Cattiverie

Il natale per antonomasia porta buoni pensieri. Mi sembra un’ottima occasione per farne di cattivi. Qualche suggerimento.
Bigliettino di auguri. Babbo natale è arrivato in slitta anche stavolta. Dall’anno prossimo, conoscendoti, passerà con l’autocompattatore.
Regalo alla ex. Ricordati di me, dimenticati del mio cellulare.
Cena coi parenti. Questa minestra è fatta con le mie mani: un modo come un altro per sciacquarle.
Al migliore nemico. Hai una casa e una moglie stupende, molto accoglienti.
In ufficio. Vado in vacanza per qualche giorno, cercate di combinare qualche cazzata anche per me.
In chiesa. Passino la mangiatoia, il bue e l’asinello, l’oro e l’incenso. Ma la mirra che minchia è?

Dietro le quinte

Ci sono molte persone che lavorano dietro le quinte. Scrivono per altri, vendono idee che altri utilizzano, scavano trincee per esperimenti, costruiscono successi senza mai prendere un applauso, inventano senza brevettare, scelgono per i più titolati. E’ un patrimonio di ingranaggi che il pubblico non conosce. Eppure il lavoro oscuro dei ricercatori, di molti artisti senza palco, dei titolari di un manipolo di neuroni malpagati, è fondamentale. Il consumatore ha contezza, senza colpa alcuna, solo del prodotto finale: legge una firma, sceglie una marca, utilizza un prodotto. Immaginate una fotografia: sapete tutto su chi l’ha scattata e sul soggetto ritratto, ma non vi interrogate su chi ha studiato le luci, chi ha curato gli sfondi, chi ha costruito la macchina, chi ha sviluppato la pellicola…
Per deviazione psicologica (ah, se il mio psic avesse libera parola!), mi sono sempre interrogato sul dietro le quinte. Se compro un panino, guardo verso il forno, se vedo un film sto attento ai titoli di coda, se leggo un libro studio i ringraziamenti e persino le note di stampa. C’è nel lavoro dietro le quinte un affascinante mistero. Vorrei conoscere lo sceneggiatore de “I soliti sospetti”, ancor prima del suo regista. Vorrei chiacchierare con lo sviluppatore del linguaggio html, Tim Berners-Lee, ancor prima di Bill Gates. E via immaginando.
Nella celebre visione del mondo alla rovescia mi perdo in un immane patrimonio di conoscenza sconosciuto. Sarebbe meraviglioso se un giorno si accendessero tutte le luci del palco e non solo i riflettori.

Il vantaggio dei ricordi

Ho osservato un fenomeno interessante e bello. Ogni volta che propongo un tema di riflessione che necessita di elaborazione (cioè di tempo) per repliche e varia partecipazione, c’è una sorprendente rispondenza tra i lettori del blog, anche quelli occasionali. Il post di sabato non era semplice, eppure sono venute fuori idee originali e divertenti: in una parola, intelligenti. Era un gioco, ovviamente, quindi molliamo certi moralismi che qualcuno continua a impugnare: può anche essere stimolante fare l’esegesi di “mosca cieca” a patto che non si impartiscano lezioni sulla ragion pura. Sempre di gioco si tratta.
Tornando a noi, ho più volte sfiorato il pensiero più controproducente per un giornalista: le notizie hanno stancato. La gente, anzi la ggente è satura di fatti, commenti sui fatti, analisi dei fatti, polemiche sulle analisi dei fatti, reazioni ai commenti dei fatti, retroscena dei fatti, vivisezioni dei fatti. Il bombardamento ha causato un’overdose i cui effetti sono assimilabili al suo contrario, a una crisi di astinenza. La mia non è una considerazione statistica, questo blog non ha voce in capitolo in tal senso. Però affacciandomi ogni giorno a questa piccola finestra sto capendo molte cose. Il messaggio della comunicazione deve cambiare, ma cambiare giorno per giorno. La partecipazione non è un contorno, bensì un alimento fondamentale. Ad esempio, giocando e misurandosi sul filo dei ricordi, dei desideri, delle ambizioni si impara a far gruppo, società. Il trito esercizio del “mi ricordo” è un grimaldello che forza porte di case distanti, ma che hanno gli stessi tinelli, le stesse pareti stinte, lo stesso profumo, indimenticabile, dei ricordi. Che ben cristallizzati non diventeranno mai rimpianti.

