Pannella e la barella

Il Gran Premio del Partito Democratico è partito con due grandi esclusioni: Di Pietro e Pannella sono stati costretti a rientrare ai box. In pole position Veltroni che ieri ha spacciato per dichiarazione politica uno sfogo sgonfia-maroni: “Minchia, ma sono rincoglioniti? Tra i candidati ci manca solo Berlusconi!”. Poi si è scusato per i toni volgari e ha cancellato la parola “Berlusconi”.
Tra gli aspiranti segretari nazionali svetta Rosy Bindi, che ha il vantaggio di portare un nome da donna e che può quindi far presa anche sui discotecari mastelliani. Di Pietro, negando fino all’ultimo minuto ogni coinvolgimento nella competizione, ha mandato Orlando a portare gli incartamenti per la candidatura. Sembra che sia stato escluso perché c’erano errori di grammatica persino nelle firme.
Pannella tuona fin dall’alba di oggi e annuncia scioperi della fame, della sete e della cacca. Come di consueto, più che alla poltrona aspira alla barella.

Sul bacio

Discutere della forma più antica e peculiare con la quale gli esseri umani si scambiano affetto è complicato. Però la cronaca dà uno spunto irresistibile. C’è un gran casino a Roma dopo la denuncia per atti osceni di due omosessuali che si baciavano in pubblico.
Salendo in cattedra, si può dire che il bacio, per definizione, presenta molte varianti e gradazioni. Scendendo dalla cattedra, si può dire che se persino il bacio passa attraverso il filtro di una modica quantità legale siamo fritti. Nel mezzo però ci stanno alcuni principi di buon vivere che danno valore a questo piccolo gesto quotidiano:
1) Baciarsi non è reato.
2) Baciarsi non è obbligatorio.
3) Per baciarsi non è necessaria una patente.
4) Chiunque può baciare chi vuole.
5) Chiunque non può baciare chiunque come vuole e dove vuole.
Il gesto più puro che ci è rimasto ha in sé tutti i significati che incontra: è interesse, protesta, formalismo, sessualità, trasgressione, banalità, schiocco, silenzio, luce, buio, psicologia, grettezza, fedeltà e inganno. Organizzare una manifestazione a sostegno del bacio gay, com’è accaduto a Roma, significa cercare di mettere sotto bandiera il sesso degli angeli.
Un sommesso consiglio, smettetela di fare scemenze e baciatevi in modo disorganizzato.
P.S. Scusatemi per la banalità della foto (Bacio all’Hotel de la Ville di Doisneau), ma questo è il bacio più letterario che conosca, perché è finto e vero al tempo stesso.

La libertà non è un optional

Per ricordare chi siamo, cosa consumiamo e chi sono i nostri fornitori.

Scienza e psiche

Fa sempre una certa impressione leggere di come la Scienza continui a maturare certezze su un ambito così complesso come quello della nostra psiche. Si viene delineando, ormai da qualche decennio, un preciso scenario chimico per i nostri pensieri, le nostre sensazioni, persino i nostri sentimenti. Se in momenti di difficoltà ciò può apparire confortante, in situazioni opposte – che ognuno di noi spera siano più frequenti – la decrittazione biochimica è deprimente. E’ un caso che i protagonisti occulti o, sarebbe meglio dire, i grandi manovratori della nostra esistenza intima abbiano nomi vestiti di suffissi diminutivi (adrenalina, acetilcolina, serotonina) o accrescitivi (testosterone, progesterone)? Di certo c’è che dietro una pulsione creativa, una delusione amorosa, un attacco d’ira o un impeto di affetto ci sta sempre una gocciolina che filtra da una cellula all’altra. Il dibattito sempiterno sul rapporto tra ciò che siamo e ciò che crediamo di essere è utile quanto uno sbadiglio a un concerto di musica andina: se non altro ha il pregio di avvisarci che siamo in un luogo sbagliato.
Chi ha avuto modo di provare l’effetto correttivo di una pillola (solida) sul meccanismo (etereo) del pensiero sa che il farmaco e la psiche, quando si trovano a tu per tu, si accomodano ciascuno al proprio posto. La gocciolina ospite si spalma tra due neuroni e svolge il suo compito retribuito. L’industria della mente, senza proclami, isola alcune linee improduttive o dannose e tira a campare. Non c’è battaglia, ma compromesso.
Alla fine la Scienza sta ancora cercando di capire cosa ci fa capire di credere di capire. Nel frattempo, prendiamoci in spalla le nostre gioie e i nostri dolori e aspettiamo la prossima puntata di Superquark.

Gli uomini mestolo

Luciano Moggi assume Lele Mora come agente e va a lavorare come attore nel film “L’allenatore nel pallone 2”. E’ una notizia da poche righe, ma che merita di essere segnalata perché ci dà la misura di quanto sia facile, in Italia, la vita degli “uomini mestolo”. Questa categoria di personaggi include manager, fotografi, gente di spettacolo, di sport, di politica. Insomma, mestoli di pentole ribollenti, mai gente comune. Mestoli che non vengono mai risciacquati e che si spostano da un brodo a una crema incrostando e incrostandosi.
Basterebbe che qualcuno li mettesse al fresco (di un getto d’acqua pulita). Invece si moltiplicano i pentoloni.

