La cellulite di Cindy Crawford

Non trovando nulla di meglio da fare, Abc News ha messo online una serie di foto che ritraggono personaggi celebri dello spettacolo tra rughe, smagliature, borse sotto gli occhi e chili di troppo. C’è un’irritante compiacenza nello spogliare la Very Important Person del suo involucro dorato. Vedere la pancetta cadente di un mio mito di bellezza, Cindy Crawford, mi ha rattristato nel profondo. Ma non tanto per l’adipe della bellissima ex top model (rimarrebbe un mio intimissimo sogno proibito anche se inforcasse una dentiera di piombo), quanto per la contundenza di una cattiveria mediatica che nulla ha a che vedere con il diritto di cronaca, con la crudeltà asciutta della notizia. Il percorso mentale che mi sono fatto è questo: loro, i ricchi-famosi-belli, hanno un peccato originale (sono ricchi-famosi-belli, appunto) che alcune sub-ordinarie persone vogliono trasformare in un debito verso la pubblica opinione; il meccanismo di vendetta prevede che i normali difetti di questi r-f-b vengano riverniciati coi colori della vergogna; vedere il bello trasformarsi di colpo in brutto strappa nelle sub-ordinarie persone non un sorriso, ma un ghigno.
Trovo volgare tradurre un cedimento strutturale epidermico in termini di notizia. E lo trovo addirittura vomitevole se fatto in rassegna: corpi uno dietro l’altro, facce gonfie, addomi dilatati, sguardi stralunati.
Bisognerebbe ripescare la vecchia legge del taglione per i direttori di giornali che pubblicano simili reportage. Niente ammende, nè – figuriamoci- altre pene: solo una striscia quotidiana che dovrebbe illustrare il loro decadimento fisiologico, amplificando la morte di ogni loro singola cellula come se fosse un’esecuzione in pubblica piazza.

Il ventriloquo

Berlusconi dice che Casini ha ucciso la Casa delle libertà e che, peggio del peggio, finirà a sinistra. Il suo eterno portavoce Bonaiuti, che Dio lo aiuti, smentisce: mai detta una cosa simile. Il meccanismo dichiarazione-smentita è un pilone della comunicazione forzitaliota. Una via di mezzo tra il bastone e la carota, un bastone commestibile o, se preferite, una carota contundente. Una smentita di tal sorta avrebbe una sua credibilità se fosse accompagnata da frasi tipo: “Casini è un grande alleato”; “Casini quando ha gli incubi sogna bandiere rosse”; “Casini sta alla Cdl come la mia mano sta al culo di una soubrette”; “Casini ha capelli da sogno”.
Invece siamo al solito gioco della mano nascosta dopo che la pietra è stata lanciata.
Sipario. Gli ortaggi ormai hanno prezzi proibitivi.

Il sopravvissuto

Le mefitiche intercettazioni ambientali collocano il tunisino Azouz, il “sopravvissuto” alla strage di Erba, nel girone degli opportunisti crudeli, con diritto di residenza anche in quello dei delinquenti abituali. Si apprende infatti che della moglie e del figlio ammazzati da quei matti di Olindo Romano e Rosa Bazzi a lui non gliene importava un bel nulla. Coi corpi ancora da seppellire, Azouz si preoccupava di andar a scopare con un’amica della moglie. I traffici di stupefacenti non hanno subito battute d’arresto se non giusto il tempo dei funerali. Il tunisino si sentiva sicuro, come se con il sangue dei suoi familiari avesse pagato ogni conto con la giustizia e dovesse anzi riscuotere un surplus di impunità. Gli atti che hanno portato al suo arresto trasmettono un cinismo imbarazzante: il signor nessuno improvvisamente celebre per meriti criminali altrui arriva ad ammettere che questi mesi (cioé il periodo che va dalla strage dei familiari a oggi) sono stati i più belli della sua vita.
Se Rosa Bazzi e Olindo Romano potevano incarnare il male assoluto, Azouz ne rappresenta la terza dimensione.

