Soldi sudati

di Daniela Groppuso

Nessuno tocchi l’elefantino

Vedo il programma di Giuliano Ferrara, non mi piace, ma sono felice che ci sia (il programma, più che Ferrara). Perché la pretestuosità delle polemiche alimentate da un Pdl a corto di argomenti (che non riguardino barzellette, after hour e vizi privati) è messa a nudo dalla messa in onda di “Qui Radio Londra”, dopo il tg delle 20 su Raiuno. Ogni sera Ferrara attacca magistrati (ieri sera Fabio De Pasquale), opposizione e non allineati senza che nessuno batta ciglio. E il bello è che così deve essere, è giusto che sia.
La democrazia vera si misura tra i picchi delle opinioni, non nelle pianure nebbiose della censura. Non si può invocare il contraddittorio come ingrediente fondamentale del giusto processo alla verità, quando in realtà è solo un condimento del verosimile: le idee non si imbrigliano per decreto legge.
Insomma, le apparizioni quotidiane di Giuliano Ferrara sono la legittimazione di qualunque altro opinionista la pensi in modo diverso da lui.
Nessuno tocchi l’elefantino.

Il rispetto dell’intelligenza

C’è un grande equivoco sulla riforma della giustizia e, nello specifico, sulla questione della prescrizione breve. Diceva ieri sera Giuliano Ferrara: è giusto che un premier debba poter governare senza che i magistrati gli mettano i bastoni tra le ruote perché è fondamentale che porti a termine il ruolo che gli elettori gli hanno dato.
Giusto. Ferrara però glissa sul fatto che le norme portate avanti da questo governo non salvano il Berlusconi premier, ma il Berlusconi cittadino, che è ben altra cosa. In questo modo c’è il rischio che si infranga un principio fondamentale, non scritto e violato quotidianamente dalle Alpi al canale di Sicilia: quello del rispetto dell’intelligenza altrui.

Anch’io nel mio piccolo ho visto la luce

Umberto Scapagnini racconta la sua esperienza del coma. Tra qualche amenità e un paio di battute dice una cosa che mi colpisce. “Ricordo un tunnel di luce”.
Molti anni fa, quando ero bambino, anche io finii in coma e l’unica cosa che ricordo è proprio quel tunnel di luce nel quale mi persi e dal quale, per fortuna, riemersi un paio di giorni dopo.
So che sono in molti a portare testimonianze come la mia in un ambito molto delicato come quello che gli inglesi chiamano Near Death Experience (esperienze ai confini con la morte) e so anche che ci sono molti ciarlatani in giro.

Otto matrimoni e un funerale

Liz Taylor sarà seppellita nello stesso cimitero di Michael Jackson, Farrah Fawcett, Dean Martin, Truman Capote e possibilmente vicino a Marylin Monroe.
Si dice che i suoi occhi non fossero proprio viola, ma so che da giovane era uno schianto di donna. Si dice che molte delle sue battaglie civili, non ultima quella contro l’Aids, fossero ispirate da motivi personali, ma non mi risulta che un’esperienza diretta vada a detrimento dell’impegno a fin di bene. Si dice che nonostante i sette mariti (sposò Richard Burton due volte) negli ultimi anni trovasse compagnia in un cagnolino di nome Sugar, ma sappiamo come gli animali sappiano essere degni supplenti degli esseri umani.
Si dice che fosse l’ultimo mito di Hollywood, ma ci piace credere che i miti non muoiono mai, anche se per diventare davvero miti hanno bisogno di morire.

Il “pacifista” Bossi

Non so se avete notato che l’unico politico italiano di peso ad opporsi all’attacco contro Gheddafi è stato Umberto Bossi. E non vi sarà sfuggita la coincidenza tutta italica tra l’atto “pacifista” del ministro (le virgolette sono d’obbligo trattando di uno che nei suoi comizi ha sempre parlato di mitra, pallottole e fucili) e il suo essere stato promotore delle ronde padane.
Insomma la più pressante azione anti-bellica nel nostro Paese l’ha fatta uno al quale la violenza non fa proprio schifo.

