Il semidio moderno

Secondo Stef, “eroe, nell’accezione classica, è un semidio dotato di eccezionali virtù e gesta prodigiose. Con tutto il rispetto per la memoria della signora Bhutto, non mi pare sia questo l’ambito. Eroi moderni allora. Ma siamo certi che le gesta prodigiose siano necessariamente positive?”.
Il succo del pensiero di Giovanni (da?) Verona è questo: “Il sistema moderno ha bisogno di figure forti che catalizzino azioni. E’ una necessità in epoca globalizzata: senza condottieri che in qualche modo vedono legittimata la loro forza nella ricerca di una morte violenta non c’è storia per un pianeta di pecore”.
M.Tr è lapidario: “Avete letto la storia della famiglia Bhutto? Non sono proprio tutte rose”.
Infine Puf73 si richiama a un’affermazione di Tere: “Come lei a me piace studiare le persone. E il suo metodo è anche il mio. Ma mi pare che la provocazione qui non sia perfettamente calzante”

L’eroismo e l’onnipotenza

Ieri, a commento del post sulla morte di Benazir Bhutto e sulla sorte delle “dinastie politiche”, Tere ha proposto la seguente riflessione:
“E se queste persone così esposte, vuoi per ambizioni, vuoi per ideali, cercassero la loro morte violenta per vincere le loro paure più intime? Forse semplicemente per smania di eroismo, o di onnipotenza: preferibile morire in maniera eclatante piuttosto che attendere la morte su un dondolo, mezzi sordi, devastati dai segni del tempo e dell’età. Non lo so, ma forse c’è un subdolo autocompiacimento nel perseverare andando incontro al pericolo in questi personaggi dall’intelligenza e dal carisma superiore a noi mortali”.
Vi ho chiesto qualche riflessione in merito. Il tema non era facile e sono rimasto sorpreso nel ricevere parecchi contributi. Cercherò di proporli quasi tutti, in versione integrale o riassunta. Qui sotto i primi due capitoli.
Grazie e buona lettura.

Filosofia dell’eroe arrogante

Prima di essere travolto dalla pazzia, prima di chiudere la sua vita pubblica e, soprattutto, prima che i lettori finissero per affibbiargli verità che non aveva mai neppure pensato, Nietzsche decise di scrivere “Ecce homo”.
Vi ricordate il sottotitolo? “Come si diviene ciò che si è”.
Anche un eroe prima di essere riconosciuto davvero come tale, prima “di divenire ciò che è” deve pagare il pegno. Deve cioè morire, tragicamente, e per mano altrui.
E’ valso per gli eroi del mito e vale per quelli ben più vicini ai nostri tempi.
C’è un codice dell’eroe (occidentale) uguale per ogni era. Un codice che prevede fatiche enormi, pulsioni di riscatto, lotte contro nemici invisibili, battaglie all’ultimo sangue, sino ad arrivare all’immolazione finale. Inevitabile e catartica, per sé e per il prossimo.
C’è un momento, nella sua vita, dove l’eroe non si riconosce in un modello, ma intuisce che è lui stesso l’archetipo. A quel punto non può sottrarsi alla “chiamata”: l’eroe DEVE oltrepassare la soglia. Anche a costo di non riuscire ad annientare il nemico. Anche a costo di annientare se stesso.
Ora, il bel quesito di Tere ne sottace un altro.
La chiamata dell’ “eroe”, il suo dire di sì alla morte tragica e inevitabile, è un destino triste e virile, o è “hybris”, arroganza?
Nietzsche, ad esempio, sarebbe per la seconda ipotesi.
E offre pure una soluzione: l’uomo nuovo dovrebbe imparare a riconoscere in sé l’eroe, certo. Ma anche il giullare, il pazzo, l’uomo che sa vivere “in leggerezza”, “al di là del bene e del male”.
Visto che siamo a fine anno e ci stanno già travolgendo con previsioni e oroscopi, concediamoci di spiare la simbologia esoterica.
Nei tarocchi c’è una bellissima carta, quella del matto, l’arcano numero zero.
Pensate che rappresenti solo l’irrazionalità, il gioco, il buffone inaffidabile?
Errore. Il giullare/matto ci ricorda che è possibile rinunciare all’ambizione in vista di un’evoluzione esclusivamente interiore. Non a caso la carta successiva, l’arcano numero uno, il “bagatto”, altro non è che lui stesso, evoluto, e trasformatosi in un meraviglioso mago e conoscitore della vita, i cui occhi brillano finalmente di riconosciuta intelligenza.