Ai miei tempi

Facciamo il giochino del “mi ricordo”.
Ai miei tempi c’erano due (poi tre) canali in tv e c’era sempre qualcosa da guardare.
Ai miei tempi gli occhi erano i fanali della curiosità.
Ai miei tempi le ragazze non si spogliavano in discoteca. Non bevevano e rompevano le scatole a chi si prendeva un rum e coca.
Ai miei tempi si giocava a smontare e rimontare le radio rotte.
Ai miei tempi ci si faceva le seghe con catalogo Vestro.
Ai miei tempi la domenica si andava al cinema, tutta la famiglia, ed era una festa.
Ai miei tempi si giocava a pallone per la strada.
Ai miei tempi c’erano i buoni e i cattivi, nulla nel mezzo.
Ai miei tempi se non studiavi venivi rimandato o bocciato e non si facevano cortei per chiedere una franchigia.
Ai miei tempi ci si sedeva a tavola tutti insieme.
Ai miei tempi per telefonare si chiedeva il permesso.
Ai miei tempi non si parlava a migliaia di persone con un clic.

Targhe alterne

Le targhe alterne contro l’inquinamento sono un provvedimento diffuso in tutta Italia. Non ho un’idea precisa in merito: uso poco la macchina, non ho famiglia, ho un’autosufficienza pressoché rionale. Tony Gaudesi mi invia la sua riflessione sulla situazione di Palermo.

L’amministrazione Cammarata ha tirato fuori dal cappello a cilindro l’ennesima, illuminata, trovata: le targhe alterne.
Per salvaguardarci nel lungo termine i polmoni, il Palazzo ha deciso di spappolarci immediatamente il fegato e, forse, qualcos’altro.
Si dirà, i rilevamenti, l’inquinamento, le polveri sottili…
A prescindere che il passato ha già decretato il flop di un provvedimento del genere, penso che un minimo di elasticità e di immedesimazione verso chi gli paga (o meglio strapaga) lo stipendio sarebbe stato un atto dovuto per gli inquilini di palazzo delle Aquile. Una spruzzata di comprensione verso la plebe, prima di rivoltarne in un fiat la vita come vecchi calzini, credo avrebbe cambiato, come in pochi altri casi, sia la forma che la sostanza.
Penso ad una fascia mediana di black out nel coprifuoco giornaliero, per esempio dalle 13 alle 15, che avrebbe consentito di salvare capra, cavoli e, forse, coronarie.
E invece niente. La decisione è passata in un baleno sopra la testa dei cittadini, in un tira e molla tra industriali, commercianti e consorterie varie. E chissenefrega dei nuclei familiari di quattro, cinque persone (bebè compresi) con destinazioni sparigliate nella zona rossa. Chissenefrega delle mamme che, nemmeno calandosi nei panni di superman, riusciranno nell’impresa di parcheggiare il bambino al nido, il fratello di un paio di anni più grande alle Elementari tre chilometri più avanti, l’altra figlia alla Media della zona opposta, prima di arrestarsi, lingua ciondoloni, davanti alla porta dell’ufficio. Con tre bus diversi all’attivo, novecento, mille metri di scarpinata, magari sotto l’acqua, passeggino sottobraccio, due ore di sonno sacrificate alla Ragion di Stato… E una sincope in arrivo al gran galoppo.
E tutto questo mentre l’auto resta parcheggiata sotto casa, a dispetto dell’abbonamento-pizzo per le zone blu (il cui prezzo, a questo punto, e a rigor di logica, dovrebbe essere quantomeno dimezzato).
Probabilmente al Palazzo avranno, in modo lungimirante, anche pensato ai correttivi: “Basterà – si sarà detto nelle illuminate discussioni pre-delibera – una seconda auto”. Già, con il corredo di una seconda assicurazione, un secondo bollo, una seconda quota garage.
“E, ovviamente – avranno sottolineato, sogghignando, al Comune – con un secondo abbonamento per le zone blu”.
Cosi che a salvare capra e cavoli sarà stato solo il Comune: dimostrerà di aver fatto di tutto per tutelare la salute pubblica e al contempo strapperà qualche euro in più ai supertatassati cittadini.
In attesa dell’imminente raddoppio dell’addizionale Irpef e dopo il salasso della tassa sull’immondizia, cittadino-Pantalone, come sempre, silenziosamente abbozza. Ma fino a quando?