Music Control

Sono un consumatore bulimico di radio. E quando l’amico Giovanni Villino mi ha invitato ad approfondire l’argomento Music Control, mi sono trovato spiazzato. Non sapevo cosa fosse questa roba: così mi sono documentato.
Ci ho messo poco per apprendere che MC è un sistema di rilevamento di passaggi radiofonici di un brano musicale che monitorizza centinaia di radio e televisioni in mezzo mondo. E’ basato su un complesso meccanismo elettronico e vede tra i suoi clienti i boss dell’industria musicale.
Sulla base dei risultati di questa “indagine” si stilano le classifiche, i preziosi elenchi dei brani più ascoltati.
E qui si inceppa il meccanismo logico.
Come può una classifica essere attendibile se basata non sui gusti reali del pubblico, ma sulle scelte dei direttori artistici delle emittenti? Non è un mistero infatti che le scalette di ogni singolo programma di ogni singolo network radiofonico sono stabilite dai singoli direttori. A ciò si aggiunga che, come ogni radioascoltatore attento può verificare, molti passaggi musicali sono strettamente legati a ben altri passaggi, quelli pubblicitari: moneta sonante, si diceva una volta.
Ecco spiegato perché, ad esempio, la vostra radio preferita trasmette nell’arco di tutta la giornata al massimo 40-50 canzoni: sempre le stesse.
Morale: una classifica basata sulle scelte di pochi non è una classifica di gradimento. E’ un elenco della spesa.

Stupro di una manager

Il caso dell’allineamento Rai-Mediaset mi fa sorridere. Questo inciucio mediatico sta entrando nel (lungo) elenco delle vergogne italiane. Eppure, a pensarci bene, questa vicenda avrebbe i numeri per rimanere nel girone delle chiacchiere da bar. Il capro espiatorio, la manager Deborah Bergamini, è una bella donna in carriera definita persino dai suoi detrattori come giornalista brillante, come persona precisa, colta, capace, disciplinata, minuziosa, illuminata (Antonello Caporale su Repubblica). Pochi vi hanno detto che gli accordi tra i grandi giornali ci sono da decenni, e riguardano le notizie come le strategie pubblicitarie. I direttori di testata si consultano, in occasione di grandi eventi e non. Il peso di certe campagne viene verificato su varie bilance.
Non sono gli accordi di intelligence tra Rai e Mediaset a rovinare la vita degli italiani, ma i trust delle compagnie di assicurazione, i cartelli dei petrolieri, le posizioni violentemente dominanti di certe compagnie telefoniche (che non si occupano solo di cellulari e interurbane). C’è un Italia sotterranea che forgia misteri nel buio dell’impunità. Non sarà lo stupro professionale in pubblica piazza di una manager che – probabilmente perché bravissima – alimenta più di un’invidia a ridarci la giustizia che ormai ci stiamo stancando di chiedere.

Forse

Forza Italia non si scioglie più. Come accade pericolosamente spesso nelle vicende di Berlusconi, c’è stato un malinteso: il che significa che gli altri, tutti gli altri, hanno male interpretato il verbo del Cavaliere. Il quale, fresco e pettinato, ha trovato ieri la faccia per dichiarare di non aver mai parlato dell’eutanasia di Forza Italia: “Ho detto che forse si sarebbe andati allo scioglimento”.
Sta tutto in questo avverbio, forse, la filosofia del personaggio. E’ nel gioco tra dubbio, esitazione e probabilità, che Silvio Berlusconi ha costruito la sua fortuna imprenditoriale e politica. Il giocatore di poker che punta tutto su una mano fortunata, il vanitoso che cambia vestito a seconda dell’auto che prende, il furbo che confida nella buona fede altrui, lo spregiudicato che rispetta solo le regole che lui stesso ha inventato.
Il nuovo soggetto politico sarà un “partito network”, un “partito holding”. Pochi hanno capito che cosa significhi questo profluvio di inglesismi. Di certo il suo presidente si farà amministratore delegato, governatore dei governatori, pontefice di tutte le chiese, Dio.
Forse.

Il conto dei Savoia

Tre frasi di Vittorio Emanuele Alberto Carlo Teodoro Umberto Bonifacio Amedeo Damiano Bernardino Gennaro Maria di Savoia (se avesse tanti neuroni quanto i nomi che porta risulterebbe un genio a casa sua).
Nel 1994, quando gli fu chiesto se fosse disposto a giurare fedeltà alla Costituzione repubblicana per tornare in Italia, lui rispose: “No. Non voglio rispondere a questa domanda. È una cazzata!”.
Nel 1997 rifiutò di scusarsi per la firma di un Savoia alle leggi razziali, precisando: “Non mi scuso perché non ero neanche nato. E poi, non sono così terribili (le leggi razziali, ndr)”.
Nel 2006, appena scarcerato, durante una telefonata a un conoscente disse: “Questi giudici sono dei poveretti, degli invidiosi, degli stronzi. Pensa a quei coglioni che ci stanno ascoltando: sono dei morti di fame, non hanno un soldo. Devono stare tutto il giorno ad ascoltare, mentre probabilmente la moglie gli fa le corna”.
Ora Vittorio Emanuele di Savoia, pensionato P2, e suo figlio Emanuele Filiberto, killer grammaticale e sospettato col genitore di attentato alla pubblica intelligenza, chiedono 170 milioni di euro allo Stato italiano per danni morali dovuti alla violazione dei diritti fondamentali dell’uomo stabiliti dalla Convenzione Europea per i 54 anni di esilio.
Segue il messaggio che mi ha spedito ieri la mia amica Mela insieme con la segnalazione di questa notizia: “Accanisciti, ti prego! Sbranali a parole, masticali e, se sono indigesti, vomitali pure! E rutta!”.

