Le idee di Ferrara

Michele Serra scrive su Repubblica quello che, da ex divoratore di giornali, ho sempre pensato (e che non ho mai scritto, altrimenti sarei Michele Serra).

Se c’è qualcosa da rimproverare a Ferrara non sono le sue idee, per quanto eccentriche e mutevoli. È avere messo un giornale ben scritto a disposizione di una causa mal scritta, quella di Berlusconi.

Via Ppr.

Testimonial dei 10 comandamenti

  1. Non avrai altro Dio al di fuori di me, disse Berlusconi avvolto dalla luce (stroboscopica).
  2. Non nominare il nome di Dio invano, disse Sandro Bondi a Gianfranco Fini.
  3. Ricordati di santificare le feste, disse Lele Mora a Emilio Fede prima di dare il via alle danze.
  4. Onora il padre e la madre, disse Pietro Maso uscendo dal carcere.
  5. Non uccidere, disse Michele Miseri alla figlia Sabrina.
  6. Non commettere atti impuri, rispose Sabrina.
  7. Non rubare, disse una voce perduta in un’intercettazione inutilizzabile.
  8. Non dire falsa testimonianza, disse Marcello Dell’Utri colpendo con la punta del naso un occhio del giudice.
  9. Non desiderare la donna d’altri, disse Giampaolo Tarantini mettendo mano al portafoglio.
  10. Non desiderare la roba d’altri, disse Morgan mostrandosi generoso.

Addio fuga innocente

Un nuovo progetto tecnologico, credo con la sponsorizzazione del governo, consentirà ai genitori di avere un software per tenere sotto controllo – via computer e via cellulare – l’attività scolastica dei figli.
In più, ogni volta che il ragazzo risulterà assente, partirà una raffica di segnali via e-mail o via sms.
E’ la fine di quella fuga temporanea che, a seconda della città e della regione, viene chiamata in modo diverso: marinare la scuola (per tutti), bigiare, caliare, fare sega, fare spago, lippare, fare filone, fare berna, bossare, tagliare, fare manca, fare forca, eccetera.
La tecnologia mette fine all’ultimo dei riti analogici che era rimasto ai nostri giovani: nel segno di una criminalizzazione degli atti comuni e di un controllo esasperato delle minchiate.
Tutti noi, compresi i nostri genitori, abbiamo marinato la scuola e conserviamo molte di quelle giornate nel nostro album dei ricordi. Senza quell’ebbrezza di libertà non avremmo apprezzato molti sapori (il cibo in quelle mattinate era più gustoso), molti colori (il cielo in quelle mattinate era più blu), molti dolori (la partita di calcio sulla spiaggia distruggeva i muscoli). Soprattutto non avremmo avuto una possibilità a buon mercato di infrangere una regola, di evadere ingenuamente, di provare in modo innocente cos’è la fuga. Per poi tornare, felici e  un po’ spaventati, nel mondo di sempre.

Curva pericolosa

Una fotogallery del Gds è dedicata alla bella ragazza che vedete sopra, Giuliana Galvano diciottenne di Agrigento, che – informa – il sito è “buongustaia con la passione per i tg”. Ora, a parte l’accoppiata cibo-tv che ricorda altre originali sinergie come caffè-sigaretta (bleah!), giornale-gabinetto, doccia-shampoo, assisto al pericoloso riproporsi di una location non nuova ai lettori di questo blog.
Vogliamo dire una volta per tutte che i binari della ferrovia non sono il posto migliore per mettersi in posa (pure a piedi scalzi)? Specialmente, come in questo caso, nei paraggi di una curva?

L’emozione degli altri

Anche ieri ho vissuto l’emozione di vivere le emozioni altrui: ho trascorso qualche ora sul traguardo della maratona di Palermo. E’ un appuntamento a cui cerco di non mancare mai perché ogni anno mi ritrovo a sudare da fermo, a sgolarmi appresso a quei coraggiosi che si sono lanciati in una sgroppata di oltre 42 chilometri.
Sono un appassionato di corsa, ma non sono fatto per quelle distanze: la mia biologia mi prescrive un massimo di 21 chilometri (che un tempo percorrevo con un buon passo).
Ieri, assieme a mia moglie che ha fatto delle splendide foto (le trovate qua), abbiamo respirato la sana aria della felice fatica, del puro impegno fisico, delle migliori intenzioni. Abbiamo visto adulti esultare come bambini, giovani sorretti da anziani, donne grintose e uomini piagnucolosi. Abbiamo visto atleti abbandonarsi sull’asfalto e principianti reggere come rocce. Ognuno con la propria soddisfazione, con la propria colonna sonora.
Tagliavano il traguardo, i primi come gli ultimi, e si sentivano fortissimi. Erano belli anche se devastati dalla fatica, maestosi anche se curvi.
Perché, dopo 42 chilometri e 195 metri di sforzo innaturale, a cronometro fermo si rendevano conto di aver vinto la battaglia più difficile. Quella contro se stessi.