Tony Gaudesi

Libri chiusi, bocche aperte

Si leggono meno libri in Italia. Secondo i dati diffusi dall’Istat, 43 connazionali su 100 hanno letto almeno un libro (UNO!) in tutto il 2007. In un anno si sono persi quasi 400 mila lettori, 33 mila al mese. Dati aridi, si dirà. Effettivamente l’analisi di queste cifre (andate al capitolo 8 se avete coraggio) è complessa.
Chi infatti legge, legge ancora più: cresce la lettura “forte” (più di 12 libri all’anno), passando dal 12,9% al 13,3%. Chi leggeva poco invece (da 1 a 3 libri) ha letto ancora meno. Leggono molto di più le donne e primeggia il nord, ultimo il sud. A parte invocare leggi a sostegno del settore, come fanno gli editori, ci vorrebbe una rivoluzione domestica. Via i televisori dalle camere da letto, innanzi tutto. Inoltre la sera, invece di perdersi in chiacchiere sterili con amici e familiari, si potrebbe provare a raccontare storie, a leggere brani. Gli stessi addetti ai lavori (critici, scrittori) potrebbero evitare di rompersi e rompere le palle in pretestuose teorie puriste: scrivere, leggere, diffondere, questo è il loro mestiere. Mi sono stufato di partecipare a dibattiti in cui si inventano scuole di pensiero per poi demolirle con un soffio di parole. Da anni in Italia ci si interroga sulla sorte del “romanzo sociale”, con un appiattimento fantozziano davanti ai bestselleristi. Che noia!
Se uno scrive una cazzata di 160 pagine e ha la fortuna di finire nelle grazie del super recensore di turno vende ed è osannato, altrimenti finisce nel fango. Più delle storie valgono i temi, più della lingua vale la corrente delle emergenze. Oggi un pamphlet sulla prima organizzazione criminale che prolifera all’angolo sotto casa si riverbera su ogni quotidiano, mentre la narrativa pura (nel senso di invenzione, spremuta di fantasia) è quasi tutta affidata ad autori che hanno residenza all’estero.
Se si legge poco, insomma, la colpa non è dei lettori.

P.S.

Data la scarsa popolarità dell’argomento sono costretto a introdurre alcune parole chiave posticce in questo post, in modo da attirare qualche lettore in più: sesso, porno, culi nudi… Ah, dimenticavo: SODOMIA PENSIONATI!

Frasi fatte

Ci sono frasi fatte, domande o assemblaggi di parole che possono essere irritanti. Ecco una breve compilation (con possibili risposte).

Questo tempo mi ammazza. Qualcuno dovrà pure farlo.
A me piacciono le cose fatte bene. Parlami degli altri, se ci riesci.
Sono un tipo buono, ma quando mi incazzo… E se fossi cattivo?
A me non mi conosce nessuno. Per fortuna.
Ti conosco meglio di quanto ti conosci tu. Allora mi dici come mi sono ridotto a stare qui con te?
Mi piace scherzare, ma fino a un certo punto. Capito, la virgola è esclusa.
L’importante è la salute. Quando non hai creditori col porto d’armi.
La salsa che fa mia madre è insuperabile. Divorzio in vista, eh!
Fammi finire che poi ti spiego. Ok, torno dopo.
Hai capito? Ti sei spiegato.
La nuova influenza si attacca allo stomaco. Strano, la mia si attacca a un tallone.
Un attimino… Cioè un secondino che ha tempo da perdere.

