Colazione tipica

Prima colazione in un piccolo albergo siciliano. Un posto tipico, tra ulivi e antiche pietre. Cornetto lombardo, yogurt trentino, marmellata piemontese, zucchero emiliano, caffé friulano, acqua laziale, latte di provenienza incerta, kiwi cileno, succo d’arancia francese.
Se nel nome della globalizzazione devo ingurgitare prodotti industriali provenienti da luoghi distanti migliaia di chilometri, mi professo reazionario, negazionista, euroscettico, talebano e quant’altro.
Il discorso è complesso e prometto che, insieme, ci torneremo su.
Intanto vorrei lanciare due campagne: una per l’archeologia dei sapori, l’altra per la decapitazione della parola multinazionale.

La terza via

I mezzi d’informazione riferiscono che le testimonianze contro don Pierino Gemini, accusato di abusi sessuali su ospiti della sua comunità, sono molte e concordanti. Sulla vicenda si scontrano due teorie. La prima, che all’occasione proviene da esponenti del centrodestra, è innocentista e addirittura mette in campo l’idea di un attentato ideologico a un eroe del nostro Paese. La seconda, che all’occasione promana dalla sinistra estrema, fa finta di non guardare in faccia nessuno (“Non facciamo che siccome c’è un prete di mezzo finisce tutto a tarallucci e vino?”), ma in realtà trasuda senso di vendetta contro i pretacci di successo. Manca una terza via, almeno io non l’ho vista, quella di un cauto realismo.
E’ innegabile che quando un’indagine investe una persona nota, la luce dei riflettori rischia di essere più forte di quella della verità. In questi casi però ci si potrebbe astenere dall’ovvio. Riferire di “confidare nell’operato della magistratura” equivale a dire che si ha fiducia nel lavoro del proprio salumiere. Un magistrato, come un salumiere, opera – cioè agisce – secondo tecniche stabilite, non c’è bisogno di attribuirgli personalmente un riconoscimento perché l’effetto rischia di avere una valenza opposta. Così come ostentare una serenità di ferro quando si finisce sotto inchiesta può togliere una veste di umanità e scoprirne un’altra di calcolata freddezza. Meglio dire che si è sconvolti, amareggiati, incazzati: è normale, succede a tutti, famosi e signorinessuno.
La terza via prevede un ordine dettato da una sola regola: il silenzio che rispetta tutti.

Scienza e psiche

Fa sempre una certa impressione leggere di come la Scienza continui a maturare certezze su un ambito così complesso come quello della nostra psiche. Si viene delineando, ormai da qualche decennio, un preciso scenario chimico per i nostri pensieri, le nostre sensazioni, persino i nostri sentimenti. Se in momenti di difficoltà ciò può apparire confortante, in situazioni opposte – che ognuno di noi spera siano più frequenti – la decrittazione biochimica è deprimente. E’ un caso che i protagonisti occulti o, sarebbe meglio dire, i grandi manovratori della nostra esistenza intima abbiano nomi vestiti di suffissi diminutivi (adrenalina, acetilcolina, serotonina) o accrescitivi (testosterone, progesterone)? Di certo c’è che dietro una pulsione creativa, una delusione amorosa, un attacco d’ira o un impeto di affetto ci sta sempre una gocciolina che filtra da una cellula all’altra. Il dibattito sempiterno sul rapporto tra ciò che siamo e ciò che crediamo di essere è utile quanto uno sbadiglio a un concerto di musica andina: se non altro ha il pregio di avvisarci che siamo in un luogo sbagliato.
Chi ha avuto modo di provare l’effetto correttivo di una pillola (solida) sul meccanismo (etereo) del pensiero sa che il farmaco e la psiche, quando si trovano a tu per tu, si accomodano ciascuno al proprio posto. La gocciolina ospite si spalma tra due neuroni e svolge il suo compito retribuito. L’industria della mente, senza proclami, isola alcune linee improduttive o dannose e tira a campare. Non c’è battaglia, ma compromesso.
Alla fine la Scienza sta ancora cercando di capire cosa ci fa capire di credere di capire. Nel frattempo, prendiamoci in spalla le nostre gioie e i nostri dolori e aspettiamo la prossima puntata di Superquark.

