Il muro di Mondello (reloaded)

L’articolo pubblicato su Repubblica.

Dicono che è provvisorio sebbene tutti lo abbiano visto, anzi ci si siano imbattuti da anni. Dicono che è tutto in regola sebbene il primo che provi a fare una cosa del genere finisce come minimo denunciato. Dicano quello che vogliono, ma quel muro simil-provvisorio e regolarissimo nel lido dell’Esercito è ed è sempre stato orribile.

Non ci vogliono le carte da bollo né uno spiccato senso estetico per dire che quella palizzata di decine di metri non ci dovrebbe stare lì. E non da ora, ma da prima che i social ci sorprendessero svelandoci ciò che conoscevamo già.

Mondello è una metafora dolorosamente calzante di questa città, dove il meraviglioso si sovrappone all’orribile, la regola all’anarchia, i buoni propositi all’inciviltà. Proprio per questo è inimmaginabile una spiaggia libera dodici mesi all’anno, com’è dimostrato dalle condizioni in cui si trovano gli spazi lasciati senza controllo in balia dei palermitani. Quindi i recinti servono. Servono per imporre regole che altrimenti nessuno rispetterebbe. Servono per attribuire un valore, anche economico, a un bene di cui si usufruisce. Servono per ricordarci che non ci siamo ancora liberati dal virus che attacca la buona creanza.

Recinti non muri.

Il muro è un’altra cosa, soprattutto in questa epoca di visuali anguste. Innanzitutto è prevaricazione, laddove non racchiuda uno spazio davvero nostro nel quale nessuno ha diritto di sbirciare. Un muro in una spiaggia toglie la soddisfazione della bellezza: chi lo erige vuole difendersi, ma in realtà sta offendendo.

Poi c’è il simbolismo giacché, come tutti sappiamo, i muri non sono soltanto fuori di noi: ne erigiamo senza motivo dentro le nostre esistenze ed accade quasi sempre per occasioni non felici. Chi mai può ritenere che un muro in riva al mare sia giustificato o giustificabile se non abbiamo certezze manco di quelli nelle nostre vite?

Ma è il contesto il capitolo più irritante. La sensazione che sia il più forte a tirar su una linea di mattoni per confinare il più debole ha ispirato una delle più belle frasi di protesta nella più grande manifestazione anti-Trump nel 2016 a New York: “Costruite gentilezza, non muri”. Nello specifico la palizzata simil-provvisoria di Mondello delimita uno spazio riservato all’Esercito e con tutta la civile comprensione possibile è difficile non lasciarsi tentare da un pensiero obiettivamente sbagliato ma legittimo, e cioè che un certo senso di impunità droghi alcune decisioni.

Comunque sia, Mondello ha bisogno di buoni esempi. I militari dell’Esercito hanno il loro diritto di godersi il meritato riposo in riva al mare, ma lo facciano come tutti gli altri poiché la loro privacy non vale né più né meno di quella della signora che nel lido accanto si abbronza senza il riparo di una palizzata bunker. Un antico proverbio cinese dice: purtroppo sono più gli uomini che costruiscono muri di quelli che costruiscono ponti. E con questa, la metafora di Palermo è bell’e completa.

Stefania e la violenza di cittadinanza

C’è un aspetto secondario, ma manco troppo, nell’aggressione a Stefania Petyx da parte di un manipolo di delinquenti che occupano abusivamente le case di via Savagnone a Palermo.
Partiamo da un paio di punti fermi e incontrovertibili. Stiamo parlando di una cronista che documenta un abuso quindi siamo in una scena in cui il divario tra lecito e illecito è ben definito. Da una parte una cristiana che lavora (e rischia), dall’altra gentaglia che campa alle spalle degli altri e pure facendosi largo con la violenza. L’aggressione è un atto criminale che solo per poco non è sfociata in tragedia. Ecco così disinnescate le indicibili bofonchiate per cui “lei se l’è cercata”, “ma chissà quei padri di famiglia che problemi hanno” e via minchieggiando.
In realtà quello di via Savagnone è uno spaccato di un’Italia – altro che Palermo – che vive di aspettative a sbafo, che non conta sul lavoro ma sul denaro che (chissà come) c’è e va distribuito a pioggia, che seppellisce il merito come un morto da non piangere e riesuma lo Stato come mammella da cui succhiare il latte di cittadinanza.
Gli abusivi che aggrediscono Stefania, persino sotto gli occhi della Polizia, sono l’humus su cui fare crescere promesse elettorali indecenti senza capo né coda. Ponti costruiti con l’amore al posto del cemento, stati di povertà che si cancellano con un decreto, malattie che si sconfiggono con l’acqua e limone, panni che si puliscono in lavatrice con una pallina di plastica. Ed io che ho sempre pensato che le cazzate fossero una cosa seria. La verità è che sono come la pasta frolla: in mani giuste una delizia, in quelle sbagliate un disastro annunciato sin dal nome.

In galera, speriamo

L’altro giorno sono stato a Scala dei Turchi, un posto incantevole. E lo stupore per un paesaggio di incredibile bellezza ha retto persino alla prova più dura: quella dello schiaffo dell’abusivismo. A pochi metri dalla spiaggia sorge infatti questo eco-mostro, ormai in abbandono. Mi piacerebbe sapere, un giorno, che fine ha fatto il colpevole di tutto ciò.

 

Lo sballo del mattone

La vignetta è di Gianni Allegra
La vignetta è di Gianni Allegra

Il rilancio dell’economia italiana, in tempi di crisi nera, è tutto nel mattone. Secondo il nostro governo, per guarire l’enfisema del portafoglio bisogna provocare una metastasi dell’abusivismo. Insomma, un malanno scaccia l’altro.
La deregulation strutturale – possibilità di ampliamento delle abitazioni esistenti, abbattimento di edifici antichi con possibilità di ricostruirli altrove – è, per il trust di cervelli che amministra l’incolpevole cosa pubblica, l’unica via di salvezza. Soldi in cambio del perdono per un abuso.
Prima che gli esperti del signor B. si aggiuntassero nel loro atelier delle idee, qualcuno ha provato a obiettare che gli unici effetti che i condoni edilizi del 1994 e del 2003 avevano ottenuto erano quelli indesiderati, ma è stato bollato come pessimista, cianciatore e, peggio ancora, comunista (mancava l’appendice “di merda” dal momento che Bossi era fuori per il week-end e Borghezio era stato impegnato tutta la giornata a smanganellare un senegalese che aveva cercato di pulirgli il vetro dell’auto, ndr). La creatività degli artisti economici del signor B. non si può impantanare nei numeri del passato: loro veleggiano verso il futuro florido, verso il benessere, l’amore, la concordia. Il passato non c’entra un tubo, menagrami di merda (Maroni era di reperibilità, ndr)!
Eppure se solo i maestri di un simil pensiero avessero aperto le porte del loro concilio per un attimo, il primo usciere di passaggio avrebbe ricordato loro che, se proprio si voleva puntare sul mattone, sarebbe bastato investire sul recupero dei centri storici, sulla manutenzione del patrimonio edilizio (senza distruggere e ricostruire altrove). Avrebbe obiettato che un simile progetto orizzontale – più ricchezza per tutti – è in realtà verticale, cioè l’esatto opposto, perché coinvolge solo le classi benestanti, quelle che hanno casa di proprietà e che hanno soldi per ampliare a dismisura.
Che soluzione anticrisi è quella che coinvolge i meno affamati di un paese con lo spettro della fame?
Alle prossime elezioni il primo usciere che si candida, lo voto.