Uscire dalla tomba

Poco si sa, e quel poco è meno che irrisorio, sui candidati a sindaco di Palermo. Per certi versi è una fortuna giacchè, ogni tanto, la speranza è un foglio bianco. Tra autocandidature nate dopo un antipasto in trattoria e indiscrezioni attendibili quanto un’invettiva no vax di monsignor Viganò, affiora un’investitura che pare tanto credibile quanto esilarante. Sovrabbondano i personaggi, latitano le persone.
Usciamo dalle metafore e diciamocela tutta: una città come Palermo, che non è sovrapponibile per casini e prospettive a nessuna altra città italiana, ha bisogno di un “sindaco professionista”.
Mi spiego.
La favola bella della società civile che sforna casalinghe dotte, archeologi, scrittori, presidi, farmacisti, impiegati, giornalisti, tutti pronti a risollevare, ricostruire, ridisegnare va bene per chi scambia l’ottimismo con la mortadella sugli occhi. Per governare Palermo non serve un professore di matematica che sappia fare bene i calcoli, ma un politico che sappia leggere attraverso i numeri. Serve un manager che conosce, oltre agli equilibri finanziari, anche l’arte della gestione dei rapporti umani. Serve un figlio della politica che ne sappia diventare padre.

Orlando ha avuto la sua visione che ha dato i suoi frutti ma ha anche accumulato le sue scorie. Ha messo Palermo su un piedistallo, ma non si è curato della polvere del ripiano sul quale quel piedistallo era stato adagiato. Ed è riuscito, con un inusitato snobismo comunicativo, a farsi torto laddove aveva ragione, tranciando laddove poteva sezionare con cura, trascurando laddove poteva delegare. E la visione a poco a poco si è ristretta, ostruita da un cassonetto stracolmo o da una bara senza sepoltura. Ne riparleremo giacché l’orlandismo al tramonto merita più di un inciso in quaranta righe.
Resta la necessità di dirci le cose come stanno.
L’arrembaggio di candidature senza una narrazione è il vero problema di una campagna elettorale che misurerà la temperatura di un elettorato disperso, disorientato, disinformato (per colpe soprattutto sue, dell’elettorato intendo).
Il nuovo sindaco professionista di Palermo non è la morte dei partiti. Manco i 5 stelle sono riusciti a celebrare il funerale dei partiti e il loro fallimento è dinanzi agli occhi di tutti, persino i loro (che infatti si sono riparati sotto l’ombrello di quegli stessi partiti che prima additavano come la kriptonite).
Il nuovo sindaco deve provenire dai partiti, ma deve essere in grado di costruire una squadra super specializzata fuori dai partiti. Deve conoscere la politica e non orecchiarne i contenuti saltando da un festival a una convention, forte del suo essere altro.
E la società civile? È lì che ci conduce il nostro ragionamento.
Non credo che la società civile possa più partorire leader, ma che li possa sostenere se è il caso. Ammesso che riesca a uscire dalla sua tomba. A Palermo è difficile finirci in una tomba, figuriamoci uscirne.

Facce appese al muro

Nella mia città, Palermo, si voterà in primavera per le amministrative.
Un esercizio istruttivo consiste nel girare per le strade con lo sguardo rivolto ai muri ovvero ai manifesti elettorali, che sono lo specchio di una competizione, quella elettorale, evanescente per assioma.
Giorno dopo giorno le affissioni si arricchiscono di nuove facce e nuove storie (o meglio non-storie) da candidatura. Qualche settimana fa c’era un tale, credo consigliere di quartiere, che salutava i suoi elettori facendo finta di stappare una bottiglia di spumante ancora sigillata, probabilmente perché doveva essere restituita.
Oggi sui muri ci sono promesse e dilettanti, analfabeti (c’è un candidato sindaco che ha problemi con la consecutio, anche in sede di cartellonistica) e nullafacenti.
Cos’hai fatto per chiedere un voto?
Io? Ho protestato molto nel mio tinello.
Le elezioni sono un carrozzone sul quale chiunque crede di poter salire, basta aver consultato gli amici. Del resto, dalle nostre parti funziona così: “Io sono molto bravo”. “E chi lo dice?” .“I miei amici di Facebook”. “Ah, allora…”.
Una volta il direttore di un giornale sentenziò: “Andreotti con la mafia non c’entra”.
E io: “E chi te l’ha detto?”.
“Lui”, rispose il direttore.
Finì come finì, a discapito del mio senso di utilità.
Chissà, il prossimo sindaco, o il prossimo premio premio Nobel, lo decideranno gli amici via Facebook.

Il fidanzato furbo

Ti lascio perché t’amo troppo, dice il furbo e stanco fidanzato. Così ha fatto Cammarata con Palermo il 16 gennaio. E Palermo non se l’è neppure presa. Né la città, né altri. Il fallimento di Cammarata era la ricetta elementare per una campagna elettorale di centrosinistra (anche da primarie) facile, veloce, liberatoria, persino divertente; tali e tante sciocchezze si sono viste fare e dire in questi anni. E invece no. La stupefacente sindacatura di centrodestra inventata da Gianfranco Micciché non è un tema, non è spettro da scacciare, non è slogan, non è memoria. E soprattutto non unisce.

Marina Turco su Mezzocielo.

 

Il partito stagionato

Se c’è qualcuno di voi che conosce personalmente Pierluigi Bersani, o che può arrivare a lui tramite pochi passaggi, dovrebbe per favore chiedergli di rispondere alla seguente domanda: perché il Pd che da anni ha grande familiarità con le sconfitte a tutti i livelli, non decide una buona volta di puntare su volti nuovi e sui giovani?
A guardare certe candidature a sindaco e soprattutto a esaminare la nomenclatura del partito viene il dubbio che il tempo per Bersani e compagni sia una variante ininfluente. Quasi come i risultati.

In fondo a sinistra

A Palermo il centrosinistra ha fatto un casino e le primarie sono saltate. E’ poco elegante dire che nel mio piccolo l’avevo previsto, lo so. Però siccome qui non stiamo a pettinare le bambole e sono parecchio arrabbiato per come è finita la vicenda, me ne frego e linko questo post che già quasi due mesi fa annunciava il disastro politico.

Racchie e bone

Un tremendo effetto collaterale causato dalla terapia berlusconiana allo Stato italiano mi pare che sia quello della criminalizzazione della bellezza femminile. Siccome il premier ha, diciamo, un debole per le ragazzine carine, diventa automatico indignarsi quando si vede una parlamentare o un’aspirante tale appena passabile.
Il rischio è quello di promuovere tutte le racchie a simbolo dell’intelligenza e tutte le bone a simbolo della vacuità.
Per coscienza, formazione e per un residuo di mascolinità, mi oppongo fermamente a questa logica.
E’ vero che l’aspetto fisico non deve essere decisivo per la scelta di una candidata alle elezioni (oddio, parlo come monsignor Coletti), ma è anche vero che non deve diventare un elemento di discriminazione.
Insomma, evitiamo generalizzazioni e non sputiamo sulla bellezza solo perché qualcuno ha un problema con la scala dei valori.
Altrimenti si finisce come quel pescatore che sentendo gli amici lamentarsi per l’alta marea, iniziò a svuotare il mare col secchiello…

First class

Veronica Lario sulle donne candidate Pdl: “Ciarpame senza pudore“.

Una signora… notizia.

Vacillano troni e troniste, si alzano veli e veline, Iva Zanicchi ha riunito la sua political intelligence.

Aggiornamento: nei commenti trovate anche una geniale poesiola di Toto Rizzo.