Chi siamo e quanti siamo

La memoria vive da sé o necessita di simboli che la tengano viva? Il dibattito è aperto dall’alba dei tempi e si riapre a ogni commemorazione, convegno o fiaccolata per celebrare chi non c’è più.
Se fossimo un popolo dai solidi ricordi, riterrei i simboli ininfluenti. Siccome non lo siamo, penso che ogni pietra posta a identificare il luogo in cui un cammino – umano, ideologico, religioso, civile – è stato interrotto debba essere consona al ruolo che svolge. Una pietra non qualunque, insomma.
Si tratta, ovviamente, di una posizione personale.
L’idea di distaccarci dalla critica dei simboli perché c’è qualcosa di più importante a cui pensare mi rimanda più a un qualunquismo da sollevatori di cocktail a scrocco (fatte salve la buona fede e la correttezza di Roberto Puglisi) che a una reale sacralità del ricordo.
Dalle nostre parti, la violenza è matrigna dell’oblio, non riempie solo tombe svuotando vite, ma genera buchi di memoria comodi e, per molti, strategici.
I simboli sono necessari per tenere d’occhio il tempo che passa. E per contarci, cioé per vedere chi siamo e quanti siamo, ogni tanto.

La qualità della solidarietà

Lo scrittore Giacomo Cacciatore, stamattina, mi ha ispirato una riflessione.
Quella che vedete è una statua che dovrebbe raffigurare Paolo Borsellino. Ieri, nel corso della celebrazioni per l’anniversario della strage di via d’Amelio, l’opera è stata presentata al pubblico. Sarà affiancata, nelle intenzioni dell’artista che l’ha scolpita, da un’altra figura che dovrebbe ricordare Giovanni Falcone. Ebbene, senza offesa per l’autore, le cui intenzioni – immagino -sono più che nobili, chiedo che queste sculture non siano esposte. Per un semplice motivo: sono brutte!
Andate a vederle, vi prego.
L’antimafia delle idee, come quella dei fatti e della spontanea partecipazione, deve farsi anche filtro. Ben vengano tutte le iniziative, da qualunque parte, ma non tutte possono aspirare al medesimo impatto emozionale. Se io ascolto una canzone banale che grida “abbasso i mafiosi”, applaudo di certo, ma non mi sogno di farla diventare un inno nazionale. In questo blog c’è un mio piccolo contributo video alla causa dell’antimafia, non pretendo che venga proiettato in piazza Politeama: perché è un prodotto artigianale, che merita una collocazione modesta e ponderata. Sta bene dove sta, insomma.
Dobbiamo imparare a fare i conti con la qualità della solidarietà.

La cultura assetata

Ad Agrigento, nella città della sete, si produce un’acqua minerale raffinatissima. Ora, grazie a un accordo con la multinazionale Nestlè, l’imbottigliamento raggiungerà quote record. In pratica l’acqua delle gole secche agrigentine finirà sul mercato internazionale. Per capire il paradosso di questa notizia bisognerebbe comunque andare di persona ad Agrigento, un posto meraviglioso e arido, dove convivono storia millenaria e immondizie secolari. Il rimando ai relativismi e alle contraddizioni della “terra di Pirandello” è stato, nel tempo, il migliore alibi per sottovalutare la situazione della città. In un luogo in cui l’emergenza idrica non si è mai arrestata, le abitazioni sono costruite in funzione dei recipienti d’acqua che possono ospitare. La politica, tra sindaci e commissari, ha giocato inutili partite. La magistratura ha arbitrato spesso invano.
L’acqua fresca che scorre sotto la crosta polverosa di Agrigento è il simbolo della sciatteria colpevole che asseta e affama gli uomini tutti. Poi arriva un supermanager con l’accento nordico e risolve tutto. Per la sua azienda.

Più pixel per tutti

Dalla Seconda repubblica a Second Life. Il ministro Antonio Di Pietro ha inaugurato l’era della politica virtuale con una conferenza stampa sull’isola fantastica di Never Land. In un auditorium discretamente affollato di avatar ha parlato di riforme, di maggioranza, di programmi. “Faremo qui gli incontri di partito, questa è libera informazione”, ha detto. Non ha tutti i torti.
La politica si evolve e anche l’ultimo pixel va sfruttato per raccogliere briciole di consenso. Nel dibattito virtuale però c’è un problema di verosimiglianza difficile da risolvere. L’identità veritiera, in mezzo alla calca dei fantasmi anonimi, è per un politico una prova complicata. Però se c’è un mondo in cui vale oro essere se stessi, è proprio quello in cui pochi lo sono.
Su Second Life ci sono star di Hollywood e cialtroni di ogni razza, si comprano terreni a un occhio della cyber-testa e si celebrano orge che finiscono sulle prime pagine dei giornali (veri, di carta). Se un ministro promette “più nickname per tutti” è una cosa, un’altra è se si impegna per la Tav.