Le mutande dei vip

Luca “Fuoritempo” pubblica questa foto sul suo blog col seguente commento: “Continuano gli sbarchi in Costa Smeralda. Non si fermano i viaggi della disperazione a bordo delle “carrette del mare”… E mai un’onda che sollevi gli approdi, che rovesci i destini”.
Gliela rubo. Poi mi imbatto su alcuni titoli da siti e da giornali che colano gossip da ogni pagina.
Britney incinta, ma non si sa chi è il padre.
Delusi gli amici, quei chili di troppo non erano il segno di una ripresa bensì i postumi dell’ennesima sbornia.
Uomini vip, in spiaggia scelgono lo slip.
Conta più il contenuto o il contenitore?
Tunnel dell’alcol, Paris Hilton ne esce e lascia il posto a Lindsay Lohan.
La seconda è l’attrice che dovrà interpretare proprio la celebre (giovane) ereditiera in un film: quando si dice entrare nella parte.
Briatore mette il turbo: “Un figlio da Elisabetta Gregoraci? Se arrivasse sarei felice”.
Qual è la notizia: il turbo? O il rispetto della consecutio temporum?
Bossi junior convince papà: “Vado all’isola dei famosi”.
Non si abbandonano così i genitori.

Nell’estate rovente del gossip il caldo genera culi e copertine, bronci gelosi e sorrisi al ducotone. I morti nell’inferno della Puglia? Solo spiacevoli effetti collaterali.

Chi siamo e quanti siamo

La memoria vive da sé o necessita di simboli che la tengano viva? Il dibattito è aperto dall’alba dei tempi e si riapre a ogni commemorazione, convegno o fiaccolata per celebrare chi non c’è più.
Se fossimo un popolo dai solidi ricordi, riterrei i simboli ininfluenti. Siccome non lo siamo, penso che ogni pietra posta a identificare il luogo in cui un cammino – umano, ideologico, religioso, civile – è stato interrotto debba essere consona al ruolo che svolge. Una pietra non qualunque, insomma.
Si tratta, ovviamente, di una posizione personale.
L’idea di distaccarci dalla critica dei simboli perché c’è qualcosa di più importante a cui pensare mi rimanda più a un qualunquismo da sollevatori di cocktail a scrocco (fatte salve la buona fede e la correttezza di Roberto Puglisi) che a una reale sacralità del ricordo.
Dalle nostre parti, la violenza è matrigna dell’oblio, non riempie solo tombe svuotando vite, ma genera buchi di memoria comodi e, per molti, strategici.
I simboli sono necessari per tenere d’occhio il tempo che passa. E per contarci, cioé per vedere chi siamo e quanti siamo, ogni tanto.

La qualità della solidarietà

Lo scrittore Giacomo Cacciatore, stamattina, mi ha ispirato una riflessione.
Quella che vedete è una statua che dovrebbe raffigurare Paolo Borsellino. Ieri, nel corso della celebrazioni per l’anniversario della strage di via d’Amelio, l’opera è stata presentata al pubblico. Sarà affiancata, nelle intenzioni dell’artista che l’ha scolpita, da un’altra figura che dovrebbe ricordare Giovanni Falcone. Ebbene, senza offesa per l’autore, le cui intenzioni – immagino -sono più che nobili, chiedo che queste sculture non siano esposte. Per un semplice motivo: sono brutte!
Andate a vederle, vi prego.
L’antimafia delle idee, come quella dei fatti e della spontanea partecipazione, deve farsi anche filtro. Ben vengano tutte le iniziative, da qualunque parte, ma non tutte possono aspirare al medesimo impatto emozionale. Se io ascolto una canzone banale che grida “abbasso i mafiosi”, applaudo di certo, ma non mi sogno di farla diventare un inno nazionale. In questo blog c’è un mio piccolo contributo video alla causa dell’antimafia, non pretendo che venga proiettato in piazza Politeama: perché è un prodotto artigianale, che merita una collocazione modesta e ponderata. Sta bene dove sta, insomma.
Dobbiamo imparare a fare i conti con la qualità della solidarietà.

Fuori i nomi

Gustavo Selva, quello che una volta faceva il giornalista e che adesso scalda un posto al Senato nel settore Alleanza nazionale, non si dimette più.
Ricorderete il caso: per arrivare in tempo a una trasmissione tv, l’onorevole aveva finto un malore e si era fatto trasportare in ambulanza.
Ora Selva giustifica così il suo ancoraggio a una poltrona immeritata: “Me lo chiedono i cittadini, vogliono che resti”.
Fuori i nomi.

La cultura assetata

Ad Agrigento, nella città della sete, si produce un’acqua minerale raffinatissima. Ora, grazie a un accordo con la multinazionale Nestlè, l’imbottigliamento raggiungerà quote record. In pratica l’acqua delle gole secche agrigentine finirà sul mercato internazionale. Per capire il paradosso di questa notizia bisognerebbe comunque andare di persona ad Agrigento, un posto meraviglioso e arido, dove convivono storia millenaria e immondizie secolari. Il rimando ai relativismi e alle contraddizioni della “terra di Pirandello” è stato, nel tempo, il migliore alibi per sottovalutare la situazione della città. In un luogo in cui l’emergenza idrica non si è mai arrestata, le abitazioni sono costruite in funzione dei recipienti d’acqua che possono ospitare. La politica, tra sindaci e commissari, ha giocato inutili partite. La magistratura ha arbitrato spesso invano.
L’acqua fresca che scorre sotto la crosta polverosa di Agrigento è il simbolo della sciatteria colpevole che asseta e affama gli uomini tutti. Poi arriva un supermanager con l’accento nordico e risolve tutto. Per la sua azienda.