Affari sporchi, mani pulite

Berlusconi dice che con la sua riforma della giustizia nuova di zecca non ci sarebbe stata Mani Pulite e ammette che aspettava dal 1994 questo momento. Insomma in un colpo solo lascia trasparire anni e anni di malafede, di tentativi di infrangere la legge, di bluff e di magagne.
Ridurre Mani Pulite a una “invasione della magistratura nella politica” che ha portato “nel corso della storia degli ultimi venti anni a cambiamenti di governo, a un annullamento della classe dirigente nel ’93” significa qualcosa di peggio che turarsi occhi e orecchie davanti alla realtà, significa cercare di passare una benda chilometrica su occhi e orecchie di milioni di italiani e pretendere che nessuno si lamenti, e anzi ringrazi per il buio e il silenzio improvvisi.
Pensate: l’ossessione personale di un uomo inseguito dai guai che lui stesso ha provocato, sta alla base di una rivoluzione senza precedenti. Un premier che è costretto a citare “il caso Ruby” mentre illustra una svolta storica della giustizia è la metafora più azzeccata di questo Paese: un tempo si citavano santi, scrittori e filosofi, oggi si rimedia con le signorine disinibite.

Io, mia moglie, l’Ikea

 

C’è qualcosa che sta prima di me e che mi sopravviverà nella mente e nel cuore di mia moglie. Lo so da prima di sposarla e lei non me l’ha confessato, ha lasciato che lo scoprissi con meno traumi possibili.
Quel qualcosa è la passione per Ikea.
Sino a ieri ho ignorato colpevolmente una delle maggiori soddisfazioni che avrei potuto regalare alla mia consorte: portarla all’inaugurazione di Catania. L’ho fatto per pigrizia e per una orgogliosa (presunta) lungimiranza: perché affannarsi quando tra qualche settimana non ci sarà più l’assalto dei visitatori?
Lei ha taciuto sull’argomento più scottante, quello dell’emozione. L’ho vista raggiante, un mese fa a Ginevra, mentre facevamo il nostro pellegrinaggio alla sede svizzera della multinazionale: girava tra i reparti annotando, stilava la lista ecumenica dei desiderata, si lanciava in paragoni tra varie sedi. Sembrava una bambina felice in quel paese delle meraviglie dove un divano si chiama come il personaggio di un romanzo di Stieg Larsson e dove il fai-da-te è molto vicino alla masturbazione mentale (se non lo sapete, Ikea ha forse il migliore sito internet commerciale del mondo).
Comunque so che mia moglie mi avrebbe detto: “Apre Ikea a Catania e io devo esserci!”
Non l’ha fatto perché è di una delicatezza deliziosa e perché sa che l’avrei accontentata con una litania intollerabile di brontolii.
Ovviamente tutto ha un prezzo e io conosco il mio destino.
La prossima settimana, missione catanese con licenza di acquisto illimitata (l’Ikea è l’unico posto al mondo in cui si rischia la bancarotta con le banconote di piccolo taglio) e pranzo compreso: mia moglie ha già studiato il menù.

P.S.
Vi racconterò.

La lezione di Carmen

Anch’io ho iniziato come bella gnocca però mi vergognavo, c’è differenza.

Carmen Russo a Novella 2000.

