Non è un paese per giovani

Se ne accorgeranno in molti: ho preso a prestito e storpiato il titolo di un recente romanzo di Cormac McCarthy che non ho ancora letto ma che leggerò. Innanzitutto per espiare le colpe dell’indebita modifica (sulla copertina del vero romanzo si legge “vecchi” al posto di “giovani”); in secondo luogo perché ci sono titoli che, come questo, quasi ti costringono a rapire un libro dalla polvere dello scaffale. Infine, m’interessava l’alchimia delle parole: un fenomeno che non finisce mai di stupirmi. Lasciate “vecchi” in coda alla frase “non è un paese per” e, per quel pochissimo che so degli Stati Uniti, avrete una spietata sintesi dell’America attuale. Metteteci “giovani” e la frase si trasforma in un pensierino sull’Italia d’oggi e di ieri. Sono stato (e mi illudo di essere ancora, finché le candeline sulla torta non mi sveglieranno bruciandomi una manica) un giovane con la vocazione per la scrittura. Lascio perdere il lato lacrimevole della storia, che credo di aver già raccontato (non mi capivano, ero un illuso, mi consigliavano di fare i concorsi per aspirante usciere e insegnante sottopagato). Sono passati anni e la vocazione bizzarra, nel nostro paese, continua a non far dormire sonni tranquilli ai genitori (forse un po’ meno dopo l’avvento di Maria De Filippi). L’ambizioso, in mancanza di una definizione più pacificante, resta uno strano soggetto di cui prendersi cura. Ma si noti una significativa differenza: l’ambizioso in età matura è una miccia spenta. Non c’è bisogno di pestargli l’amor proprio dissuadendolo dal prendere un treno che è già passato. Basta una pacca sulla spalla, e si è tranquilli che la scintilla non si riaccenderà più di quanto ha già fatto. L’ambizioso giovane è una carica innescata. Potrebbe esplodere in una nuvola di fumo innocuo, ma anche riservare qualche sorpresa. E allora, mano agli estintori dell’orgoglio, ai sacchi di sabbia che seppelliscono i “vorrei” e i “tenterò di”. Ci si potrebbe mettere una pietra sopra, registrarlo come un retaggio culturale inestinguibile della nostra penisola (l’incubo delle macerie al posto del sogno americano) ma solo se la cosa restasse in famiglia. Invece questo è il paese con la più alta percentuale di ultracinquantenni tra le file della politica che conta. Questo è il paese in cui i ricercatori universitari restano tali fino alla vecchiaia e i docenti già vecchi da anni restano tali fino alla morte e forse anche dopo. Questo è il paese del “si qualifichi”, e dello “a che titolo lei”; del “ si faccia servire da chi ha i capelli bianchi”, e dei “non è fattibile” e “le faremo sapere”. Questo è il paese delle anticamere infinite e dei ghigni paterni. Questo non è un paese per giovani.

Premio sms dell’anno

Sms di un’amica. “Ho 43 pantaloni. Di cui venti neri. Una cinquantina di maglie. Devo aver sofferto molto”.
Premiato come il migliore dell’anno.

Day-after fashion

Ieri notte ho schiacciato con la pantofola sul muro l’ennesima zanzara di questo gennaio. Era in piena attività, tant’è che la chiazza dell’“insetticidio” è grande come una moneta da dieci centesimi. Sul mio balcone germogliano (ora!?) un mango e un avocado di cui avevo sotterrato i semi dopo una scorpacciata tropicale natalizia. E una candela che tengo vicino alla finestra si è liquefatta qualche giorno fa come se fossimo ad agosto. Era (orribilmente, lo ammetto) decorata a chiazze di leopardo. Adesso è zebrata, causa scolature.
Forse aveva ragione Stefano Benni quando nel ’93, in tempi non sospetti, o comunque molto meno sospetti di oggi, scriveva:
“Il nostro futuro è a una drammatica stretta. Ho visto un panda con la mia faccia sulla maglietta”.
E se al cataclisma ambiental-meteorologico-ecomostruoso sopravvivessero solo i politici? Loro sì che sanno come scampare sempre a tutto. Vedremo presto Mastella, Cuffaro, Prodi e Nino Strano con la faccia nostra, sulla maglietta?

