Una Chianello senza musica

L’articolo pubblicato su Repubblica Palermo.

In quello che verrà ricordato dai posteri come il sillogismo di Miccichè (Berlusconi è sopravvissuto al Coronavirus, Berlusconi ha 85 anni, quindi il Coronavirus non è più quello di una volta) c’è un solo difetto: manca la musica. Il verbo del presidente dell’Ars non è solo la versione noiosa del tormentone di Angela Chianello (“Non ce n’è Coviddi”), maître à penser formatasi nella battigia di Mondello e maturata nelle trasmissioni di Barbara D’Urso, ma anche un raffinato affresco di negazionismo scientifico applicato alla politica: “A Roma sono innamorati dell’emergenza perché nell’emergenza possono fare quello che vogliono”. Che è come dire che tutti i medici e gli scienziati che si sbracciano per metterci in guardia dall’aumento dei contagi sono in fondo complici di un gioco delle tre carte. Nel 2010 Silvio Berlusconi, in uno dei suoi noti slanci di realismo, disse che nel programma del suo governo c’era l’impegno di sconfiggere il cancro entro tre anni e probabilmente fu per un intoppo nel meccanismo della propaganda che non si stamparono i manifesti “Meno tumori per tutti”. Oggi Miccichè va ben oltre quel limite di panzane e si ricollega a quel filone culturale che dai “Gilet arancioni” di Antonio Pappalardo al “Popolo delle mamme” vede complotti a ogni angolo e anzi inventa nuovi angoli per non morire di noia. È in qualche modo un upgrade del sonno della ragione che non si accontenta più di generare mostri, ma li vuole retwittare, condividere, spammare, li alimenta per trovare uno slancio vitale verso qualcosa che proprio vitale non è. Il negazionismo di Miccichè è una cosa seria, esattamente come gli show della Chianello su Instagram e come la cialtronaggine dei no mask. Però almeno con la Chianello si ride.

“D’Urso, Carfagna, Yespica, Rodriguez e altre che non ricordo…”

D'Urso, Carfagna, Yespica che si masturbavano

La testimonianza di Ruby, ovvero Karima El Mahroug, inserita nelle motivazioni della sentenza di primo grado che condanna Silvio Berlusconi a sette anni per concussione e prostituzione minorile.

AGGIORNAMENTO. Barbara D’Urso ha diffuso questa nota in cui dichiara la sua estraneità rispetto al Rubygate.

L’informazione politica di Barbara D’Urso

Il nuovo corso dei pomeriggi televisivi di Barbara D’Urso prevede uno spazio di approfondimento politico. Funziona così. La conduttrice mette insieme vari personaggi politici – il livello medio alto è Daniela Santanchè – di vari partiti e di varia estrazione (c’è il deputato, il consigliere comunale, il sindaco di un piccolo paese, eccetera). Poi dà la parola al pubblico, che è stato selezionato ed allevato come si fa coi leoni del circo, e si scatena la rabbia cieca. Il numero tipico è quello di un signore, che sino a qualche ora prima era un tranquillo pensionato, con la bava alla bocca che sbraita: “Siete tutti ladriii!”. Non c’è mai un’argomentazione, non c’è mai il tentativo di scalfire la corteccia del qualunquismo, qui e in tutte le opere della D’Urso. Nel siparietto popolar-politico va in onda un finto pluralismo di posizione che illude e deteriora gli spazi di libero pensiero. Perché la casalinga distratta che mescola la polenta mentre guarda “Pomeriggio 5” magari si convince che la spending review raccontata con l’effetto flou di Barbara D’Urso è un’invenzione degli anarchici e che il motto della modernità è “si stava meglio quando c’era lui”. Il pubblico in studio grida e suda, i politici in studio gridano e sudano per solidarietà, la conduttrice rasserena i finti animi con una finta equidistanza che è più irritante degli antichi pipponi di Emilio Fede. Il risultato è un can can di populismo mirabilmente in linea con la beatificazione accordata da Berlusconi che ha posizionato la D’Urso nell’olimpo del (suo tipo di) giornalismo.
La nuova informazione politica del regime di plexiglass arcoriano non passa più dai tg addomesticati, ma filtra subdola attraverso programmi di alleggerimento cogliendo di sorpresa i telespettatori più ingenui, più distratti, più deboli. Probabilmente dovremo rivedere il nostro concetto di fascia protetta.