Al servizio di Jack Bauer

La scorsa settimana, approfittando della pausa forzata impostami dall’influenza, ho divorato una cinquantina di episodi della fortunata serie televisiva americana “24”, la cui peculiarità  sta nel raccontare in tempo reale quel che accade nell’arco delle 24 ore di azione: ogni episodio dura virtualmente un’ora al netto delle pause pubblicitarie debitamente sottratte al computo totale, come se durante i consigli per gli acquisti i protagonisti del telefilm non restassero con le mani in mano.
La narrazione è incentrata sull’attività di un’unità antiterrorismo di Los Angeles (che verrà trasferita, a serie inoltrata) e sulla figura carismatica dell’agente Jack Bauer, interpretato da Kiefer Sutherland.
La forza della sceneggiatura sta nell’immaginare che una persona possa, in un solo giorno, sopravvivere a un’esplosione nucleare, farsi torturare, cadere con un aereo, risolvere i problemi di una figlia imbecille, combattere contro i terroristi, tendere un agguato a un esercito di rivoltosi, beccarsi un paio di arresti cardiaci, piangere una donna assassinata e non fermarsi mai neanche per andare in bagno.
Cazzate, direte voi. Invece gli americani ci insegnano che l’inverosimile, se raccontato bene, riesce a tenere incollati davanti alla tv più del plausibile.
Terminata la prima tornata di dvd, io e mia moglie ci siamo rivolti come due tossicodipendenti che chiedono una nuova dose all’amico che ce li aveva prestati. Lui, con malcelato sadismo, ha messo sul tavolo sette serie, per un totale di 168 episodi.
A casa nostra in questo momento siamo schiavi di Jack Bauer.

Quella domanda ai Duran Duran

Ieri mattina mentre ascoltavo l’intervista ai Duran Duran su Radio Deejay mi è affiorato un ricordo del 1987.
Era primavera, mi trovavo all’hotel Quisisana di Capri, ospite della Uniform, lo sponsor del primo tour italiano dei Duran Duran. Ero insieme ad altri cento giornalisti alla conferenza stampa della band, in diretta su Radio 1. Palermo era la prima tappa del tour quindi, secondo gli organizzatori, toccava a me fare la prima domanda.
Mi hanno dato il microfono e mi sono alzato. Di fronte, lo sguardo strafottente (o strafatto?) di Simon Le Bon.

Nei giorni precedenti, quando in città si era sparsa la voce che avrei incontrato i Duran Duran, il telefono di casa aveva squillato anche di notte: decine e decine ragazzine che nemmeno conoscevo si dichiaravano disposte a tutto pur di venire con me.
Andai da solo.

Ho parlato con la bocca attaccata al microfono come un giostraio, nonostante a quei tempi lavorassi molto con la radio. E ho fatto la mia domanda: “In un periodo in cui torna di moda il rock politico, come vi sentite ad essere considerati una band per ragazzine?”.
Simon Le Bon ruggì: “Meglio suonare per le ragazzine che per giornalisti come te”. Poi Nick Rhodes, che era il saggio del gruppo, cerco di mediare.

Febbre alta e piccoli primati

Da quattro giorni un’influenza mette K.O. me, in quanto ammalato, e mia moglie, in quanto vittima delle mie fobie capricciose.
Per questo sono stato poco presente, e mi scuso.

Colgo l’occasione per dirvi che ieri 1.400 utenti hanno leggiucchiato questo blog, regalandomi un nuovo piccolo primato. A tutti un ringraziamento caloroso (38° possono bastare?).

Le donne sono diverse

Perchè urlare che “le donne sono diverse” se abbiamo lottato per la parità dei sessi?

L’interrogativo se lo pone Nicole Minetti nella sua nuova rubrica su Affaritaliani. E la domanda – diciamolo – è interessante solo per il soggetto che la pone.
La Minetti è, suo malgrado, un simbolo di quest’Italia femminara e post-femminista. Rappresenta la carriera flash sviluppata attraverso le tappe più improbabili: commessa da Zara, diploma da igienista dentale, incontro con Berlusconi, coloradina in tv, consigliera regionale lombarda.
E’ insomma la dimostrazione scientifica che le donne sono diverse. Molto diverse tra loro.
Ieri nelle piazze d’Italia c’erano milioni di femmine diverse da lei e da quelle come lei. C’erano impiegate, casalinghe, artiste, professioniste che in vita loro non hanno frequentato le scorciatoie della Minetti.
Perché se è vero che le raccomandazioni non sono state inventate da Silvio Berlusconi, è anche vero che il singolare culto della premialità di cui abbiamo testimonianza guardando l’organico politico del Pdl, è lo specchio dell’ossessione sessista (sessuale?) del premier.
Nicole Minetti non è Monica Lewinski, pur essendo giudiziariamente più compromessa di lei. E sapete perché? Perchè l’uomo che l’accomuna nello scandalo non è Bill Cinton, che pure è stato maschio debole e colto nella bugia. No, l’uomo che lega la Minetti alla cronaca buia di uno Stato incrinato è un politico che spera ancora di rafforzarsi grazie alle proprie menzogne, come il cattivo qualsiasi di un cartone animato.
E’ vero che le donne sono diverse. Ormai sappiamo che ce ne sono alcune che sono più diverse. E che per pochissime di loro la parità dei sessi è un solo grottesco sinonimo di accoppiamento.