I grandi cercano una morte grande?

Ultraman si pone delle domande e dà delle risposte. “I grandi cercano una morte grande? E la morte è ancora più grande se è violenta? Alla prima domanda non so rispondere, penso di non avere sufficiente coraggio per entrare in quest’ottica. Alla seconda domanda rispondo decisamente di sì”.
Tere allarga il raggio della sua provocazione. “Trovo che tale atteggiamento sia comparabile alla scelta di partner con le medesime caratteristiche caratteriali che ognuno di noi fa: chi incappa nei tossici o alcoolizzati, chi nei depressi o, viceversa, chi finisce col prediligere i leader, le figure carismatiche. E’ la concretizzazione del vecchio detto secondo cui ognuno è artefice del proprio destino. Lì dove la fortuna o la sfiga hanno poco gioco, ci ritagliamo dei ruoli: vittime o carnefici, vincitori o vinti. E’ una teoria che sto sperimentando personalmente ribaltando i miei atteggiamenti abituali e, udite udite: FUNZIONA DAVVERO COSI’!!! Io mi sto divertendo (ma, confesso, ci sto anche marciando) a studiare le reazioni altrui come fossero topi in un laboratorio ed è semplicemente spaventoso verificare come, anche le persone più intelligenti, siano facilmente manovrabili, praticamente prevedibili in maniera vergognosamente elementare”.
Secondo Mela 68 “la morte è la fine per tutti. Persino di un’intelligenza superiore. Non c’è modo di sopravvivere alla fama che si è inseguita per una vita se si cerca, in modo più o meno cosciente, la fine della sopravvivenza stessa”.

I dubbi e l’orrore

Saprete già tutto sull’attentato nel quale è stata uccisa, in Pakistan, Benazir Bhutto. Poche righe per le mie impressioni.
La violenza e il sangue mi sconvolgono sempre più (sarà l’approssimarsi ai 45). Stavolta un pensiero parallelo ha amplificato le mie emozioni. Ho pensato ai Kennedy, ai Ghandi, alle grandi dinastie politiche che nella ricerca del potere assoluto hanno perso quel piacere relativo che è il vivere delle proprie cose. Persone (e personaggi) dai grandi ideali, ma dal baricentro troppo alto. Forti pubblicamente, fragili dentro o intorno. Indiscusse nel carisma, discutibili nelle scelte politiche.
Pensateci, queste persone se ne vanno sempre per mano di altri. Lasciandoci perlopiù in una brodaglia di orrore senza un’alba di certezza.

AGGIORNAMENTO ORE 14.45.
Tra i commenti troverete le istruzioni per un nuovo gioco nato da una delle vostre riflessioni.

