Peggiorare, per fortuna

Piccolo ripasso (della serie il web utile). Le sensazioni gustative pure, basate sui cinque sapori fondamentali (acido, amaro, dolce, salato, umami), segnalano la digeribilità e il valore nutritivo o tossico degli alimenti. Fin dalla nascita il neonato umano mostra di gradire alcuni sapori e di essere disgustato da altri. Il sapore dolce, che indica la presenza di carboidrati apportatori di calorie, è piacevole per tutti i mammiferi, incluso l’uomo, con l’eccezione dei carnivori (in tal senso io sono equiparato a un tossicodipendente). Il sapore salato, spiegano gli scienziati, può risultare sgradevole nella primissima infanzia, ma con la crescita “esso viene ricercato, specialmente se vi è carenza di sodio, elemento essenziale per la vita”. L’aumento della preferenza per cibi salati, che si verifica quando il bilancio del sodio è negativo, non è osservabile nel neonato poiché richiede un periodo di maturazione, indipendente da un apprendimento specifico.

La repulsione per cibi fortemente acidi è un’ovvia difesa contro il potere corrosivo che gli acidi possono esercitare sui tessuti biologici, e parlo a nome della grande famiglia dei followers dell’ernia iatale. A dire il vero suscitano un’avversione innata anche varie sostanze di sapore amaro, probabilmente a causa della loro scarsa digeribilità o tossicità. Molti veleni vegetali hanno un sapore amaro, Agatha Christie docet, ed è verosimile che “fra i progenitori prevalentemente frugivori (cioè che si nutrivano di frutta o semi) dell’uomo moderno sia avvenuta una selezione naturale a favore degli individui geneticamente predisposti a evitare cibi amari”. La reazione riflessa e innata di rigetto nel confronto di sapori amari consiste “nell’apertura della bocca, nella protrusione della lingua e nell’espulsione del contenuto della cavità orale, o anche nel vomito”. La notizia meravigliosa è che questa reazione, che è già osservabile nel neonato umano, nell’adulto può essere inibita nel caso di sapori amari come quelli del caffè, della birra, degli aperitivi, di alcuni deliziosi superalcolici e dei cioccolati amari, che con l’esperienza possono diventare gradevoli. Molto gradevoli.

Tutto questo ripassino per ribadire che non solo siamo ciò che siamo stati, ma che per fortuna possiamo migliorare: peggiorando.

Eravamo io, un iraniano, un egiziano e una pizza

I Cammini sono fatti di passi. Alcuni anche falsi. Tutti i Cammini hanno una quota di imprevisto che va considerata ontologica e che non è scindibile dalla parte poetica e da quella prettamente fisica (i Cammini sono faticosi, devono esserlo altrimenti diventano passeggiate ai giardinetti).
In questo blog vi ho raccontato molti imprevisti: dalle strade sbagliate in piena montagna e senza copertura telefonica all’albergatore che si inghiotte la tua prenotazione lasciandoti all’addiaccio, stanco, sudato e incazzato (immaginate il conseguente mix micidiale di attributi rotanti).
Più prosaicamente, magari a favore di citazione, i successi sono impastati anche con la sabbia dell’insuccesso, che può avere varie graduazioni, ma qui non ci impelaghiamo in distinzioni sterili tipicamente social e altrettanto tipicamente stupide.
Un’avvertenza.
Scrivo queste righe da una pizzeria alla periferia di Pavia. Uno dei pochi locali aperti in questo periodo nella zona in cui mi trovo. Quando uno in estate cammina, e cammina a lungo, la sera non può farsi altri chilometri per sfamarsi dal momento che i piedi e le gambe sono già belli e andati: ma questo è l’ABC. Il vero disastro è girare con sandali (i piedi devono stare sempre nudi durante il riposo) e pantaloncini in luoghi frequentati da persone “normali”: non è proprio il passepartout per un ristorante stellato.

Insomma sono in una pizzeria dove il proprietario è un iraniano, con un egiziano che lo aiuta e un non meglio identificato locale che sovrintende alle paturnie del proprietario-pizzaiolo-manager. Dettaglio non troppo dettaglio, parlano tutti pavese. Nel senso che hanno un’integrazione attiva che certi malacarne improvvisati proprietari-pizzaioli-manager delle mie parti se la sognano. Quindi chapeau prima ancora di assaggiare.
Ho chiesto asilo in questo locale non solo per la pizza, ma anche per stare un po’ a scrivere, per i fatti miei.
Loro hanno sorriso.
Io ho chiesto cosa c’era da bere, of course.
Loro hanno tirato fuori il loro pezzo migliore, una Peroni ghiacciata (Fantozzi docet). Mi hanno fatto accomodare in uno dei sette tavoli vuoti del locale (questa è una pizzeria da asporto che non aspira ad altro) e mi hanno sparato un ventilatore in faccia: il fresco condizionato qui sarebbe un’offesa al buon nome del locale.

Insomma sono qui, con la mia Peroni e gli iraniano-egiziani sorridenti che si sbattono per tirare a campare. Una tranche de vie memorabile alla mia età. Perché io faccio il turista e loro stanno qui a trattarmi con riguardo non affettato. Io scrivo e loro stanno lì a sgobbare al caldo, che arriva anche al mio tavolo, ma grazie al ventilatore il fastidio diventa persino spunto di narrazione: siamo fatti di paragoni e troppo spesso sbagliamo a mettere a fuoco.
Sono finito qui perché ero stanco. E ora ci rimango perché, all’improvviso e senza alcuna giustificazione recensibile, sto bene. Al caldo nell’afa, con una birra che non berrei mai, in mezzo a un viavai di clienti che ordinano, aspettano impazienti e se ne vanno.