La coesione e la ragione

La città in cui vivo è stata teatro, nei giorni scorsi, di un Flash Mob cioè di una cosa semplice da fare ma complicata da spiegare.
Il fatto. Un centinaio di ragazzi si sono radunati in piazza e, al segnale stabilito, si sono gettati a terra per qualche secondo scattandosi fotografie. Poi si sono dispersi.
La spiegazione. Questo genere di manifestazione, che ha preso piede in tutto il mondo, non ha scopi politici né sociali e viene inquadrata nell’ambito della cosiddetta libertà d’espressione.
Un paio di riflessioni. Un’azione corale con una discreta forza d’aggregazione non va mai presa sottogamba a patto che abbia almeno un recondito significato. Cosa volevano mandare a dire quei trecento e passa che hanno assaggiato il cemento di piazza Politeama? Ho spulciato in blog e siti specializzati e la risposta che ne ho ricavato è: nulla, a parte “ritrovare uno spirito di coesione”. E a cosa serve la coesione a tempo super-determinato (meno di un minuto)? L’impressione è che nessuno dei partecipanti a un Flash Mob abbia l’intenzione di farsi un’idea precisa. La rapidità d’esecuzione, il reclutamento online, l’esigenza di fotografarsi/filmarsi e l’addio repentino sono, in una singolare sovrapposizione, causa ed effetto del fenomeno. Il Flash Mob cioè nasce e muore mentre lo si celebra, in un lampo. E di quell’attimo non lascia che emozioni senza emozione. Perché la coesione e la ragione non sono soltanto parole che fanno rima.

Gli pseudoscaltri

L’ultima polemica estiva, quella che vede coinvolto Beppe Grillo definito “ecofurbetto”, fa sorridere per la sua pregnanza di inconsistenza. Al comico genovese, autore di molte battaglie contro l’inquinamento, viene rimproverato di aver fatto un giro su un potente motoscafo dotato, come tutte le barche a motore, di un motore appunto. E i motori sporcano.
La pulsione da cui originano queste critiche è una costante psicologica che alberga nelle menti degli pseudoscaltri. A questa categoria appartengono quelle persone che cercano di farvi cadere con argomentazioni da sorrisetto velenoso quando non ne trovano di congrue o, al limite, divertenti.
Alcuni esempi. Se avete una vena ambientalista vi chiedono a squarciagola di che materiale sono le vostre scarpe. Se lavorate troppo non mancano di domandarvi se guadagnate troppo. Se siete soli si affrettano a rimarcare coram populo l’assenza di un vostro ex partner. Se siete in compagnia, con la medesima enfasi, rievocano le presunte gesta di quando eravate solo.
Gli pseudoscaltri vivono della pseudomancanza altrui. Se non la trovano se la inventano.

Afa killer e serial killer

La meteorologia è una scienza esatta: mette d’accordo tutti gli appassionati di luoghi comuni. Le discussioni su tempo che fa e su quello che farà sono infatti il terreno più confortevole su cui muoversi per ingannare il tempo in coda alle Poste, in ascensore, dal panettiere, nell’ambulatorio di un ospedale.
Dalle mie parti oggi ci sono più di 40 gradi con un tasso di umidità da annegamento. Si era parlato dell’estate più calda del secolo e sino a oggi i meteorologi se l’erano presa in quel posto. Ma da ieri è cominciata la loro rivincita: bollettini aggiornati al millisecondo, protezione civile in allarme rosso. Uno scenario che conosciamo a memoria, e del quale facciamo finta di stupirci ogni anno in questo periodo, grado più grado meno.
Mi verrebbe da usare il maiuscolo per quello che sto per scrivere, ma mi contengo: in estate, specie in Sicilia, c’è sempre stata l’afa, sempre sempre sempre!
Sui giornali si titola da tempo immemore: “Afa killer”; “Il caldo fa strage di anziani”; “E’ scoppiata l’estate”; e via ticchettando.
Un’ultima cosa, andate a leggervi gli immancabili consigli degli esperti. Vi spiazzeranno con rivelazioni del tipo: anziani e bambini vanno tenuti all’ombra. O in ghiacciaia se siete dei serial killer.