(citazione da “Allarme di scienziato”, tratta da “Ballate” di Stefano Benni, Feltrinelli)

Candidature

Ricevo una mail circolare da Fascioemartello per sostenere la candidatura del sindaco di Gela, Rosario Crocetta, alla presidenza della regione siciliana. Per deontologia e per ottocentomila questioni personali non ho mai sostenuto alcun politico: continuerò a viaggiare in questa direzione.
Crocetta è una brava persona, è un coraggioso e mi ispira la simpatia dei folli onesti. E’, in questo senso, un simbolo positivo. Come molti altri ce ne sono in giro. Auspico altre candidature come quella sua. Di gente che magari si attacca al telefono e chiama quelli che non lo conoscono: si presenta, rischia una sonora mandata a fare in culo, e chiede un parere.
Spero in un nuovo governatore che dia più schiaffoni che baci, che frequenti i cinema e le librerie più delle sale convegni, che giri nel web a caccia di idee, che istituzionalizzi il confronto con la sua gente (due domeniche al mese in una piazza a caso di una città a caso), che prenda a calci in culo i piagnoni, che tratti i precari da precari e non da serbatoio di voti, che legga e ascolti quanto più possibile ciò che gli artisti della sua terra inventano, che faccia un resoconto (gli addetti stampa non gli mancano) puntuale a scadenze fisse di ciò che non è stato possibile fare, che festeggi quando è il caso di festeggiare e pianga quando è il caso di piangere.
Tutto qui.

Strano ma vero


Nino Strano, senatore di An, ha vissuto il suo momento di raffinata celebrità la scorsa settimana a Palazzo Madama quando ha urlato al traditore Cusumano il suo dissenso politico. Le argomentazioni scelte erano le seguenti: “Sei una merda”; “Sei una checca squallida”; “Cesso, sei un cesso”.
Nelle interviste del giorno dopo il senatore, tolti i minacciosi occhiali scuri e ripulitasi la bocca dal grasso di mortadella (ingoiata, ovviamente, in Senato al culmine della sua esemplare manifestazione di dissenso), si è affrettato a puntualizzare che del “checca squallida” andava valorizzato il senso dell’aggettivo e che lui adora le donne, il turpiloquio e le contraddizioni: “Con gli uomini mi fermo un attimo prima”, ha dichiarato riferendosi ai suoi gusti sessuali.
La caratura del personaggio – vero titano della politica più nobile – impone almeno quattro domande.
Primo: cosa ci fa in Alleanza Nazionale un caleidoscopio vivente come il senatore Strano?
Secondo: a quanto ammonta il suo cachet artistico?
Terzo: a quale commissariato hanno sporto denuncia i titolari del circo dal quale è fuggito?
Quarto: c’è una ricompensa per chi lo restituisce?

