Vino amaro

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Molti anni fa al Messaggero ebbero un’idea bellissima. Per dimostrare che nella valutazione di un ristorante un ruolo di primo piano ce l’ha anche il servizio, vennero inviati una decina di cronisti in alcuni importanti locali di Roma con l’obiettivo di verificare la pazienza dei camerieri. Ne venne fuori uno spaccato molto divertente in cui i giornalisti raccontavano come avevano dovuto mentire rimandando indietro pietanze squisite.
Pensavo a questo articolo l’altra sera quando, in un ristorante sul lago d’Orta, mi è capitato di bocciare due – ben due! – bottiglie di Barolo perché non erano degne del loro prezzo (una era vicina all’imbevibile). Il giovane sommelier che mi aveva proposto il vino si è trovato in perfetta sintonia con le mie decisioni e ciò mi ha rincuorato, conscio del valore economico di che andava sprecato. In compenso la proprietaria del locale non l’ha presa benissimo e, dopo un’accoglienza cordiale, non ha più rivolto la parola a me e a mia moglie.
Abbiamo ripiegato su un più modesto Barbera e tutto è andato bene.

Un sussurro: forza Palermo


Weekend a casa di amici al Nord.
Sabato sera si riesce a trovare la pizzeria adatta. Adatta nel senso che ha un televisore sintonizzato su Sky Sport. Palermo-Milan non si può perdere.
Solo che il locale, oltre ad avere una tv troppo piccola per le mie diottrie, è anche un ritrovo/ricovero dei membri di un Milan Club locale.
Pazienza (che fa rima con prudenza).
Prendiamo posto. Al nostro tavolo siamo in quattro: solo due, io e la mia compagna, tifosi del Palermo. I nostri amici, padre e figlio, sono lombardi interessati al calcio quanto una talpa alla Venere di Botticelli.
Il cameriere, che ha riconosciuto il mio accento, fa finta di niente e si divide tra il nostro tavolo e la schiera di sedie degli ultras piazzate davanti alla tv. Menu per noi, birra per loro. Pizza per noi, birre per loro. Pizzoccheri per noi, birre per loro. Birra per noi, birra per loro.

Al fischio d’inizio noi mangiamo e loro brindano.
Il Palermo, per quel che intravedo sul teleschermo, pare messo bene. Non distinguo i giocatori, tiro a indovinare a seconda dei ruoli e dei movimenti.
Il gioco è corretto, riesco a star zitto per lunghi minuti come mi ha raccomandato il figlio del nostro amico.
Poi segna Bovo e la mia compagna si lascia sfuggire un miagolio.
Davanti a noi un boato di bestemmie scaturisce da una sola ugola, quella di un giovane insaccato in una maglietta bianca che annuncia spalle pelose.
La bestemmia scuote il nostro amico, che comunque rinuncia a protestare per evitare di attirare l’attenzione su di noi.
E’ difficilissimo seguire una partita e non far trasparire alcuna emozione.
Ogni tanto, senza volerlo, scatto in piedi ma subito vengo afferrato per i pantaloni come un bambino capriccioso.

Una bottiglia d’acqua, per favore.
Gasata o naturale?
Gasata, grazie.
Il cameriere non ha il tempo di posare la bottiglia sul tavolo che Hernandes mette dentro la seconda rete.
Ci stringiamo le mani sotto il tavolo come amanti clandestini, mentre il Gran Bestemmiatore fa tremare i muri.
Mia madre e mio padre, veterani del tifo rosanero, continuano a mandare sms di gioia. E’ il loro modo di avere nostre notizie perché sanno della nostra scomoda posizione: finché rispondiamo, tutto bene.
Inventandomi una neutralità tarocca, abbozzo un paio di giudizi tecnici con due signori che stanno in un tavolo vicino al nostro. Quelli mi guardano sorridendo: penso di averli convinti. In realtà scoprirò più tardi che sono interisti.
“Cerca di non parlare”, mi ripete il ragazzo che è con noi, avvertendo una tensione che cresce nel gruppetto degli ultras.
Quelli chiedono ancora birra. Io devo andare alla toilette che è proprio accanto a loro.
Testa bassa e passo veloce, punto la porta del bagno. Una maledetta labirintite mi fa zigzagare proprio mentre passo davanti agli occhi del bestemmiatore che mi scambia per un ubriaco.
Il tempo di sbrigare la mia pratica ed esco nel momento in cui Seedorf accorcia le distanze.
Trattengo il fiato davanti all’esultanza del gruppetto e torno al mio tavolo senza barcollare.
Cerco il tono di voce più neutro per dire che il Milan non va sottovalutato, che è sempre una bella squadra e che il Palermo sta comunque dominando. In realtà non mi ascolta nessuno, ma io zitto non posso stare.