Se il Paese reale se la ride del web (e di tutti noi)

La rinascita di Berlusconi era inaspettata. Dovunque, principalmente sulla gogna di Twitter e sulla piazza di Facebook, le sue sparate suscitavano migliaia di battute e reazioni di scherno che sembravano aver sterilizzato l’elettorato dalle facili promesse e dai guizzi del grande giullare.
E invece i risultati sono stati quelli che conosciamo.
Da giorni i migliori analisti s’interrogano sulle doti del Grande Comunicatore e sulla ruffianeria dei suoi programmi televisivi – quello di Barbara D’Urso su tutti – ma risparmierebbero tempo e fatica se rivolgessero la loro attenzione esclusivamente al web. Dal web infatti sono venute le illusioni ottiche, le false prospettive, le congetture secondo le quali Berlusconi era spacciato. L’ironia di internet ha gonfiato le gote del pagliaccio senza depotenziarne la capacità di fare proseliti. E perché?
Perché l’Italia vera non è quella che sta in rete. Perché, checché ne dica Grillo, il web non è il termometro di un Paese con la febbre alta: è solo uno sfogatoio in cui la maggior parte delle persone non è disposta a mettere in atto neanche l”uno per cento di quello che promette a followers e sodali telematici. E poi arrendiamoci all”evidenza: chi si prende la briga di smanettare dietro a un computer ha un senso critico che non è quello dominante. Il Paese che conta è quello che va a votare aspettandosi l’immediata restituzione dell’Imu con gli interessi, è quello che il pc non sa cosa sia, è quello che si pianta davanti a Pomeriggio Cinque rincoglionendosi con le faccine della conduttrice. Tutti noi, in queste pagine virtuali, ci illudiamo di fare massa, soprattutto massa critica e invece siano solo una massa lasciata all”ammasso.
Il Movimento 5 stelle è una minuscola eccezione di fronte al dilagare delle chiacchiere inconsistenti della rete e sul fenomeno ha un”incidenza minima: quella di Grillo è una vittoria concreta, internet c”entra poco o nulla.
Su Twitter ci ammazziamo dalle risate prendendo in giro i potenti e chi gli va appresso, ma al confronto siamo quattro gatti spelacchiati e pure un tantino sfigati. Immaginate le risate che adesso si stanno facendo tutti quelli che hanno portato di nuovo Scilipoti in parlamento, Berlusconi in auge, Bersani sull’orlo della depressione e Ingroia nella pensioncina vista mare a giocare a briscola con Di Pietro.

Barbara D’Urso, le ginocchia del potere


Dell’uso spregiudicato che Berlusconi ha fatto delle sue televisioni è stato detto e non c’è novità nel vedere il Caimano fare capolino dal salotto di Domenica Live per sproloquiare di promesse, cene eleganti, zoccole, Imu, comunismo, Monti, pater familias e diritto internazionale.
Il dato fondamentale è invece la definitiva consacrazione di un personaggio che irrompe nell’harem politico-mediatico del Cavaliere col ruolo di scendiletto protagonista.
Barbara D’Urso è stata infatti, in un sol colpo, spalla, ventre, schiena, testa, ginocchia e fegato in un evento destinato a rimanere indelebile negli orrori della televisione italiana.
Aveva mille domande, lo ha detto lei, e non ne ha fatta nessuna.
Si è prostrata dinanzi alle noiosissime argomentazioni del padrone calpestando, ancor prima della dignità, le esigenze dei tempi televisivi. Perché quello della D’Urso non è stato soltanto un programma scorretto, ma un programma tecnicamente sbagliato.
Con un personaggio come Berlusconi se anche ci si vuole esercitare con il leccaculismo ci vogliono fior di professionisti della lingua (intesa come parte del corpo). La D’Urso voleva blandire, accarezzare, sedurre ostentandosi sedotta in partenza, ma si è mostrata sdraiata prima ancora di cominciare. E ciò ha intorpidito il Caimano che infatti, per buona parte del suo comizio, ha discettato di Casini, Monti, delle minchiate dell’Imu e ha annoiato persino il pubblico dei fanatici in studio.
Barbara D’Urso è rimasta imbalsamata davanti a lui. Creando assist indecenti e aprendo una voragine sul senso deontologico del suo ruolo. Giornalista? Conduttrice? Testimone giudiziaria? Amica di famiglia? Dipendente? Sostenitrice? In che veste si è presentata, ammiccante, davanti a qualche milione di telespettatori? In quali panni ha recitato questa tragedia grottesca?
E soprattutto, è giusto che una persona così compromessa gestisca un potere mediatico così ampio?
Davanti a tanti interrogativi, una sola certezza: Vespa è un moscerino al confronto.

