Il rutto di Silvio

Dobbiamo smetterla di indignarci per le uscite di Silvio Berlusconi. Perché sono talmente eclatanti, in un crescendo di volgarità e assurdità, che devono essere retrocesse d’ufficio al grado di “battute da bar (possibilmente dopo un’indianata)”. Il destino di questo ex pianista imbarcato su navi da crociera (la categoria mi perdoni per la citazione inevitabile) è l’applauso a ogni costo. E purtroppo più passa il tempo, più il consenso della platea diventa difficile da estorcere. Allora il nostro prova coi capitomboli, le pernacchie, le parolacce. Manca solo la recita dell’alfabeto coi rutti: ma ci arriveremo entro Natale, di questo passo.
L’appiglio di cronaca per questo post lo hanno fornito le dichiarazioni sventagliate ieri in faccia agli inermi accoliti della scuola di formazione politica di Formigoni. Tra gli sputacchi per le “stronzate di Prodi” e l’autocompiacimento per “il linguaggio rozzo ma efficace” (ilsuostessomedesimodisé) – tutti pezzi forti della giornata politica – nessuno ha però avuto il coraggio di chiedere il bis. Forse il pubblico era rimasto frastornato dalla più grottesca delle sue battute, sintetizzabile così: “In cinque milioni sono pronti a scendere in piazza per il voto”; “Chi glielo ha detto, presidente?”; “Loro! Li ho fatti chiamare al telefono”.
Il rut-to! Il rut-to!

La laicità del portafoglio

Ce ne siamo accorti solo perché l’Unione europea, in un sussulto di vitalità, si è incazzata e si prepara a mettere sotto processo l’Italia per i vantaggi fiscali concessi alla Chiesa cattolica, contrari alle norme comunitarie sulla concorrenza. L’oggetto del contendere è l’esenzione del pagamento dell’Ici per le attività commerciali della Chiesa. E’ una storia che riassumo così: in pratica basta che ci sia una cappella votiva nei paraggi di un’attività commerciale e l’Ici non si paga più. “In questo modo –spiega Curzio Maltese su La Repubblica – la Chiesa cattolica versa soltanto il 5 o 10 per cento del dovuto allo Stato italiano con una perdita per l’erario di almeno 400 milioni di euro ogni anno, senza contare gli arretrati”.
Il provvedimento, così com’è adesso, è figlio di un impasto nel quale hanno messo mano tutti, da destra a sinistra. Persino i famigerati rossi, quelli che in teoria avrebbero dovuto far paura al Vaticano. Il tema della laicità dello Stato si propone con continui aggiornamenti, alcuni dei quali noiosissimi. Dalla Santa Sede arrivano indicazioni su ogni aspetto della nostra vita: con chi sposarci, che film vedere, chi votare, dove andare in vacanza.
Mi piacerebbe che, un giorno, si arrivasse a stabilire almeno il principio della laicità delle mie tasche.

Emergenze di tendenza

Parlare di ecomafie è difficile come parlare di aria malsana, bestie massacrate, ambienti deturpati, acque oleose, terreni inquinati, cemento invadente. Sono argomenti che non fanno tendenza. Se uno dice mafia, tutti a sbracciarsi da destra a sinistra. Se un altro dice corruzione, tutti a indicare: lui, lui! Se un altro ancora dice pedofilia, tutti addosso a preti e gay.
Se uno dice ecomafie, dice qualcosa che c’è ma che annoia: un nemico invisibile non dà troppe soddisfazioni se è per giunta offuscato da altre novelle emergenze. Invece qualcosa deve essere invertito nel circuito dell’informazione, delle libere coscienze, persino delle chiacchiere da bar. La guerra alle ecomafie ci riguarda tutti: spalatori di nuvole e operai del razionale, ingegneri del cerchiobottismo e fanatici della coerenza. I crimini contro l’ecosistema non sono fantascienza, ma si perpetrano sotto i nostri occhi, adesso: basta guardare fuori dalla finestra.
Alla biblioteca comunale di Palermo, oggi alle 19,30, io, Giacomo Cacciatore e Valentina Gebbia presentiamo Fotofinish, un trittico di racconti pubblicato da Edizioni Ambiente per la collana Verdenero. E’ un libro piccolo e onesto che –nelle nostre intenzioni – coniuga il piacere della narrativa con l’impeto dell’impegno sociale.

