Parole contro i ladri di democrazia

C’è un fiorire di pagine bianche, fogli vuoti, rubriche vacanti per protestare contro la legge bavaglio imposta dai rapitori della democrazia.
In realtà adesso ci sarebbe un gran bisogno di pagine e fogli stracolmi, di un surplus di frasi, di un’overdose di concetti sensati proprio per contrastare chi vuole fermare le parole libere, chi vuol minare le fondamenta del mondo civile.
Vada per i post-it, ma non dimentichiamo la sana indignazione. Che è fatta di righe che riempiono, sanano, denunciano. L’importante è non lasciare spazio al vuoto.

Un giornalista non vale un cassonetto

Le storie dei giornalisti, cioè le storie di coloro i quali dovrebbero raccontarle, sono ontologicamente poco interessanti, come la carie dei dentisti o gli ombelichi degli ombelichisti. Però ce n’è una del Giornale di Sicilia di Palermo che va raccontata, seppur in breve.
Nel 2008 l’azienda e il cdr (comitato di redazione, cioè l’organo sindacale) si accordano su un premio di produttività che andrà corrisposto in buoni pasto l’anno seguente ai giornalisti. Poi però, al momento di aprire la borsa, gli editori fanno un passo indietro adducendo come motivo le incertezze dei mercati internazionali, la crisi mondiale e forse anche l’invasione delle cavallette. Quelli della redazione del GdS, che sono brave persone e che si fidano ancora di quel che scrivono i giornali, per un po’ ci credono e alzano le spalle: la crisi è crisi, se è guerra è guerra per tutti, e porca miseria tocca a noi dare l’esempio.
Passa qualche settimana fino a quando sulle colonne dello stesso Giornale di Sicilia si legge che l’editore ha deciso di stanziare 50 mila euro per l’acquisto di cinque nuovi autocompattatori per dare un esempio nella lotta all’emergenza rifiuti.
Il GdS non è nuovo a simili sponsorizzazioni. Qualche anno fa si lanciò in una campagna di restyling dei cassonetti di Palermo patrocinandone un rivestimento artistico: in pratica i contenitori dei rifiuti venivano avvolti in grandi tele adesive che riproducevano le opere di importanti pittori siciliani. Risultato: i cassonetti venivano bruciati lo stesso, ma con una sorta di effetto Giovanna d’Arco che prometteva un trafiletto nella Storia.
Finì come finì, senza un briciolo di memoria nella città che della memoria fa briciole.
Ora l’iniziativa del GdS, quella degli autocompattatori (non quella dei cassonetti d’artista che era talmente ardita da poter essere definita insensata a clamor di popolo), potrebbe essere condivisibile se non ci fosse un fondamentale accordo pregresso con la redazione: i premi di produttività non sono promesse da marinaio o cartoncini del “gratta e vinci”.
E soprattutto l’operazione non desterebbe sospetto se l’interlocutore non fosse quel sindaco Cammarata che è primo attore delle vicende che riguardano la raccolta dei rifiuti a Palermo, come le recenti vicende giudiziarie confermano.
Morale: i giornali non sono spazzatura, ma la spazzatura conta più dei giornalisti. Almeno con questo sindaco e con certi giornali.

Repetita iuvant

Finalmente Aldo Grasso dice la sua su una nostra affezionata cliente, Monica Setta. E dice qualcosa di straordinariamente simile a ciò che abbiamo più volte scritto da queste parti.

La finta democrazia

Presentatrici televisive che fanno i sindaci, soubrette che fanno i ministri, piduisti che fanno i premier, pregiudicati che fanno i senatori, lingue felpate che fanno i direttori di tg, imbroglioni e bugiardi che fanno i direttori di giornali.
Ogni mattina quando leggo i giornali, l’Italia mi appare sempre più dannata.
L’occupazione militare di ogni scranno, seggiola o strapuntino segue una regola fondamentale: quella della mistificazione.
Nella Prima Repubblica c’erano la corruzione e la censura, ed erano sotto gli occhi di tutti. Lo erano a tal punto che il potere non si sognava di nascondersi. Al contrario, l’imbroglio era ottriato come simbolo del privilegio del potere. Dalla Rai di Bernabei alla Milano da bere di Craxi, era un tripudio di benessere oligarchico.
Nella Seconda Repubblica qualcuno ha deciso che bisognava cambiare, se non altro per giustificare il terremoto politico. Il potere non voleva rinunciare ai suoi vantaggi trasversali e disonesti, ma non voleva più nascondersi. Così ha scelto di costruire una realtà deformata da elargire ai sudditi adoranti.
La negazione dell’evidenza è diventata lo strumento chiave di lotta alla verità.
Nani e ballerini al governo? No, no, mai, mai, vergogna, vergogna!
E intanto sale la musica e scintillano le paillettes: inizia il consiglio dei ministri.