Garantisce Maroni

Ho visto solo ieri la seconda puntata di “Vieni via con me”. E ho goduto per un programma di qualità. Erano anni che non assistevo a una trasmissione così ben fatta, curata nei dettagli, rispettosa dello spettatore.

Da abbonato Rai sono finalmente soddisfatto.

Gli strilli del petulo Maroni sono una conferma della qualità del prodotto. Quando non piace a lui e a quelli come lui, una trasmissione dovrebbe meritare una sorta di bollino di qualità.

Il ministro del troppo lavoro

Sono veramente sconcertato, per non dire schifato, dall’idea che ci possa essere uno sciacallaggio politico che chiede le dimissioni del ministro Bondi per un crollo a Pompei, imputandolo a lui. Mi fa ridere che quelli che non si dimisero per il crollo del muro di Berlino oggi vogliono le dimissioni di Bondi per il crollo di un tetto.

Il ministro Sacconi in un sol colpo ha fatto strike di corbellerie. Mettendo da parte la genialità di certe metafore, va detto che il signore in questione confonde la tutela dei patrimoni artistici (che consta di fatti) con il giudizio sulla storia (che consta di opinioni). E non è roba da poco giacché in questa colpevole confusione c’è tutta la visione del moderno regime: i dati di fatto non sono mai tali, in quanto c’è sempre un punto di vista governativo a sconvolgere la verità; le leve del pensiero dominante non vanno mosse da chi è saggio, cioè da chi è ontologicamente deputato a separare la cronaca dalle opinioni, ma da chi è furbo, cioè da chi emulsiona la realtà con la finzione.
Questo è il nostro paese, al momento.
Questo è il nostro ministro del Lavoro. Che forse avrebbe bisogno di riposo.

Grazie a Paolo Lussi.

Il metodo Ghedini

Secondo l’editto del tiranno della Rai (il nome non si fa perché quello di Masi è probabilmente una copertura) Fazio e Saviano per poter parlare di politica dovrebbero invitare tutti i politici. Ciò significa che non basta chiamare Fini per la destra, e Bersani per la sinistra, o viceversa, per garantire il pluralismo, il contraddittorio e tutte le menate di cui Vespa, Minzolini, la D’Urso (la D’Urso?) e tutti i canali Mediaset se ne fregano abbondantemente.
Il nuovo ordine di scuderia – o di stalla –  è: mettere i bastoni tra le ruote, proibire, impedire, rompere i coglioni sino allo sfinimento.
Il metodo Ghedini insomma. Solo che Ghedini, almeno sino a ora, lo abbiamo visto sbavare sul teleschermo.
Il dramma è  che domani, dati i chiari di luna di questo governo, il de cuius rischiamo di ritrovarcelo da questa parte del televisore, con un telecomando in mano. Il nostro.

Il fine di Fini prima della fine

Se non ho capito male, l’Italia non berlusconiana si affida all’ex berlusconiano Fini per abbattere il regime berlusconiano. E’ un po’ come chiedere a Jean Todt di mettere lo zucchero nei serbatoi delle Ferrari prima della partenza del gran premio di Imola. Una fesseria, a meno che non si sia davanti a una conversione o, meglio, a un pentimento.
Ma Fini appare convertito? Pentito?
Proprio no.
E’ incazzato nero, quello sì. Per lo scherzetto di Montecarlo e per gli agguati a penna armata dei picciotti del Cavaliere.
Occhio ragazzi: le rivoluzioni sono una cosa seria, più entusiasmanti da leggere che da vivere.  Solitamente riescono se dietro ci sono menti agguerrite, con ideali affilati.
Nel caso di Fini abbiamo solo una solenne incazzatura e una discreta voglia di vendetta. Più o meno quello che serve per mettere giù, al massimo, un editoriale del Giornale. E nulla di più.

Una tv da leggere

Ho visto “Vieni via con me” e mi è sembrata una bella trasmissione, ben scritta. Forse troppo. Nel senso che si capisce che è una trasmissione scritta, quindi da leggere più che da vedere.
Però la bontà del prodotto sta nell’accoppiamento tra il rigore ingessato di Roberto Saviano e l’arte debordante di Roberto Benigni, tra la solennità imbarazzata di Claudio Abbado e la felice tempistica di Fabio Fazio.
In tempi di vacche magre, anzi di vacche e basta, per una tv di raccomandati, di urlatori, di opinionisti improvvisati e di talenti in esilio, un programma in  cui ci sono artisti in grado di svolgere il loro mestiere in modo canonico è un evento da festeggiare.
Viva!