Uccidere con grazia

La mia amica Mara, dalla Francia, mi sottopone con indignazione la seguente notizia: la Corte Suprema degli Stati Uniti ha stabilito che le iniezioni letali non violano la Costituzione. Il busillis – in un ambito così ignobile, come ignobile è la pena di morte – sta nella quota di sofferenza che la morte di Stato impone: deve essere quel tanto che basta per uccidere senza urla, dolore, casino insomma.
E’ curiosa questa cura istituzionale del dettaglio, questa attenzione tutta americana, diciamolo: la morte, seppur inflitta contronatura a uno che che non ha la minima voglia di accettarla, può essere giusta, confortevole, civile.
Ci sbracciamo per protestare contro un altro colosso di civiltà, la Cina, che si spinge a presentare il conto delle spese dell’esecuzione ai parenti dei condannati (del resto le pallottole costano, che ci vogliamo fare…). E dimentichiamo – a mio modesto parere – che la graduatoria dell’etica e della decenza riguarda persino quegli Stati che fanno dei diritti umani carta straccia. I cinesi se ne fottono altamente e brandiscono la loro autosufficienza come un credo blindato. Gli americani pretendono di esportare il loro modello di civiltà e brandiscono la loro faccia tosta come un credo bellico. Uccidono, insomma, ma con grazia.

La perizia di Berlusconi

Berlusconi e i suoi sodali di quel partito azienda che ha lanciato un’Opa sull’Italia tornano su un vecchio tema: quello delle perizie psichiatriche per i magistrati. Vecchio tema, sì. Talmente vecchio che per trovarne le radici bisogna andare indietro fino agli anni Settanta, quando l’esigenza di una sorta di esame psicologico venne inclusa nel cosiddetto “Piano di rinascita democratica” del “gran maestro” della P2, Licio Gelli. Un precedente illustre, anzi venerabile.
Il ragionamento dell’ex premier è il seguente: chi fa un mestiere in cui è chiamato ad amministrare gli altrui destini deve avere una sanità mentale certificata a più riprese. In pratica si auspica il rilascio (e il conseguente rinnovo, previa visita medica) di un apposito patentino, di un brevetto, di un tagliando di garanzia : giudice professionista, no tendenze omicide, no istinti autolesionisti, astemio, congiunto con persona di altro sesso davanti a ministro della chiesa cattolica, grande sostenitore del Pdl, ottimi precedenti penali, tifoso del Milan.
Al contempo, il senatore uscente Dell’Utri si è lanciato in un assolo in cui ha auspicato il perfezionamento dell’acquisto di un nuovo governo che riscriva la storia con la esse maiuscola, che ridimensioni il ruolo dell’antimafia (a minuscola), che abolisca i collaboratori di giustizia (minuscolo, minuscolissimo) e che renda piena giustizia “all’eroe” Vittorio Mangano (doppia maiuscola perché è nome proprio di persona).
Tutto chiaro, i conti tornano… a parte un dettaglio. Berlusconi e i suoi ostentano un florilegio di buoni propositi, ma non danno il bell’esempio: perché non sottoporsi per primi alla perizia psichiatrica di Stato?

La fiamma spenta

La fiamma che si spegne è una figura che ci dice molto, per metafora e retorica: si spegne quando si estingue un amore, si spegne quando la giovinezza se ne va, si spegne quando la fede non è più alimentata.
C’è una fiamma che è simbolo sempiterno (perdonate la parolona) di fratellanza, senza i vapori di un credo religioso, semplice e netta come una corsa sulla spiaggia, vince chi arriva primo, poi festa tutti insieme e da domani nemici come prima.
Quella fiaccola è stata spenta ieri a Parigi, ha dovuto viaggiare in pullman anziché sulle gambe che da tempo immemore la portavano in giro per il mondo, è stata scortata da poliziotti paonazzi, si è trovata ad essere inseguita da mani che la volevano strappare come si strappano i simboli quando il loro antico significato viene tradito. Mi è sembrato di leggere, ascoltare una frase: non cresce frumento nei campi irrigati a odio.
La tardiva, e insulsa, presa di posizione del presidente del Comitato olimpico internazionale e, nel nostro minuscolo, quella del Coni non salveranno la Cina e i suoi vuoti Giochi olimpici dal giudizio della Storia. Un Paese che gestisce la sua politica interna con ferocia e i suoi affari esteri (economia in primis) con blindata presunzione non è degno di ospitare la più solenne manifestazione sportiva che l’uomo si è inventato da quando ha scoperto che le sue braccia, le sue gambe, il suo cervello potevano essergli utili per combattere in modo incruento e moralmente fecondo. Il silenzio dei Paesi occidentali (Francia esclusa) è un puntello all’edificio della vergogna. Le parate in mondovisione sono solo una frettolosa mano di vernice su un muro crepato. Bastano le unghie di un disperato, vittima del suo stesso dissenso o semplicemente della sua voglia di parlare, per far venire giù una costruzione che, in un mondo libero, non potrebbe nemmeno essere stata immaginata.

