Il non voto di scambio

Dopo una tornata elettorale la principale attività di quelli che non ce l’hanno fatta è andare a spulciare i voti conquistati, sezione per sezione. E’ un rito primitivo e crudele. Primitivo perché rimanda ai vincoli della tribù, dove un legame è indissolubile e una promessa si fa col sangue. Crudele perché si porta appresso un’inevitabile congerie di sentimenti negativi: generalmente si verifica perché si sente puzza di bruciato, ci si misura con il controllo se si teme di perderlo.
Vengono fuori scene di un tragico quasi grottesco: amici che non ti hanno votato nonostante la sera prima ti abbiano scroccato una cena; parenti che nemmeno si sono presi la briga di andare alle urne perché gli scocciava; conoscenti che hanno preferito chissà chi nonostante tu, candidato, li abbia ricoperti di attenzioni (magari interessate, of course).
La politica come arte del compromesso diviene così un esercizio di vendetta in cui l’elettore colpisce il candidato ancor prima che egli riesca a raggiungere la vittoria. Una sorta di giudizio sommario che miete vittime per lo più incolpevoli, o non ancora giudicabili.
In realtà gli aspiranti candidati traditi dai loro elettori fasulli traggono un vero vantaggio dalla loro brutta esperienza: tagliare i rami secchi tra amici e conoscenti senza dover ricorrere a scuse tediose e imbarazzanti non ha prezzo. Probabilmente in certi casi si potrebbe configurare il reato di non voto di scambio.

Nuova politica

Tornano i normografi, non ne vedevo dai tempi di Salvo Lima.

Facce appese al muro

Nella mia città, Palermo, si voterà in primavera per le amministrative.
Un esercizio istruttivo consiste nel girare per le strade con lo sguardo rivolto ai muri ovvero ai manifesti elettorali, che sono lo specchio di una competizione, quella elettorale, evanescente per assioma.
Giorno dopo giorno le affissioni si arricchiscono di nuove facce e nuove storie (o meglio non-storie) da candidatura. Qualche settimana fa c’era un tale, credo consigliere di quartiere, che salutava i suoi elettori facendo finta di stappare una bottiglia di spumante ancora sigillata, probabilmente perché doveva essere restituita.
Oggi sui muri ci sono promesse e dilettanti, analfabeti (c’è un candidato sindaco che ha problemi con la consecutio, anche in sede di cartellonistica) e nullafacenti.
Cos’hai fatto per chiedere un voto?
Io? Ho protestato molto nel mio tinello.
Le elezioni sono un carrozzone sul quale chiunque crede di poter salire, basta aver consultato gli amici. Del resto, dalle nostre parti funziona così: “Io sono molto bravo”. “E chi lo dice?” .“I miei amici di Facebook”. “Ah, allora…”.
Una volta il direttore di un giornale sentenziò: “Andreotti con la mafia non c’entra”.
E io: “E chi te l’ha detto?”.
“Lui”, rispose il direttore.
Finì come finì, a discapito del mio senso di utilità.
Chissà, il prossimo sindaco, o il prossimo premio premio Nobel, lo decideranno gli amici via Facebook.