La tendenza della Sovrintendenza

Leggo su Livesicilia che la Sovrintendenza ai Beni Culturali ha chiuso le porte del teatro greco di Taormina allo spettacolo di Marco Travaglio “Promemoria”. Motivo? Ci sono dubbi sulla validità culturale dell’evento.
Dubbi che non sussistono per “Del mio meglio – live” di Giorgio Panariello, programmato per il 31 luglio.
Forse Travaglio più che cantarle dovrebbe semplicemente cantare.

In caso di Finanziaria

Ho preso un appunto che vi riproporrò ad ogni approvazione di legge Finanziaria, come promemoria.

Secondo Edward Luttwak, il presidente della regione Molise guadagna più di Barak Obama.
Non risultano ancora smentite.

Le stragi e la memoria tardiva

Foto di Paolo Beccari

Va di moda la memoria tardiva, cioè quella che si manifesta quando è troppo tardi. A diciotto anni dalle stragi di Capaci e via d’Amelio è un fiorire di ricostruzioni aggiornate, di dubbi che si incastonano nelle conferme, di testimonianze cruciali. Ora persino Carlo Azeglio Ciampi arriva a ipotizzare un coinvolgimento istituzionale nelle bombe del ’93 (che non furono meno peggiori di quelle dell’anno precedente: le bombe non si classificano, si odiano).
E prima di lui molti altri. C’è chi ricostruisce le biografie delle vittime, riscrivendone ambizioni e amicizie, e chi lascia intendere “io lo avevo detto, lo avevo previsto”.
In realtà tutti gli uomini di buona volontà e di coscienza pulita sanno che, in questo campo, chi aveva previsto davvero è colpevole quanto un mandante o un esecutore. Perchè allora non ci fu mai da parte di questi signori un solo sussurro d’allarme. Quindi o sapevano e tacquero, o adesso raccontano minchiate.
Qualcuno potrebbe ricordarmi che il mio fastidio per la memoria tardiva è anche quello espresso da Fabrizio Cicchitto ieri su Libero. Ok, però io non sono mai stato iscritto alla P2.

Ingiustizia virale

Su internet quest’immagine è ormai virale. Ma non me la sentivo di cestinarla.

Via Davide Romano.

Se il giornalista non sa neanche copiare

Leggo su Repubblica che a Palermo vendono l’iPad da 64 GB wifi 3G a 699 euro (al Mondadori Multicenter). Siccome è lo stesso modello che aspetto io e che è stato acquistato online a 799 euro, salto in moto e mi precipito in negozio. Penso, da buon parsimonioso, che un risparmio di cento euro val bene una disputa con l’Apple Store internettiano.
Invece, arrivato in loco, la commessa mi gela: “E’ un errore di Repubblica, il nostro prezzo è quello imposto da Apple, 799 euro. Ovviamente”.
E’ quell’ovviamente che mi gela.
Ovviamente il collaboratore di Repubblica non sa né leggere né tantomeno copiare. Altro che riassuntini

Riassunto

Un imprenditore molto ricco, con una certa propensione alle scorciatoie non legali, si inguaia ad ogni passo della sua vita. Amicizie, frequentazioni, partnership, vicende familiari, scelte economiche, sportive, artistiche, politiche. Ovunque si cimenti, come per maledizione, c’è sempre un tarlo che rode l’architrave del suo progetto. Poi l’imprenditore diventa premier e costruisce una legge che impedisce di raccontare i capitoli più avvincenti e/o indecenti di questa storia.
Per cui questo è il massimo che si può dire. Un riassunto. Roba da quarta elementare.