1979

C’è un anno nella storia recente che è il baricentro della musica, della cronaca, della politica. Ma anche dei misteri, della tecnologia e del costume. È un anno in cui il mondo cammina con tutta la sua umanità verso un assetto che sarebbe stato quello della fine della guerra fredda e dell’inizio di nuove ere sempre più convulse. In Sicilia la mafia spara e uccide, tra gli altri, un giornalista che ha capito prima degli altri che purtroppo i corleonesi non sono solo gli abitanti di Corleone. Stati Uniti e Cina fanno accordi che stabiliscono una priorità per entrambi in funzione antisovietica, e l’Unione sovietica, sentendosi circondata, pensa bene di invadere l’Afghanistan.
In Italia nasce RaiTre in quota Partito comunista. Le vetrine dei negozi di dischi sono per i Pink Floyd, per Michal Jackson, per i Police, i Clash, gli Ac/Dc, per Bob Marley e i Supertramp. Dalla e De Gregori attraversano l’Italia con un tour dai numeri mai visti prima. Il Supersantos, un pallone che andava a vento, cede il passo al Tango, un pallone più pesante che più semplicemente va a calci. Molte cose accadono in quell’anno illudendoci che i sogni, se proprio non si avverano, spingono il destino un po’ più in là.
E poi nasce Giuseppe, che è figlio di Giovanna e di Pasquale, e fratello di Vincenzo e di Antonella. Giuseppe vivrà quell’anno con l’incoscienza felice di un neonato, un’incoscienza che manterrà per sempre.
Questa è la storia dell’anno 1979. Una storia di canzoni e sangue, di congiure e discoteche, di menzogne e rivelazioni. Ma soprattutto è la storia del piccolo Giuseppe. Che non invecchierà mai.

Dopo l’esperienza di quattro opere inchiesta (“Le parole rubate”, “I traditori”, “Cenere” e “L’altro”) per il Teatro Massimo di Palermo e l’opera di teatro civile “Invertiti” su Pier Paolo Pasolini per Taormina Arte, Gery Palazzotto – con le musiche di Fabio Lannino – sperimenta una nuova forma di narrazione. Stavolta il racconto è un intreccio stretto di parole e note, che non conosce mediazioni. Una forma di confessione pubblica senza finzione scenica, dove ognuno è quello che è.
Un narratore.
Un musicista.
Una cantante.
Un dee-jay.

1979L’anno in cui sognammo di essere quelli che non saremmo mai stati
Real Teatro Santa Cecilia di Palermo – 7 marzo 2024

Scritto e raccontato da Gery Palazzotto
Musicato da Fabio Lannino con Laura Sfilio
Remixato da Mario Caminita

Ti salvo io

C’è questa canzone che ogni anno in questi giorni riprende vita. La canzone è September degli Earth Wind & Fire e risale al 1978. Pensate, non ebbe neanche un album tutto suo dal momento che, assieme al rifacimento (peraltro fantastico) di Got to Get You into My Life dei Beatles,  era inclusa in un album di successi già pubblicati. September è un inno alla dance di quegli anni in cui tutto ci sembrava spensierato. Ballavamo e cantavamo, addentavamo la nostra adolescenza senza curarci del mondo che intorno a noi macinava le stesse tragedie di sempre – l’omicidio Moro e il disastro aereo di Punta Raisi, solo per restare in Italia –  e che, nonostante la lente deformante dei social di oggi, non era troppo diverso da quello in cui galleggiamo oggi. Le cose accadono, sono sempre accadute.
Comunque è dell’effetto September che voglio dire.
C’era questo sottile cinguettio di chitarre, il coro gioioso di femmine e falsetti, la sbornia di fiati. E poi c’era lui, Maurice White. Di una grandezza per noi incommensurabile, allora. Una grandezza di quelle di cui uno si accorge quando viene a mancare. Accade così con certi miti viventi: gli affibbiamo un ruolo talmente totalizzante che li mettiamo fuori dal tempo, dall’ordinarietà. E, ascoltando questa canzone, come mai vi potrebbe venire in mente il concetto di morte? È già accaduto con molti nostri punti di riferimento e accadrà ancora perché, come sappiamo, la vita è una infinita malattia mortale. L’unico antidoto – e lo dico dall’alto dei miei tot anni – è ballare, cantare e affidarsi a quelle quattro note incatenate che sopravvivono alle maree del mondo tendendoci una mano, come si fa coi naufraghi: stai tranquillo, ti tiro su io, nessun’onda, neanche quella sperimentata dal capitano Shackleton, potrà mai fermare la musica.
Vivi, sopravvivi. Balla.  