Un anno

Questo blog compie un anno. Avrei voluto festeggiamenti fantasmagorici, tipo:

  • Filmato con gli auguri di Al Gore, Pat Metheny e Ron Jeremy.
  • Due foto con dedica di Berlusconi: con e senza capelli.
  • Benedizione di Sandro Bondi.
  • Citazione nell’elenco dei cattivi stilato dal Papa.
  • Ruolo di muro portante nel modellino della casa di Cogne nello studio di Bruno Vespa.

Invece sono sepolto ancora tra la polvere della mia casa nuova, con operai che mi girano attorno, mobili incellofanati e litri di caffè da preparare.
Grazie a tutti quelli che hanno alimentato discussioni e polemiche su queste pagine elettroniche. Grazie ai nottambuli d’oltremanica e ai mattinieri d’oltralpe, ai puntigliosi dell’oltrepo e ai bizzarri d’oltreoceano. Grazie alla folla di visitatori che arriva digitando “culi dei vip” e al solitario che approda cercando “sodomia pensionati”. Grazie ai due-tre simpaticoni che, con cadenza settimanale (prima era quotidiana), consumano i polpastrelli per insultarmi con la leggerezza dei senza ragione. Grazie infine a Giacomo Cacciatore e Raffaella Catalano, veri coautori di questo blog.

Marketing politico

Per contrastare Berlusconi nella sua operazione di restyling politico, An cambia nome. Nell’era dei partiti azienda, dei partiti network, è il minimo. Da un lato, mura intonacate di fresco, insegne nuove. Dall’altro, strategie di marketing vetuste, dirigenti imbalsamati.
E’ lo specchio ideale per l’elettorato italiano che si lascia affascinare da parrucconi e parrucchini e al quale interessa poco cosa sta sotto la peluria cranica.
Entro oggi l’annuncio: le prossime elezioni politiche si svolgeranno alla Fiera di Milano.

Ormoni e sermoni

Due studi psichiatrici, uno americano e uno olandese, hanno attirato ieri la mia attenzione. Da un lato un team di esperti è arrivato alla conclusione che un po’ di tristezza è utile alla nostra salute, dall’altro una ricerca dice che il mal d’amore può davvero uccidere. Poeti, cantanti, scrittori ci hanno raccontato la complessità del buio interiore, ora la scienza mette un timbro a secco sul foglio delicato di certe emozioni.
Molti di noi conoscono il disagio o addirittura il dramma della depressione, pochi (io non sono tra questi) sanno leggere tra le righe del libro che scriviamo, giorno dopo giorno, con i nostri entusiasmi, le nostre incazzature, le nostre passioni e le relative delusioni. Siamo chimica, ci ricordano gli scienziati, siamo il frutto di un complicatissimo dosaggio istantaneo di ormoni, neurotrasmettitori, enzimi e chissà cos’altro. Dietro un sorriso c’è uno schizzo infinitesimale di serotonina, una porta sbattuta è figlia di mamma adrenalina. La visione biochimica delle emozioni mi ha consolato in qualche momento difficile, eppure mi ostino a valutare il calore di un abbraccio o l’incanto di un tramonto come qualcosa di estraneo ai composti del carbonio. Che la tristezza sia una tappa ineludibile nel lungo cammino verso la felicità ce lo insegnano i grandi artisti. Dietro un’opera memorabile c’è sempre uno stato di insoddisfazione: uno scoppio propulsivo verso il meglio che si cerca e che non si trova. Ed è questa tensione che ci regala il bello che non teme il tempo.