Malignità

de La contessa

Che altro lido poteva mai scegliere la Tulliani?

Da Repubblica.it.

Vietato commentare

Cartello appeso in via Alloro, a Palermo.

Foto di Paolo Beccari.

Una pubblicità del… pacco

Grazie a Verbena.

Questo sesso radical chic

A gentile richiesta.

di Verbena

Le petite robe noir al primo appuntamento per lei.

I calzini colorati di Topman al primo appuntamento per lui.

Farsi salire la libido ascoltando sexy allusioni in francese.

Farsi abbassare la libido ascoltando sexy allusioni in dialetto (meridionale).

Immaginarsi fascinose come Tina Modotti durante l’amplesso.

Credersi Chuck Palahniuk durante una qualunque pecorina.

Rivestire, per forza, di significati esistenziali una botta e via.

Svestire, per forza, di contenuti romantici una botta e via.

Applaudire le fellatio mimate nei concerti (quelle che fanno audience).

Criticare le fellatio negli uffici ministeriali (quelle che fanno carriera).

La shunga, i  manga  e  il vintage di Jacula e Sukia.

Luxuria, Vulvia e Stanford, l’amico gay di Carrie.

Il sex appeal di Tilda Swinton (ma anche le tette della vicina buzzicona).

Aggiornare l’elenco delle tue donne da letto, in un taccuino.

Riprendersi un qualunque uomo nel tuo letto, dopo un solo bicchiere di vino.

Questi radical chic

di Verbena

Non confondeteli con gli snob. Sono un’altra cosa. I radical chic hanno le loro regole e si guardano bene dal confessarselo a vicenda. Hanno la loro cucina, la loro musica, i loro tic. I loro  accenti tonici e acuti, il loro sesso e la loro castità.  Pure i loro vizietti hanno, i radical chic. Mi dicono che io sia una di loro. Ma non ne sono poi così convinta.

I radical chic…

Il logo della Apple, anche incollato sulla Moleskine.

Sofri padre, Sofri figlio, Gassman nipote.

La bella scrittura, la sana frittura, la tv iattura.

Mai  provato il miele di acacia sul pecorino di fossa?

Fazio, Littizzetto, il Comunicattivo.

No alle griffe,  si al vintage (di lusso).

Il pilates e il tantra (lo yogi si è formato in India).

Truffaut, Corto Maltese, gli Abba.

No al fondotinta satinato,  si al kajal verdeblu.

Mai provato lo spezzatino di seitan?

Hemingway, Murakami, i poeti francesi.

Il cavatappi Alessi e la macchina del pane.

L’erba buona, il vino buono, il sesso buono.

Scalfari, Mina, Guzzanti (Sabina).

Cuoio, seta, cachemire.

Sushi, sashimi e tofu.

I senza dio, la frutta bio.

La bandiera dove la metto?


di Tony Gaudesi

Se le maledizioni fossero proiettili il bel giubbotto rosso di Lippi avrebbe più buchi di una montagna di gruviera.  Bossi, Trota e cronista di Radio Padania a parte, l’Italia tutta si è unita nel nome di ct. Dal medico al fruttivendolo, dal professionista al venditore di tricolori sotto casa mia, che tra una bestemmia e l’altra arrotola le bandiere alle aste, giurando di  sapere dove potrebbe infilarle.
Eppure Lippi è stato di parola. Non farà salire nessuno sul carro dei vincitori, come aveva promesso. Ci salirà lui, sul carro. Quello funebre, che riporterà in Italia i tanti cadaveri visti in Sudafrica.
E dire che alla Fiat, secondo Marchionne, avrebbero scioperato per vedere la Nazionale. Chissà, c’è da chiedersi, quanti italiani sarebbero pronti a scioperare per vedere la Nazionale, quella Nazionale, lavorare alla Fiat. Magari a 1300 euro al mese.
Parlare col senno del poi, si dirà, è operazione sempre facile. Meglio, comunque, che allenare col senno del mai, ignorando i colori del campionato per diramare convocazioni quasi esclusivamente in bianco e nero. Che avrà fatto mai la Juventus, si chiederanno da Los Angeles a Shangai, per emigrare quasi in massa in Sudafrica? Tutto! Ha sbaraccato a metà campionato, ha fallito l’Europa che conta (e pure quella che non conta). Ha mancato coppe e coppette. Zero tituli, ma primato nella lista del ct, alla faccia di chi i gol li ha fatti a grappoli, incantato, deliziato  (Miccoli, Cassano Balotelli, etc), della stampa, dei tifosi, dei 50 milioni e passa di commissari tecnici nostrani.
Si torna pertanto prematuramente e meritatamente a casa. Contro tutti i pronostici (i bookmakers pagavano la vittoria della Slovacchia 7 volte la posta) e con buona pace di tutti. Anche del venditore di tricolori sotto casa mia, che sbaracca e ribadisce, bandiera dopo bandiera: “So io dove la metterei questa”.