Due grappe, per favore.
I rosanero soffrono un po’. Un paio di bestemmie sottolineano le incertezze degli attaccanti milanisti.
Avanti così, penso.
Avanti così, prega la mia compagna. Per la squadra e per la nostra incolumità.
Poi arriva la magia di Miccoli che con la leggerezza di un artista manda il pallone in rete…
Tutto si ferma.
Il Gran Bestemmiatore perde la lingua.
I nostri amici si guardano smarriti.
Il cameriere si incanta con due margherite in mano davanti al replay.
La mia compagna mi afferra per un braccio.
Io contengo fino quasi all’implosione un urlo. Ne viene fuori un “sì!” che si perde nel brusio della pizzeria, nella gioia del Barbera che filtra a mezzo volume dalla tv, nel tintinnio della campanella che dalla cucina annuncia altri pizzoccheri pronti.
Il resto è tutta discesa. Il gioco fino al novantesimo, gli sms con i miei genitori, il rompete le righe dei tifosi rossoneri, il conto da pagare (offriamo noi ovviamente), l’uscita da guadagnare.
In auto finalmente si esulta come ragazzini in gita scolastica.
Il tifo è come lo starnuto: trattenerlo può far male alla salute.

Un buon look per il derby

palermo-catania

di Cinzia Zerbini

E’ di pelle e giace nel mio armadio da almeno un anno. E’ un giubbottino rosa, di quelli leggeri, da primavera. Quando lo indossai tutti mi dissero: “Bene, finalmente ti sei convertita! “  Oddio che ho fatto? Ho pensato. E in effetti  sotto il giubbotto un paio di pantaloni neri marcavano un’appartenenza  calcistica che andava sfatata subito. L’indomani indossai  i miei pantaloni blu con una maglietta rossa. E tutti a dirmi: “Io non mi vestirei così. Con le ultime brutte figure che avete fatto…”.
Vivere a Palermo da etnea significa subire uno sfottò continuo nel caso di sconfitta. Quando il Catania perse 5 ad uno, per mesi, dal barista al parrucchiere, mi salutarono con il palmo aperto.  Significa sentirsi dire che Zenga è peggio di Ballardini. Significa non capire nulla di calcio e pur tuttavia sapere chi è Fontana, chi è Canzonieri e chi è Mascara. E so anche chi è Amelia.
I muri di Palermo sono pieni di inviti ai catanesi. Ovunque vengono mandati a quel paese con una buona dose di epiteti non proprio edificanti. Conosco palermitani, con laurea, che pur di vedere soffrire i catanesi venderebbero la propria madre. Ci sono professionisti catanesi che farebbero altrettanto.  Vivere da etnea a Palermo significa sentirsi dire, in una pessima imitazione della cantilena: “Io ho un sacco di amici a Catania… Siete più avanti di noi, siete simpatici… Pensa: il mio migliore amico è di Catania e addirittura una volta sono stato fidanzato con una delle tue parti”. Sconvolgente.
Così domenica,  io e altre “extracomunitarie” trasferite da anni nel capoluogo (chi per amore, chi per lavoro) andremo al Barbera.  Abbiamo già il posto in tribuna e ci mescoleremo tra la folla sperando di non essere additate al pubblico ludibrio. Nel caso di vittoria catanese esulteremo in modo discreto. In caso contrario mal celeremo il nostro disappunto.
Abbiamo già scelto il look. Indosseremo capi e accessori rigorosamente rosa, nero, rosso e blu.  Forse ci arresteranno per policromia azzardata.