Il dilemma Contrada

C’è una certa confusione attorno agli ultimi sviluppi del caso Contrada. L’iniziativa del difensore che ha chiesto la grazia e l’istanza di scarcerazione girata dal Quirinale al tribunale di sorveglianza sono due momenti molto diversi tra loro. La prima ha come destinatario reale il ministero di Grazia e giustizia, la seconda appunto la magistratura ordinaria. Per questo Napolitano ha troncato con una breve nota le proteste del fronte del no: ci sono leggi, pronunciamenti della Corte costituzionale, magistrati che scioglieranno i nodi, “il Quirinale conosce bene le procedure” quindi non interferisce. E’ utile tenere a mente questi passaggi per evitare di trapiantare forzosamente – con immani pericoli di rigetto – la vicenda in un ambito politico.
Restano i convincimenti personali: chiunque ha il suo. Personalmente, credo che Contrada sia vittima di un ragionamento molto difficile da decostruire, perché – cerco di essere chiaro – basato su un meccanismo logico-giuridico decontestualizzato. Si è giudicato un poliziotto secondo un’ottica molto diversa da quella che si sarebbe adottata all’epoca in cui i reati sarebbero stati commessi. Fare lo sbirro a Palermo negli anni Settanta significava anche sporcarsi le mani, marciare sul filo del rasoio, frequentare e spiare, spiare e lasciarsi frequentare. Ci sono molti soloni in calzoncini corti che, attualmente, sparano pareri sulla legalità senza sapere che questa è sempre figlia del tempo. Ci sono reati che si sono trasformati, leggi che cambiano, mestieri che si evolvono, agoni politici mutevoli, c’è l’emergenza e c’è il sentire comune.
Contrada va comunque trattato con dignità, la stessa che lui ha mostrato durante questi anni di battaglie giudiziarie.

Il sommo Magris

Oggi un post de relato. Per chi avesse perso l’articolo di Claudio Magris sul Corsera di qualche giorno fa, ecco il link (segnalatomi da una blogger acuta).
Magris è un grande intellettuale perché ha il dono della semplicità e non è mai saccente. Fossi premier lo farei ministro della cultura e gli vieterei di frequentare il parlamento.

Buon natale

E lasciatelo in pace quel pover’uomo. Auguri a tutti voi.

I lottizzati

C’è qualcosa di divertente nella concatenazione logica che spinge Berlusconi a dichiarare che “in Rai lavora solo chi si prostituisce oppure è di sinistra”. Conosco molte persone che lavorano nell’azienda televisiva di stato e poche sono di sinistra. Sui costumi sessuali di costoro non sono informato, tranne qualche pettegolezzo che colpisce (credo ingiustamente) colleghe – guarda un po’ – destrorse. La lottizzazione, come si sa, è un’architettura che poggia sull’intero arco costituzionale: l’ultimo elenco attendibile di assunti con targa politica lo pubblicò, molti anni fa, il Giornale di Indro Montanelli. C’erano tutti, il Psi, la Dc, il Pci, persino i liberali: ricordo ancora molti nomi di illustri colleghi giornalisti inclusi in quegli elenchi, mai smentiti, che oggi sventolano le bandiere del sindacato e starnutiscono indignazioni contro l’invadenza dei partiti nel campo dell’informazione.
Berlusconi non dice una fesseria, nel senso che se non fosse un pugile suonato avrebbe potuto evitare i riferimenti atavici ai “rossi” e alle puttane. La frase più corretta sarebbe stata: “In Rai lavora prevalentemente chi decide di farsi scopare dal capostruttura di turno oppure chi ha uno sponsor politico”. Però chi dice una cosa del genere subito dopo aver raccomandato un’attricetta al responsabile di Rai Fiction è come minimo un incosciente. O tutt’al più una fesseria ambulante.
Sì, c’è qualcosa di divertente nella concatenazione logica che spinge il Cavaliere a fare questa dichiarazione. Ma improvvisamente mi sfugge.

Lo sciopero dei consumi

Da quando sono in età cosciente (da pochi anni, secondo chi giura di conoscermi bene) ogni fine anno è accompagnata da rincari, aumenti, allarmi monetari e catastrofi economiche varie. E’ come se vivessimo in un enorme portafogli e ci svegliassero quando è l’ora di pagare il conto. Tutti ad agitarsi, indignarsi, annunciare provvedimenti che non ci saranno. Come se tirando il freno a mano si potesse arrestare la deriva dei continenti.
Una volta un economista mi spiegò che il sistema mondiale non si basa, come molti credono, sul rapporto domanda-offerta, ma su bisogni indotti e offerte programmate. Che è altra cosa. I grandi manovratori, insomma, pagano perché i poveri restino tali. Perché senza di loro non ci sarebbe quella differenza di potenziale che alimenta i flussi di denaro.
Quando si parla di rincari l’unica arma che esiste è lo sciopero globale dei consumi.