(non) siamo solo noi

In realtà di questi tempi non si fa quel che si può, ma si fa quel che si vuole. Perché in una situazione di emergenza l’alibi è sempre più a portata di mano. Quindi siamo quello che vogliamo essere, nulla di più e nulla di meno.
Ecco perché è bene parlare in prima persona, siamo una comunità di isole senza traghetto e senza ponti.  
Qui ho scelto di vestire i miei modesti panni e di confrontarmi con Marco Betta, un amico sensibile e un artista raffinato. Ne è scaturito questo dialogo in cui parliamo del buio della paura e della luce dell’arte, del passato che abbiamo scampato e del futuro che stiamo inseguendo. E poi di Palermo, della mafia, di un luogo meraviglioso come il Teatro Massimo, e delle contraddizioni di una città che si vanta persino di essere irredimibile e che deve faticare per sopravvivere a se stessa.
Fate voi.  

A tutti

Il vantaggio di lavorare per un grande teatro. Poter augurare un buon Natale così.
A tutti, proprio a tutti.

Lento pede

Qualche settimana fa ho conversato con Donato Didonna sulla mia esperienza nel Cammino del Nord. Qualcuno che non è potuto intervenire all’incontro mi ha chiesto il video. Eccolo qui: è tratto dalla diretta Facebook dell’Associazione Piazzetta Bagnasco di Palermo.

https://www.gerypalazzotto.it/category/cammino-del-nord/

Varie forme di “I’m not in love”

“I’m not in love” è una canzone che ha segnato la mia adolescenza. Quando fu pubblicata, nel 1975, avevo dodici anni e pur non avendo idea del significato rimasi colpito dall’atmosfera sognante, estatica. In realtà i “10 cc”, cioè gli autori del brano, erano tutt’altro che una band dalle sonorità soffuse. Me ne sarei accorto qualche decennio dopo apprendendo, ad esempio, che l’ispirazione per il nome del gruppo veniva dalla quantità di sperma prodotta durante l’eiaculazione. Fulminazioni improvvise, tipo quando ti accorgi all’improvviso che Babbo Natale non esiste.

Ma “I’m not in love” è soprattutto una canzone incisa molto faticosamente. La band impiegò tre settimane solo per registrare l’ahhhhh sedici volte per ogni nota della scala cromatica, costruendo un edificio di quarantotto voci.

A parte la versione originale, qui quella restaurata, ne esistono molte altre: vi propongo quelle mi sembrano migliori. La mia preferita è quella dei Pretenders, ma anche la versione dal vivo del 2011 degli stessi 10 cc non è male. Con quella dei Fun Lovin’ Criminals invece ci ho fatto un bel pezzo di Cammino. Enjoy.

Per chi l’ha visto e per chi non c’era

I filmati di uno smartphone, la musica che viene fuori cazzeggiando col Mac, un po’ di prevedibile nostalgia. Ho raccolto le immagini del mio Cammino del Nord in un video, “per chi l’ha visto e per chi non c’era” (cit).

Buon divertimento. E grazie ancora.

Il mio diario di viaggio è qui.

A questo argomento è dedicato il podcast in due puntate “Cammino, un pretesto di felicità” che trovate qui.

Cantala ancora Chrissie

La canzone di Natale che vi consiglio quest’anno è questa. La versione dei Pretenders di un brano degli anni ’40 merita un ascolto non distratto perché la voce al limite del calante di Chrissie Hynde è toccante e struggente. Insomma prendetevi ‘sti quattro minuti e mezzo e provate a non farvi venire i lucciconi…

La vista da qui è bellissima

La Nasa ha realizzato questo filmato in ultra HD all’interno della stazione spaziale ISS. Godetevelo con calma a schermo intero. La possibilità di vedere queste cose, dal divano di casa nostra, è una delle gioie dell’alta tecnologia diffusa.

Filmando e cantando sotto la pioggia