Il breve filmato è di Clarus Bartel

Io, futuro governatore della Sicilia

Caro Gery, cari tutti,
scrivo queste parole mentre fuori non c’è nessuna luce. Ogni notte il nero ha il sopravvento solo per pochi minuti, poi i fari delle auto o una stella più luminosa rompono questo colore così incolore.
Non dormo da quattro giorni perché ho riflettuto e solo stanotte la nebbia si è diradata.
Ho preso una decisione. Lo dico a voi e so di dirlo ad amici: mi candido alla Presidenza della Regione Siciliana.
E non lo faccio, credetemi, perché sono un politico, ma perché, nel momento in cui mi è stato chiesto, ho avuto la netta percezione che potevo, che posso rappresentare il volto della Sicilia.
Non è stato facile neanche pensare a cosa posso fare per questa terra. Io, provinciale peggio di una strada. Io, senza neanche una macchia nella fedina penale, nessun processo, nessun amico. Io che odio baciare se non con la lingua (e nemmeno chiunque).
Ecco, anche da questo può partire il cambiamento. Nel momento in cui ho scelto, subito si sono affollate idee per un programma di Governo che provo a sintetizzare.
Famiglia e giustizia: i temi del confronto politico che hanno assediato lo scenario italiano e siciliano. La famiglia prima di tutto. E’ inutile dire quanto conti la famiglia in questa Regione. Sì, io penso che la famiglia vada tutelata sopra ogni cosa con un’azione seria di spionaggio. Penso ad un’istituzione come i “LO DICO” . Un servizio gratuito a cui tutti si possono rivolgere per ottenere prove concrete del tradimento. Quante spie ci sono in giro disoccupate? Quanta professionalità sprecata, sottopagata che deve limitarsi a spiare senza alcuna funzione sociale? Lo spionaggio dev’essere libero e paDrocinato con fondi di un Assessorato al bene comune.
Sulla legge e ammennicoli vari ho le idee chiare: sto ragionando a una diversa collocazione del Palazzo di Giustizia di Palermo. Perché lasciarlo in centro città? L’ubicazione più ovvia mi sembra Bellolampo. Al posto di quelle colonne così brutte, così fasciste, io creerò un termovalorizzatore dove chiunque entri possa essere valorizzato. Entri spazzatura ed esci con un mestiere. Non importa quale, importa che sarà caldo caldo. Entri giudice? Esci Mastella. Cosa vogliamo di più?
Ma un Presidente vero non può limitare la sua azione al capoluogo. E’ indispensabile una politica fiscale che attui una vera redistribuzione della ricchezza dal basso. Sgravi sul riso per gli arancini, sul grano per la cuccìa, sul sesamo per i panini. E se tutti noi sappiamo quanto incidono le accise sul sesamo, ancor di più conosciamo il costo della ricotta. La liberalizzazione della ricotta è il punto da cui partire: una ricotta libera per tutti.
Sempre nell’ambito di vera politica economica dico con forza: “Aboliamo i bilanci delle aziende”. A che servono questi numeri incolonnati? Quale funzione ha conoscere quanto fattura un’azienda? A chi può mai interessare il costo economico di un’industria? Perché bisogna spiattellare i segreti? Meno bilanci significa non usare pesi e misure. Significa poter pagare il pizzo liberamente e non sopportare più la nascita di associazioni contro questo basilare controllo della liquidità. Le associazioni stanno facendo male alla crescita degli adolescenti siciliani. Ne parlo spesso con i genitori sempre più preoccupati: i giovani hanno ormai il seme della legalità. E stiamo attenti: quando attecchisce nessuno può estirparlo.
Pensiamoci in tempo.
Non posso dimenticarmi dei poveri. Ce ne sono troppo pochi ancora. Utilizziamoli, rendiamoli partecipi della vita dei ricchi. Creiamo un centro di stoccaggio di organi vitali. Che se ne fa un povero di due reni o di due cornee? Penso ad un ufficio dove chiunque, sulla base di una autocertificazione, possa utilizzare l’organo di una persona meno abbiente. Il tutto in case di cura multifunzionali, dotate di attrezzature all’avanguardia, da fare sorgere ovunque. Le case di cura costose sono il nostro futuro. E gli ospedali pubblici? Bella domanda. La risposta è semplice: trasformiamoli in sale bingo. Del resto che cos’è oggi un ospedale se non una lotteria? Legalizziamoli, allora. Restituiamo a queste strutture la loro essenza.
Dobbiamo colmare il gap infrastrutturale che ci ha così tanto penalizzati. Abbiamo un progetto del ponte: utilizziamolo. Pensiamo in grande: dal ponte sullo stretto, passiamo al ponte sul largo. Allunghiamolo. Facciamo in modo che da Messina arrivi a Palermo e prosegua verso Catania. A Mulinello potremo creare un sopra–ponte che favorirà lo snellimento del traffico verso Ragusa e Siracusa. Qui, lo so, lo so, è ovvio…. da Capo Passero all’Africa, che ci vuole? Con una piccola rampa arriviamo in un altro continente. Andiamo in quel Paese. Facciamo in modo che i clandestini arrivino via terra.
Sto già lavorando a un altro progetto serio che riguarda l’immagine della Sicilia. Ho scelto una delle città meno travagliate: Gela. Facciamo di questa cittadina la zona di rappresentanza della Regione. Viene un capo di Stato? Che palle portarlo a Palazzo dei Normanni! Stucchi, arte.. ma non se ne può più! Portiamolo a Gela. Facciamogli respirare un po’ di quell’aria nuova. Gela non va bene? Abbiamo anche Priolo.
A questo punto vi starete chiedendo: come diffondere queste innovazioni? Semplice, attraverso un buon ufficio stampa. Ammettiamolo: è una vergogna che abbia ventitrè giornalisti. Soltanto? Basta svoltare l’angolo – magari passando sul sovra-ponte – e arrivare in Burundi per scoprire che l’ufficio stampa del Presidente è composto da 145 giornalisti seri. Io non dico di arrivare al livello del Burundi, per noi assolutamente impensabile. Ma almeno proviamoci: portiamo il numero di professionisti della carta stampata a 100. Sarebbe un successo. Sarebbe un sogno che ci avvicinerebbe al Burundi a grandi passi.
Sto anche lavorando ad un inno: la colonna sonora di Chocolat. Mi sembra perfetta.
Ecco, vedete, piccoli gesti, nessuna grande pretesa. Questi sono i primi punti di un programma che crescerà. C’è un Presidente in ognuno di noi. Liberiamolo. Votate per Torta: ce n’è per tutti.