Perché sono finito qui?

La risposta sta nelle prime righe di questo post e la sublimo in una parola.
Imprevisto.
Una seconda parola, mi voglio rovinare.
Contrattempo (ma trattasi di sinonimo quindi non vale).
Avevo prenotato un appartamento in un posto che pareva figo. Si chiama Mood Villa Glori, tenetelo a mente quando volete scansare qualcosa. Un posto dall’altra parte della città, in centro.
Quando sono arrivato per prendere possesso della stanza, dopo venti e passa chilometri sotto il sole, non ho trovato nessuno. Ho cercato il numero di telefono nella prenotazione dell’agenzia e ho chiamato. La voce è stata sbrigativa: mi mandi foto della carta di identità e codice fiscale e le invio le istruzioni, si ricordi di lasciare 10 euro domani per la sanificazione (ma non avevo pagato un tutto incluso?).
Poi tutto accade via whatsapp.
Io eseguo e quello mi manda una schermata di istruzioni standard. E qui mi sarei dovuto insospettire: la schermata standard è piena di refusi e strafalcioni. Ma come, neanche ti dai la pena di scrivere qualcosa di personalizzato per uno che ti sta pagando (non poco) e per giunta mandi un jpeg che Marta Flavi al confronto è un Nobel per la Letteratura?
Niente, sono troppo stanco, sudato, sfatto.
Raggiungo la stanza e trovo una stamberga. In pieno centro, ma una stamberga. In fondo anche i portici delle Poste di Palermo sono in centro, ma dormirci sotto – se non sei un santo in terra come Biagio Conte – non ti fa certo sentire nel groove della città.
Seguono rapidi dettagli tecnici. Stanza angusta in cima a una scala angusta. Niente aria condizionata nell’estate più calda di sempre. Manco un campioncino riciclato di bagnoschiuma. Un solo interruttore per tutte le luci: che se tu vuoi leggere devi metterti a favore di plafoniera centrale e soprattutto alzarti, quando ti stai per addormentare, in modo che ti possa svegliare in tempo per recuperare il letto e non assopirti per terra.
Niente wi-fi, a parte una “saponetta” anteguerra messa lì per fare da comparsa. E soprattutto niente connessione ordinaria con il tuo telefono dal momento che alcune compagnie, tra cui la mia, lì sono in zona d’ombra: un dettaglio non indifferente se dialogate con un tale che non si manifesta di persona e che chatta solo via whatsapp. Della serie un muto dice a un sordo, ma il sordo ha già i soldi in tasca e di quello che il muto gli dice non gliene può fregare di meno.
Singhiozzo le mie proteste, non piangendo ma sperando nel refolo di connessione in questo angolo infausto di (in)civiltà, e faccio quel che alla fine mi riesce meglio. Mandare a fanculo, ahimè.
Imprecando mi trovo un’altra sistemazione con un corredo di problemi che a voi possono sembrare insignificanti e che io riassumo in poche parole: fatica, piedi doloranti, caldo asfissiante, voglia di doccia e letto.

E ora sono qui. Nel meraviglioso opposto del Mood Villa Glori.
Alla pizzeria Aselli.
Col ventilatore che mi allieta l’orecchio sinistro e la compagnia che, involontariamente, mi regala il sottosopra della mia mission.
Ascoltare, esplorare, isolare.
Tracciare un perimetro tra ciò che siamo e ciò che ci influenza a prescindere di ciò che siamo.
E chissà, scoprire l’imperdibile ispirazione di una Peroni ghiacciata.

2-continua

Le altre puntate qui.

A questo argomento è dedicato il podcast in due puntate “Cammino, un pretesto di felicità” che trovate qui.

Non ci vede nessuno

Su Bild un’esagerata galleria fotografica testimonia gli effetti secondari dell’Oktoberfest sulla libido.

No, grazie

Mi hanno offerto questa birra. L’ho rifiutata.

Biologia di maschio e femmina alla prova dello shopping

Se volete avere una dimostrazione biologica della differenza, al di là delle soggettive sfumature,  tra uomo e donna dovete sottoporvi alla prova dello shopping.
Lei è felice di immergersi nel traffico, anche se siamo in clima prenatalizio. Lui no.
Lei non si lascia intimorire da una commessa scocciata e sudata. Lui alza bandiera bianca perché ha altre cose a cui pensare.
Lei spulcia tra gli scaffali senza sosta. Lui cerca una sedia.
Lei indossa, prova e diffida persino dei propri sensi. Lui pensa all’auto parcheggiata in terza fila.
Lei non si accontenta neanche davanti alla perfezione perché la perfezione è sinonimo di rassegnazione. Lui è rassegnato e coscientemente imperfetto.
Lei si lascia convincere da un paio di pantaloni che le stanno bene. Lui si cala in un paio di pantaloni convinto che gli stiano bene.
Lei per prima cosa si guarda il sedere allo specchio. Lui si mette le mani in tasca e ravana.
Lei è in grado di restare nel camerino della boutique anche due o tre ore. Lui si lamenta perché la musica è ad alto volume e non riesce ad appisolarsi.
Lei torna a casa reggendo i pacchi come fossero una preda. Lui scassina il frigo alla ricerca di una birra.

Tutto il mondo non è paese

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Scrivo da un bar dove un cameriere cortese ti porta la tua birra da due euro, insieme al codice da inserire per la connessione internet. Intorno ci sono persone che ridono e non parlano male del governo. Fuori c’è gente che non è abituata a guardare i tg aspettando l’ennesimo choc istituzionale.
Non sono in Italia.

Foto di Daniela Groppuso.