Il reato di incoerenza

In questi giorni di crisi internazionale ho ripensato, come molti italiani, a ciò che accadeva appena un anno fa con un Gheddafi in visita nel nostro Paese: il dittatore veniva onorato, blandito e sbaciucchiato come nessun altro capo di Stato.
Si dirà: le cose cambiano e nessuno può prevedere il futuro.
Certo, ma il guaio è che le cose da allora sono veramente cambiate soltanto in Italia perché Gheddafi, il nostro ex amico Gheddafi, non ha cambiato di una virgola il suo atteggiamento: dittatore era e dittatore è rimasto. Quindi – ed è la storia che si ripete – siamo noi che abbiamo mutato atteggiamento nei confronti di un partner politico ed economico di primo piano, lo abbiamo tradito insomma. E sotto questa luce è drammaticamente fondato, pur nella sua folle ragione senza ragioni, il grido di vendetta dei rais contro l’Italia.
Siamo in guerra contro un nemico che, sino a qualche settimana fa quando arrivava l’eco dei primi tumulti libici, il nostro premier aveva evitato di contattare perché, erano parole sue, “temeva di disturbare”: come un vicino di casa rumoroso al quale si dà licenza di far baccano perché tanto avrà le sue buone ragioni.
Se esistesse il reato di incoerenza, in Italia non basterebbero i tribunali: si assisterebbe a una nuova deportazione.

Visti da lontano

Forse per capire cosa pensano davvero gli italiani di Berlusconi bisognerebbe uscire dall’Italia. Dall’estero infatti si osserva il nostro Paese sotto una luce più obiettiva e soprattutto ci si confronta con termini di paragone efficaci.
Nel fine settimana scorso ho avuto modo di parlare con diversi italiani che vivono in Francia o Svizzera, molti dei quali fanno parte della ultra-citata schiera dei “cervelli in fuga”,  e ho constatato con stupore che il loro giudizio sull’Italia di oggi è molto più negativo del mio. Qualcuno di voi potrà pensare: sì però è tutta gente che non ha trovato lavoro in Italia, che è stata costretta a emigrare e magari un certo preconcetto ce l’avrà. Macchè, si tratta di persone che benedicono il giorno in cui hanno trovato un posto di lavoro oltralpe e che all’estero godono del prestigio che l’Italia non gli ha mai dato l’occasione di guadagnarsi.
In poche parole, il pensiero diffuso tra loro è che l’Italia sia una nazione messa in pericolo da Berlusconi e che l’attuale sistema politico non garantisca un futuro sereno ai cittadini. Un concetto semplice, senza i ghirigori della convenienza o gli equilibrismi di certi nostri burocrati.
E’ proprio vero, spesso per mettere bene a fuoco una cosa bisogna allontanarsi un po’.

L’emergenza del bacio

Il leghista Massimo Polledri chiede alla Camera che dalla prima serata della tv vengano banditi baci e sesso esplicito tra omosessuali ed eterosessuali. Obiettivo: proteggere i bambini.
La crociata di Polledri, che è un neuropsichiatria infantile e che quindi ha dimestichezza con l’argomento, ha un solo difetto: è antica.
Da decenni, la volgarità e la crudezza televisive non sono più legate solo al sesso. L’overdose di reality show, come più volte ho scritto, rappresenta una vera emergenza di questo Paese.
Ci sono urla nell’Isola dei famosi e nel Grande Fratello, per citare solo due programmi, che sconvolgono più di un amplesso spinto. Assistiamo a risse nei talk show che rappresentano una vera pornografia cerebrale. Siamo costretti a sorbirci ragionamenti, negli spazi di approfondimento e in certi tg, che conducono dritti verso i peggiori istinti.
E allora? Allora cerchiamo un parlamentare che spieghi all’onorevole Polledri che i baci e il sesso in prima serata non sono certo emergenze di questo Paese. La morte violenta della ragione, sì.

Fede e famiglia

La moglie di Emilio Fede, Diana De Feo, ha parole di speranza per suo marito: “Mi dispiace per tutto, ma credo che si risolverà presto. Ho fiducia in lui e nella giustizia. Sono convinta che quando le intercettazioni verranno esaminate, non verrà fuori nulla di compromettente”.
Lui, il direttore del Tg4, le scrive: “Berlusconi qualche volta mi dice: ‘Diana è la parte migliore della famiglia’. Credo che abbia ragione. Continua a esserlo”.
L’ostentata buona fede della signora è talmente patinata da non poter essere messa in discussione da queste parti, sarebbe come incidere il burro con la fiamma ossidrica.
La pervicace ossessione di lui, Emilio Fede, è invece messa a nudo. Persino in un messaggio che – si intuisce – dovrebbe avere qualche attinenza con l’amore, il direttore non riesce a non farsi precedere dal simulacro del Capo.
Ci sarebbe da scrivere molto, molto altro se tutti questi virgolettati non fossero tratti dalla nuova bibbia dell’Italia che galleggia (e non solo sul mare), il settimanale Chi, e se la devota De Feo non fosse senatrice del Pdl.
Ha ragione Berlusconi a parlare di famiglia. Anzi, come si dice dalle mie parti, famigghia.