I migliori momenti peggiori

Nella meravigliosa lettera di Oscar Wilde a Lord Alfred Douglas, pubblicata postuma con titolo “De profundis”, si riferisce una frase di Walter Pater che mi ha colpito molto: “L’insuccesso sta nell’acquistare abitudini”. Wilde usa in modo sublime questa citazione per versare pagine e pagine di inutile veleno sul giovane amante che fu la sua rovina. Il perché della parola “inutile” non ve lo svelo per non togliervi il piacere di una lettura controversa e per questo esaltante.
L’uomo che viveva nel “terrore di non essere frainteso” è un faro per molte riflessioni. Una di queste ve la consegno per il fine settimana: quante consuetudini ci hanno tolto il piacere di saper sbagliare da soli?
I legami di amore, amicizia, collaborazione attiva, vivono di dialogo (è uno dei temi del “De profundis”) e il peggiore nemico del dialogo è l’abitudine. Ci ho messo 40 anni e rotti, e un paio di libri, per accorgermi che l’interesse per l’altro – che è soprattutto godimento personale e soddisfazione dell’ego – passa attraverso l’abolizione radicale delle abitudini.
Ora anche i miei momenti peggiori sono migliori.

Riecco tette e culi

Culi e tette, avevo promesso qualche giorno fa. E culi e tette siano.
Per culo Prodi ha resistito fino a ieri. La scommessa difficilissima di risanare i conti pubblici era la più impopolare in termini di consensi. E’ un miracolo (o culo, appunto) che lo pseudo governo del Mortadellone sia durato sin qui. La fortuna chiede sempre e comunque un dazio da pagare. E cadere per mano degli (ex) alleati è un bel prezzo d’immagine. Prossimo obiettivo, suicidarsi trattenendo il respiro.
Il “guerriero”, il “coraggioso” – così l’hanno definito – viene disarcionato mentre su Roma sventolano le bandiere nere. Altro che fegato, il culo di Prodi fondamentalmente consiste nell’essere ancora vivo, nonostante i congiurati che si è scelto come apostoli. Se c’è stata un’ultima cena, immagino tutti i segnaposti uguali, e un solo nome ripetuto: Giuda.
Il sistema bipolare potrebbe essere perfetto se solo si riuscissero a trovare i simboli giusti: antiberlusconiani contro i nemici dei rossi. Via tutti i partitini condominiali. Scegliere: o contro Silvio o contro i nipotini di Stalin, il resto che volete che sia?
Le tette dello Stato da mungere. Le formazioni politiche pigmee avevano e hanno tutto l’interesse affinché si voti subito. Se cambia il sistema elettorale non troveranno più tette da cui succhiare. Insomma si giocano tutto in pochi mesi. Il rovescio della medaglia, o comunque un altro aspetto della suzione avida dalle mammelle statali, sta nella trama intessuta da molti parlamentari che invece puntano sull’accanimento terapeutico per mantenere in vita la legislatura almeno fino al prossimo autunno, momento in cui matureranno il diritto alla pensione. Altrimenti nisba.
Insomma, un concentrato di tette culi e volgarità. Contenti adesso?