Burp!

Stipendi non stupendi

Una ricerca dice che negli ultimi cinque anni gli stipendi di lavoratori dipendenti e operai sono diminuiti, per effetto di un complesso gioco di inflazione, mancata restituzione del fiscal drag e altri elementi economici da mal di testa. Sono un lavoratore dipendente, anche se da febbraio scorso sto provando la libera professione, e mi rendo conto che, pur da privilegiato, con l’avvento dell’euro mi sono ritrovato più povero. Non ci vogliono studi da premio nobel per capire che 2.500 euro non valgono quanto i cinque milioni di lire di una volta, ci vuole solo coraggio politico per affrontare al più presto la questione. Ci vogliono leggi per controllare i prezzi: un chilo di arance in Sicilia non può costare tre euro, perché fino a qualche anno fa costava mille-millecinquecento lire (prezzo massimo). Quando avevo casa in affitto pagavo un milione al mese, col tempo sono arrivato a pagare oltre mille euro. E vi assicuro che se, negli anni Novanta, mi avessero detto che sarei arrivato a pagare due milioni e passa per una casa mi sarei fatto ricoverare d’urgenza, per prevenzione. Quando si parla di soldi il qualunquismo è sempre in agguato. Ma se non se ne parla c’è la Sezione Fallimentare che incombe. Morale qualunquista: meglio qualunquisti che alla fame.

Consigli per gli amplessi

Scrivo queste righe in clandestinità, nel covo di alcuni miei favoreggiatori che, coraggiosi, cercano di restituirmi ciò che la Telecom mi ha tolto tre giorni fa: la libertà di comunicare.
Riflessione per il fine settimana: data la recrudescenza di delitti maniacali, di accoltellamenti durante atti sessuali, di emulazioni criminali, di amplessi tragici, di prelievi di Ris, Sco, Cip e Ciop, è consigliabile adottare alcune precauzioni di carattere generale.
Niente incontri erotici in luoghi in cui ci sono coltelli nel raggio di 1,5 chilometri. Il partner, anche se trentennale, va sempre perquisito prima.
L’amplesso si deve svolgere in una stanza completamente vuota, nella quale i due (o tre, o quattro, eccetera…) protagonisti entrano completamente nudi.
E’ prevista un’ispezione corporale prima dell’ingresso nella stanza di cui sopra.
Terminato il rapporto, i due (o tre, o quattro, eccetera…) amanti vanno in piazza a fermare i passanti per farsi un alibi nel caso in zona si verifichi un omicidio. La caccia agli inconsapevoli testimoni prosegue per tutta la giornata tra scontrini fiscali, biglietti del cinema, code alle Poste, risse coi posteggiatori, volantinaggi davanti alle scuole e flash mob di fronte al municipio.
Alla fine i due amanti (o tre, o quattro, eccetera…) vanno a letto, ognuno a casa sua, assicurandosi che i telefonini siano serviti da “celle” diverse: solo così avranno la certezza di non aver sbagliato casa.

L’imbecille travestito da artista

Per il linguaggio usato questo post è destinato a un pubblico adulto.

Un coglione travestito da artista, di cui non faccio il nome per non fargli ulteriore pubblicità, ha organizzato una mostra esponendo un cane (vero) legato a una corda. L’atroce originalità dell’allestimento consiste nel fatto che il cane dovrà morire di fame davanti ai visitatori. Per rendere più scioccante la sua performance da testa di cazzo, il lurido in questione ha rivestito i muri di croccantini che, ovviamente, il cane non può raggiungere. C’è da qualche settimana una mobilitazione nel web per bloccare questa vergogna, probabilmente il cane sarà già morto. La beffa è che questo imbecille è stato invitato alla biennale d’arte del Centroamerica del 2008. Ci sono almeno due modi per impedire che ciò accada: il primo è firmare questa petizione, il secondo è prendere questo delinquente a calci in culo se capita di incontrarlo. Un calcio per uno, lo rispediamo nel tugurio in cui merita di rimanere confinato. A mangiare croccantini per cani.