L’elaborazione dell’immagine è di Salvatore Mangione

Il Grande Fardello

Ho visto di rimbalzo in tv alcune schegge del “Grande Fratello”. “Striscia la notizia” e “Le iene” mi hanno rivelato l’esistenza di un tale – di cui, per senso di autoconservazione, non ricordo il nome – soprannominato “il cumenda” (nella foto). Questo signore, che onora con inconsapevole rispetto la teoria lombrosiana, è passato alla minima storia della minima televisione italica per essersi fatto fare una sega in diretta tv e per aver giurato amore, in simultanea, alla sua fidanzata (che ovviamente non era l’artefice della manovra sessuale in questione).
Ho attraversato con tumultuosa serenità tutte le fasi dell’adolescenza, mi ritengo sessualmente umano, ho letto e apprezzato molta letteratura di consumo, ho ramazzato molta spazzatura televisiva, sono stato rockettaro, vegetariano, jazzista, postmoderno, psichedelico, tradizionalista e contestatore in ordine sparso, ma mi ostino a non (voler) capire perché mai si debbano portare in televisione persone grette, presuntuose e umanamente ignobili per farne personaggi.
Fin dai tempi di Plauto, il cattivo aveva un ruolo importante nella messinscena: era il contraltare, il mezzo di contrasto, la chiave di volta, e talvolta era talmente cattivo da attirare qualche simpatia tra il pubblico. Nel “Grande Fratello” c’è un trionfo di stupidità che danneggia persino gli istinti più bassi. Ci si accoppia, si litiga, ci si insulta e ci si amalgama come nemmeno nelle esistenze più luciferine accade.
Fossi il diavolo in persona querelerei.

Va ora in onda

Una pattumiera dotata di antenna e ripetitori che si fa chiamare TeleNorba ha mandato in onda il filmato della polizia scientifica in cui si vede il cadavere della povera Meredith, la ragazza inglese uccisa qualche mese fa a Perugia. Il capo netturbino (con rispetto per i netturbini veri) si è giustificato aggrappandosi a qualcosa che non conosce: il diritto di cronaca. Il diritto di cronaca, quello vero, presuppone la necessità di informare su eventi di pubblico interesse senza censure nel nome della libera espressione, sotto l’egida dell’articolo 21 della Costituzione.
E’ inutile chiedere a questo signore cosa ci sia di pubblicamente importante nel mostrare le nudità di una ragazza uccisa, la sua gola squarciata, il suo sangue perduto.
C’è solo da chiudere per sempre il coperchio di questa pattumiera trasmittente e sperare che un magistrato di buona volontà scovi e comunichi al mondo intero chi – tra le forze dell’ordine – ha diffuso e presumibilmente venduto il filmato.

Il tramonto di Alitalia

Due o tre cose sull’ Alitalia e sull’alitosi politica che ammorba l’aria di questa primavera pazzerella.
Il dramma economico che la compagnia di bandiera sta vivendo – e non da oggi o da ieri – è il risultato di scelte palesemente sbagliate, di sprechi, della vista corta dei suoi amministratori. Non ci vuole una grande esperienza per capirlo, basta fare due più due. In qualunque società del pianeta se i conti non tornano la colpa è di chi quei conti non li ha fatti o li ha fatti male. A meno che non si sia affetti dal morbo del complottismo e si abbia il coraggio di sostenere che il colpevole è il registratore di cassa.
Mi preoccupa la sorte di migliaia di lavoratori, ma mi preoccupa anche il populismo di chi attribuisce allo Stato il ruolo obbligato di salvatore dell’Alitalia. Ci sono, nel nostro Paese, molti cassintegrati, migliaia e migliaia di precari, eserciti di disoccupati: perché mai un governo dovrebbe preoccuparsi solo di quelli (eventuali, e incrociamo le dita) della compagnia di bandiera? E’ una domanda antipatica, lo so. Dà fastidio persino a me che la scrivo: però è una domanda legittima. Qui trovate un altro punto di vista, non proprio dissimile dal mio.
Berlusconi ne ha fatto, ovviamente, una questione elettorale. In modo malcelato, come è suo costume. Ha annunciato cordate italiane che si manifesteranno in tutta la loro lungimiranza e potenza economica solo dopo il 14 aprile. E’ un caso?
Non è un caso che a ogni sua dichiarazione la borsa traballi, i titoli oscillino come equilibristi ubriachi, l’aria si faccia sempre più irrespirabile. Qualcuno dovrebbe ricordare a questo signore che quando si ricoprono importanti cariche politiche e/o istituzionali le parole non sono pietre, ma qualcosa che vale molto di più.

