostrano perché quella definizione generica è sbagliata in toto: perché se fosse davvero incurabile non ci sarebbero testimonianze come quella, bellissima, di Marina Turco, che parte da un tragico fatto di cronaca (la morte di una donna per una dose sbagliata di chemioterapici) e approda in quel luogo dell’anima in cui le esperienze di una sola persona diventano occasione di riflessione collettiva.