Verissimo, anzi falsissimo

Sabato pomeriggio in un programma di Canale 5 che, ironia della sorte, si chiama Verissimo è andata in onda la finta intervista a Lele Mora. L’ex agente delle dive, bancarottiere reo confesso con sentenza di condanna passata in giudicato e soprattutto coinvolto nello scandalo Ruby, è stato presentato come un uomo dimesso che sì ha fatto qualche marachella ma che è nei guai solo per l’invidia di qualcuno.
Se non ci fossero di mezzo giornalisti professionisti pagati per imbastire queste scenette da avanspettacolo (anche se l’avanspettacolo è una cosa seria) ci sarebbe da alzare le spalle e rifugiarsi dietro l’amara constatazione che sempre della televisione di Berlusconi si tratta. Se la conduttrice di Verissimo, Silvia Toffanin, non fosse la nuora di Berlusconi ci sarebbe da stupirsi. Se Lele Mora non fosse indagato per favoreggiamento della prostituzione insieme con Berlusconi ci sarebbe da rimanere allibiti. E se nella scheda introduttiva e nell’intera intervista (a parte un lieve accenno della costernata Toffanin) non si fosse mai fatto cenno al processo che si svolge a Milano sulla vicenda della “nipote di Mubarak” ci sarebbe da urlare.
Invece è così. Naturalmente così. E non c’è da stupirsi se nessuno si stupisce più. I telespettatori si sorbiscono la pantomima del pover’uomo dimagrito e piegato da una giustizia cattiva. L’ordine dei giornalisti non batte ciglio davanti alla spudorata messinscena di Silvia Toffanin. I giornali preferiscono occuparsi d’altro, delle ragadi politiche di Bersani o della ruga di espressione di Renzi.
Tutti incantati davanti a quell’ometto che in tv, parafrasando Corona, sussurra:”Una volta non perdonavo, ora perdono tutti”. E che ha deciso di non farsi più chiamare Lele, ma Gabriele.
Come l’arcangelo.

P.S.
L’altra ospite del programma era Barbara D’Urso, teste della difesa di Silvio Berlusconi al processo Ruby.

Fermate Barbara D’Urso

A Pomeriggio cinque questo pomeriggio si è celebrato l’ennesimo rito tribale della cronaca gestita come uno spettacolo circense, con Barbara D’Urso e nientepopodimenoche Alessandra Mussolini a dibattere, tra urla e pianti, con la madre del bambino conteso.
Il problema, al contrario di quel che si possa pensare, non è il contenuto ma il contenitore.
L’emergenza umanitaria della televisione italiana dei nostri tempi è infatti la fascia pomeridiana, durante la quale programmi di intrattenimento diventano spazi di informazione gestiti con una profondità di vedute da avanspettacolo.
Lasciare nelle mani di Barbara D’Urso – ma anche di Mara Venier  – la libertà di porgere notizie, approfondirle senza alcun controllo di testata, è un atto che toglie legittimità alle redazioni e attendibilità alla rete.  Eppure tutto si spiega con un’atroce regola moderna: la televisione urlata è quella che ha più fortuna, lo scoprì vent’anni fa Maurizio Costanzo con Vittorio Sgarbi.
Ho già scritto cosa penso di quella che un tempo era la tv dei ragazzi e non ho ancora un’età che giustifichi rimpianti a 360 gradi.  Però ritengo che Barbara D’Urso et similia non possano raccontare l’Italia che cambia, ma al massimo recensire il guardaroba di una starlette o blaterare degli amorazzi di una gieffina.
Prima possibile una contraerea della ragione dovrà entrare in azione: prima che la tv del finto dolore ci imponga finte esistenze con finti sentimenti e finte soddisfazioni.

Chi l’ha visto?

Il Corriere della Sera pubblica oggi un’imperdibile intervista a Barbara D’Urso che racconta nientedimenoche la sua infanzia, il suo primo bikini, il suo primo amore. E che, con la complicità della cronista, si chiede in modo quasi struggente che fine avrà fatto il suo primo fidanzatino Giampaolo Spalletta (che, lungimirante, si diede alla macchia dopo un paio di baci).

Suicidio di massa

E’ assodato che ogni volta che viene pubblicato un romanzo di Fabio Volo un volume si uccide gettandosi giù dagli scaffali della libreria. Ma quando esce il libro di Barbara D’Urso come scongiurare un suicidio di massa?

Santa Minetti

A Pomeriggio Cinque c’è una strana consegna del silenzio su uno degli inquilini della Casa del Grande Fratello, Filippo Pongiluppi, che è stato fidanzato con Nicole Minetti. Nemmeno un’accreditata opinionista (in questo caso il corsivo, per convenzione, sostituisce un’abbondante dose di virgolette) come Maria Monsé ieri è riuscita ad abbattere il muro eretto da Barbara D’Urso. Niente, di santa Minetti è bene non parlare.

Grazie a la Contessa.