Un monumento agli anni Settanta

Un po’ di fatti miei.
Sto scrivendo una storia ambientata negli anni Settanta (almeno in parte). Ho raccolto foto, letto giornali e riviste dell’epoca, consultato archivi telematici, scartabellato tra i ricordi. Fine dei fatti miei.
Un po’ di fatti vostri o nostri.
Ho visto Ballarò, ieri sera, proprio perché la trasmissione era dedicata agli anni Settanta e si occupava dell’angolazione che mi interessa: quella sbagliata.
Gli anni Settanta sono stati l’epoca di una violenza legittimata, quasi giustificata. L’idea romantica di un decennio di grandi rivalse, di teste rialzate, di riscossa italica mi fa, oggi, schifo. Gli anni Settanta, nel nostro Paese, sono un libro riscritto con grafia incerta, giorno dopo giorno. Parole, pallottole, neri, rossi, carnefici, vittime, giustizia, rivoluzione: parole sovrapposte, pasticciate, senza storia.
La storia è il senso del tempo. E il tempo ha regalato la libertà a molti assassini di quegli anni: il killer di Walter Tobagi ha fatto solo due anni di carcere, lo sapevate? Ve lo hanno raccontato?
Ma il tempo può regalare molto di più. Sergio D’Elia era un terrorista di Prima Linea. E’ stato condannato per banda armata e concorso in omicidio. Su venticinque anni ne ha scontati dodici. Nel 2006 è stato eletto deputato alla Camera nelle fila della Rosa nel Pugno, è stato nominato segretario alla Presidenza della Camera e fa parte della III Commissione, Affari esteri e comunitari, e del Comitato di vigilanza sulle attività di documentazione.
Ci indigniamo per i cinque anni in primo grado a Cuffaro, nell’anno di grazia 2008. Cuffaro non ha tirato bombe, non ha ucciso nessuno, non ha tentato l’evasione dal carcere di Firenze (come D’Elia), non si è riciclato come intellettuale, non si è ripulito le mani sporche di sangue sulla camicia inamidata. Cuffaro è un discutibile politico dei giorni nostri. Ma lo è certamente meno di D’Elia. Eppure fa più notizia. Il Signore mi fulmini se voglio difendere il governatore della Sicilia (col videoclip che gli ho regalato…).
Quello che voglio dire è che siamo tutti figli dei fatti. Ma l’amnesia ha un grembo ancora più capiente.
Gli anni Settanta nel mondo hanno portato i Pink Floyd come la discomusic, i libri di Stephen King come quelli di Henri Charriere, i film di Martin Scorsese come quelli di Stanley Kubrick, la rivoluzione tecnologica (compact disc e walkman) come il nudismo. In Italia nulla o poco più di nulla.
Facciamo un monumento nel nostro Paese a quegli anni, facciamolo brutto, un monolito grezzo e oscuro. E cominciamo a studiare almeno la storia più recente.

Barca-menandosi

Raffaella Catalano è un’anima di questo blog. Un passato da giornalista giudiziaria, è oggi editor di successo. Ha scoperto o rivalutato molti scrittori, alcuni dei quali oggi vincono importanti concorsi letterari nazionali. (Perentoria eppure paziente, è riuscita a guidarmi, e soprattutto a non prendermi a schiaffi, durante la messa a punto dei miei romanzi)
Oggi s’inaugura la sua rubrica. Stringata ed efficace, come lei.

Se siete certi di aver fatto bene un lavoro, ma il vostro capo vi accusa di scarsa professionalità, potete rispondergli così:
“L’Arca di Noè è stata costruita da dilettanti e il Titanic da professionisti”.
E sappiamo com’è andata a finire.

(la frase virgolettata è tratta dal web)