Costanzo, sciò!

di Abbattiamo i termosifoni

Guardo in diretta (o registro) ogni sera su Rai Uno “Notti mondiali”, un programma di commento sul calcio condotto da Jacopo Volpi. In uno studio di Roma, gestito dalla giornalista Paola Ferrari e collegato con quello principale di Johannesburg, spadroneggia Maurizio Costanzo. Spadroneggia, sì, perché da ospite che era, al fianco di Giampiero Galeazzi, nel giro di un paio di puntate è diventato il capoccia. Così:
– qualsiasi domanda la Ferrari faccia a Galeazzi, risponde il tricheco di Mediaset (e ieri finalmente Galeazzi, stufo della costante ingerenza, gli ha ribattuto in modo acido);
– se ha due minuti a disposizione per bofonchiare le sue amenità, ne arraffa una dozzina costringendo poi Volpi e compagni a correre con commenti e servizi;
– legge poesie fuori luogo, anche quando una traduttrice affianca l’ambasciatrice del Sudafrica che non capisce un emerito, perché tradurre una poesia di corsa è proprio arduo;
– interrompe chiunque e si sovrappone pure a Dio in terra, anche passando la parola agli ospiti quando gli pare, come se a condurre fosse lui;
– si lamenta di sentire un sottofondo musicale come tappeto dei suoi interventi (motivetto che nessun altro percepisce) e fa un cazziatone al basito Volpi;
– è artefice (a parer mio, perché altrimenti non me lo spiego) della comparsa in studio di ospiti di provenienza mediasettiana che col calcio nulla hanno a che fare: finora Rossella Brescia o un comicastro di nome Dado, che viene da Zelig e per di più canta;
– fa delle interviste on the road ai tifosi stranieri insieme a Galeazzi impedendo a quest’ultimo di porre qualunque domanda o di ascoltare qualunque risposta, perché le domande sue e i tifosi suoi devono avere sempre la meglio;
– l’ho beccato che si scaccola, tossisce, si presenta con la sciarpa di lana, si lamenta della sciatica.
Dato che lo paghiamo, non sarebbe meglio sobbarcarci l’onere della retta mensile di una casa di riposo? Con buona pace anche della sua invadenza senile.

Il nemico giurato della lingua italiana

di Tony Gaudesi

Assurdo, grottesco, vergognoso…
Anche saccheggiando tutti gli aggettivi tendenti al ribasso del nostro vocabolario non si riuscirebbe a fotografare alla perfezione l’ennesima italica boiata: il premio “Spettacolo cultura e società”,  assegnato  nei giorni scorsi a Luca Giurato nell’ambito dell’Amalfi media award 2010.
Un riconoscimento dall’Alto Patronato (quello del Presidente della Repubblica), ma evidentemente dal basso profilo, se arriva a  gratificare chi quotidianamente ostenta la stessa frequentazione con grammatica e sintassi di uno Zulu con il Galateo.
E siccome la brutte notizie, come i carabinieri, viaggiano sempre in coppia, ecco impigliata nella Rete la seconda mediatica bastonata: il nostro fuoriclasse  della parola era stato insignito appena qualche mese prima del premio culturale e giornalistico Civiltà De Marsì, per i suoi cinquant’anni di giornalismo.
E’ vero che chi parla in maniche di camicia, spesso riesce anche a scrivere in giacca e cravatta, ma riesce difficile credere che il capocannoniere degli strafalcioni via etere, il Terminator di congiuntivi e perfino indicativi, possa essere Mister Hyde e dottor Jekill, ascia e fioretto, trattore e cabriolet, capace di  pubblici scivoloni e carbonare virtù,  riuscendo,  a riflettori spenti, a martellare pezzi corretti e persino brandelli di prosa alata sulla tastiera del suo pc.
Per il nemico-Giurato della lingua di Dante era già forse un premio eccessivo la tessera dell’Ordine, che  non credo possa gonfiarsi il petto di annoverarlo tra gli iscritti. Se la tessera di giornalista fosse una patente a punti, quella di Giurato sarebbe in rosso perenne. E, invece, ecco fioccare i premi e le conduzioni  Rai per un giornalista che, evidentemente, si ostinano a considerare di prima fascia e non, come sarebbe forse più opportuno, da fascia protetta.

Un borghese piccolo piccolo

La cordigliera di rifiuti che attraversa Palermo continua, da mesi, a essere notizia di secondo o terzo livello. Di conseguenza continua il mistero (sempre più appassionante) dello scarso successo della monnezza di destra di Palermo rispetto a quella di sinistra di Napoli, che a suo tempo fu protagonista di un indimenticabile kolossal mediatico culminato nel salvifico arrivo di Berlusconi, che con la sola imposizione delle mani fece sparire le deiezioni di una regione intera in misteriosi buchi. Riparato in Sudafrica con i suoi cari per assistere ai Mondiali, il sindaco Cammarata, un bel signore abbronzato, non pare particolarmente afflitto dalle circostanze. Ove ci fosse emergenza (lo decideranno il Tg1 e il Tg5), risulta difficile immaginarlo travolto dalle polemiche e inseguito dai rimorsi come capitò al collega Bassolino. Ha quel sembiante sorridente e sano che appartiene alla ristretta borghesia meridionale, gente che ne ha viste parecchie ma non si è mai scomposta: per questo si è borghesia, mica per altro. È stato al tempo stesso sindaco e deputato, quand´anche a Palermo la situazione precipitasse lui potrebbe sempre dire che è stato costretto a passare molto tempo a Roma e insomma, non ci si può occupare di tutto.

L’amaca di Michele Serra su la Repubblica di ieri.

Vuoti di potere

Marciapiede davanti alla scuola Alberico Gentili, a Palermo.

Poche parole

di Raffaella Catalano

A Palermo, è sempre la solita vecchia storia.
Dove manca lo Stato, supplisce (ahinoi) la mafia.
Dove mancano l’Amia e Cammarata, supplisce (per fortuna, ma di certo non è gratis) Netturbini.com.
E così la “munnizza” ora è anche online.