Lasciate stare Sara Tommasi

«Il mio lavoro mi porta a contatto con un certo ambiente e con personaggi del calibro di Berlusconi, Gheddafi, Putin. Non mi pento di niente, cosa avrei dovuto fare? Non lavorare nello spettacolo?».
Corriere, 9 febbraio

«Il mio problema è un impulso insopprimibile a fare sesso. Ma non sono una prostituta. È che mi sciolgono la droga nei bicchieri… Certo, se un ministro mi offrisse 15mila euro… ma è solo un’ipotesi».
Novella 2000 di questa settimana

“Riprendi subito Ron (Ronaldinho, ndr) nella tua squadra di m… o ti faccio escludere da Obama dai Grandi del mondo”.
Sms inviato a Berlusconi il 15 gennaio 2011

Le tre frasi appartengono alla starlette Sara Tommasi, una che in un qualsiasi altro Paese sarebbe rimasta a fare l’aspirante velina, modella, attrice, miss, in attesa di un momento buono, di un’ispirazione o chissà di una immancabile spintarella da parte del produttore bavoso e maneggione, e che invece è diventata un elemento chiave dell’iniziativa giudiziaria contro Silvio Berlusconi.
Nelle intercettazioni della signorina Tommasi c’è tutto e l’abbozzo di tutto, come del resto nelle sue impervie dichiarazioni alla stampa. Il suo sms su Obama e Ronaldinho passerà alla storia come la cazzata più solenne della storia moderna, dopo il voto della Camera su “Ruby nipote di Mubarak”. Una di quelle frasi che gli scrittori vorrebbero mettere nei libri se il pudore di dover tramandare qualcosa ad anime innocenti non fosse un’umana barriera contro l’imbarbarimento dei tempi da narrare.
Perché Sara Tommasi è – diciamolo – una testimone impresentabile. Una che cita il presidente degli Usa e un calciatore famoso con la stessa disinvoltura con la quale manda a fare in culo un premier che, probabilmente, non l’ha mai calcolata più di quel che gli serviva. Una che si credeva al centro di un mondo che non la comprendeva. Una che probabilmente ha perso la luce della logica nel buio della personale delusione.
La Tommasi non è e non potrà mai essere una vera teste d’accusa contro Berlusconi, ma al contrario sarà l’appiglio ideale per i suoi difensori: disordinata, incoerente, pacchiana, esagerata. Una di quelle che sa le cose perché gliele ha dette suo cuggino… E che si vanta di amicizie tanto fantasmagoriche quanto ridicole. Sara Tommasi si sente una first lady tradita, e sembra non aver contezza di non essere first, di non essere lady e di non essere nemmeno tradita (il tradimento si riserva alle persone che hanno un peso oggettivo).
Se fossi un magistrato non mi sognerei nemmeno di valutare i verbali di una persona con un simile disordine interiore. Al limite girerei tutto al suo medico curante.

Grazie alla Contessa.

La Costituzione violata

Secondo i legali del premier, la Procura di Milano viola la Costituzione. Però questo governo ha un’idea non proprio positiva della Costituzione: infatti, ritenendola vecchia e inadatta, sta tentando diperatamente di cambiarla (stravolgerla?).
Quindi che senso ha appellarsi al rispetto di una carta che non si riconosce?

No, grazie

Mi hanno offerto questa birra. L’ho rifiutata.