Per protestare


Il buon Salvatore Mangione, ieri, mi ha fatto un bel regalo: ha preso una frase del mio post sulla vergogna cinese delle Olimpiadi e ha costruito quel che vedete sopra. Queste immagini sono a disposizione di chiunque le voglia inserire nel proprio blog o comunque di chiunque le voglia utilizzare per una sana protesta. Se le volete in risoluzione maggiore scrivete. Offriamo io e Salvatore.

Olimpiadi, tutti a casa

Non sono un rivoluzionario. Anzi, con l’età che avanza, mi sono trovato sempre più spesso su posizioni critiche nei confronti della protesta plateale come espressione utile alla costruzione di un dissenso che non abbia zampe d’argilla.
Il ruolo della Cina prima ora e adesso, la sua politica arrogante, il suo machismo orientale eppure molto americano, il suo diarroico seppellimento di ogni diritto umano, la sua crudele mannaia su ogni gesto di opposizione suscitano però sdegno, schifo… voglia di rivoluzione.
L’esempio di ieri è da far annodare le budella.
Nel cuore dell’antica Olimpia, l’inaugurazione dei Giochi di Pechino è stata oltraggiata dalla censura in mondovisione della manifestazione di protesta contro la repressione cinese in Tibet. Mi viene da pensare a una disinvolta ostentazione di potenza, ma forse dovrei riflettere meglio sul rincoglionimento del mondo occidentale. Quando ci sono muscoli e denaro in campo le superpotenze si nutrono di distinguo e sono stitiche di strappi, decisioni, risoluzioni. Eppure lo capisce anche un bambino che queste olimpiadi tradiscono in modo definitivo il senso millenario della competizione sportiva per eccellenza. Senza lealtà, l’agonismo è vuoto. Un Paese che schiera l’esercito contro i monaci inermi non è degno di organizzare neanche una gara di bocce al lido Mareblu.
Insomma, c’è un solo modo per giocare questa partita sulla quale la Cina ha investito il massimo delle sue paludate risorse: starsene tutti a casa.

Brave persone

Il leader di Potere Operaio, Franco Piperno, dichiara in tv: “I terroristi? Io penso che sono moralmente delle ottime persone anche se hanno ucciso”. E argomenta con l’intervistatore: “E’ una morale di guerra, non esiste solo una sua o una mia morale. La morale è multipla, ci sono persone che vanno a bombardare una città e sono considerate degli eroi e persone che sparano su un bersaglio determinato che sono considerate dei criminali. Nel secondo caso solo perché sconfitti”.
Credo – posso sbagliare – che la morale di guerra preveda lo schieramento di almeno due fazioni opposte. Eserciti contro eserciti. Armi contro armi. Ideologie contro ideologie. Interessi acuminati, geografie collidenti, economie selvaggie (in certi casi).
L’ostacolo che – posso sbagliare – impedisce (deve impedire) una rivalutazione morale dei terroristi è fatto da biciclette, impermeabili, valigette in finta pelle, occhiali rotti, scarpe, biglietti di autobus, chiavi… gli oggetti delle vittime, le armi di uno schieramento di quella guerra. Dall’altro lato, pistole.
Gli sconfitti – qualcuno dovrebbe riferirlo a Franco Piperno – non sono i terroristi, ma le mogli, i figli, i genitori, gli amici e i colleghi onesti delle vittime. Nessuno – posso sbagliare – ha finora avviato una campagna per salvaguardare quell’ingrediente della moralità (multipla, sottomultipla, probabilmente infinitesimale) che si chiama memoria.

Il partito dei vescovi

Il partito dei vescovi italiani chiede di cambiare la legge elettorale. In un recente comizio, il segretario della Cei, Giuseppe Betori, ha chiesto agli italiani cattolici di “votare con discernimento” e ai futuri onorevoli del suo stesso medesimo partito (sempre cattolici, of course) di richiamarsi, nella loro azione, ai “valori fondamentali della Chiesa”. L’organo di stampa dei Bagnaschiani e Betoriani Uniti, Famiglia Cristiana, ha bombardato a tappeto l’intera classe politica italiana, dal Pdl al Pd (gli altri manco li caga), bollandola come inadeguata.
La costruzione di un nuovo sistema Italia prevede programmi blindati e benedetti: la famiglia è solo una (ad eccezione delle famigghie), la vita è sacra (anche se è di merda), i gay sono malati gravi e peccatori (all’inferno sì, ma in camere separate), Cuffaro si può candidare come e dove vuole (“non è un problema della Chiesa”, nonostante l’ex governatore sia un testimonial sfegatato di ogni modello di Madonna in simulacro).
Al partito dei vescovi manca insomma solo la distribuzione dei normografi davanti ai seggi elettorali. Il resto lo farà il crocifisso. Che, se ben brandito, fa miracoli…