Erba in tv

Alcune brevi considerazioni sulla fiction dedicata alla strage di Erba, e mandata in onda ieri sera da Matrix. I legali dei due assassini (rei confessi) hanno cercato di impedire l’operazione: e si capisce, è come se Totò Riina dovesse essere contento di un film sulle stragi del ’92. Anche la famiglia Castagna si è detta contraria: anche questo si capisce, non fa bene vedere spalmato il proprio dolore sullo schermo. Persino il sindaco di Erba ha parlato di “informazione spazzatura” in forma preventiva, senza cioè aver visto un tubo dei filmati. Quelli che “per difendere il buon nome della città” devono imbracciare il mitra delle minchiate mi destano una certa irritazione. Più opportuno sarebbe stato guardare prima la fiction e poi ragionarci su per difendere la buona creanza innanzitutto.
Non mi ha impressionato la puntata, ho anticorpi Cogne-Vespa che mi corazzano. C’è altro che mi scandalizza in tv. Ricordo un famoso chirurgo che spostò l’intervento sui due gemelli siamesi in prima serata, per farsi accarezzare dalle luci della diretta: parlò prima, operò, parlò dopo, i bambini non ce la fecero, parlò ancora. Non credo che Mentana, ieri sera, volesse indagare le cause del male assoluto. Penso che, semplicemente, abbia voluto fare il giornalista televisivo, raccontando un fatto dal punto di vista migliore possibile. Mostrando, ricostruendo, commentando e fregandosene delle benedizioni/maledizioni.

Giallo splendente

Reduce da una conferenza sul romanzo giallo (insieme con Giacomo Cacciatore, Valentina Gebbia, Salvo Toscano, Ignazio Rasi e Raffaella Catalano), vi sottopongo le seguenti riflessioni.
1) La letteratura di genere è viva e vegeta nonostante i funerali anticipati di alcuni iettatori.
2) Il pubblico c’è e mostra interesse, nonostante le tentazioni omologatrici della tv dei format.
3) Molti librai sanno poco e nulla di ciò che vendono e si occupano più del registratore di cassa che di cosa hanno sugli scaffali.
4) Il “romanzo sociale” vive solo nelle intenzioni degli scopritori di nuovi mondi, agli scrittori normali basta il mondo che c’è.
5) Il giallo è un meccanismo universale per raccontare storie interessanti: che vi sia il morto o meno, non conta.
6) I lettori non sono fessi e se qualcuno tenta di prenderli per fessi si vendicano fregandosene se sei uno sconosciuto o un bestsellerista.

Scusatemi per i sei comandamenti, ma in fondo questo è anche il blog di uno scrittore.

La nostra lingua

Tornando a casa, ascoltavo la radio. Tra una canzone e l’altra (canzone mi sembra una parola desueta, che ne dite?) un jingle improvvisamente mi ha fatto capire che viviamo in uno strano paese. Parliamo una lingua nazionale, ma in pubblicità ci piace sentirla storpiata o, addirittura, sentirla tradotta in qualcosa di incomprensibile. Conosco l’inglese scolastico quindi sono in grado di argomentare, almeno per trenta righe. C’è un’emittente che seguo e che ha come proclama “One nation one station” (una nazione una stazione radiofonica). Ora, se uno vuole rimandare meritevolmente al concetto di unità nazionale perché utilizza una lingua che appartiene a un’altra nazione? E’ come dire che marito e moglie devono giurarsi fedeltà mentre si ammicca al terzo incomodo. Ci sono, da decenni, pubblicità di prodotti italiani che si basano esclusivamente su slogan stranieri: profumi francesi di cui si percepiscono solo le erre mosce, capi d’abbigliamento con sigle sincopate che fanno venire il singhiozzo al solo pronunciarle, auto dai dittonghi impossibili.
Tutto questo ci piace. L’esotismo dell’ignoto (o dell’ignoranza) esercita un’attrazione che per noi italiani rasenta – a mio parere – la patologia. Se andate in Francia trovate tradotto persino un termine universale come computer. Se vi trovate in Spagna vi imbattete in un intransigente filtro verso ciò che non è immediatamente comprensibile dal cittadino medio. Se in Inghilterra sbagliate un accento ve lo fanno notare.
Siamo cresciuti con personaggi che hanno fatto fortuna nel nostro Paese senza mai imparare l’italiano. Due esempi due: Josè Altafini fa ancora un programma in una radio privata e ostenta il suo italiano maccheronico con grande successo. Il compianto Don Lurio se n’è andato senza imparare la consecutio temporum.
Fin quando le radio verranno pubblicizzate come rredio e le televisioni come televiscion non potremo scandalizzarci se il primo analfabeta s’inventa un vocabolario della Padania liberata.

Per ricordare

Questo è uno spazio personale e – mi sforzo – onesto. In poche righe vi racconto cosa è successo negli ultimi giorni. Il numero di contatti si è moltiplicato. Mi sono chiesto: cosa avrò fatto di così straordinario? Ho consultato quel misterioso contatore che ho piazzato a fondo pagina e ho analizzato da dove provenivano quei clic. Cercavano in prevalenza una persona che non c’è più. Giuseppe Leopizzi, Leopizzi Giuseppe… Ne avevo parlato in occasione della sua scomparsa, dolendomi del fatto che un musicista di ricercato talento se ne fosse andato nel silenzio. Mi sbagliavo: il freddo del silicio di migliaia di computer sparsi nel mondo (perché i contatti arrivano non solo da Palermo, dalla Sicilia, dall’Italia) ha veicolato minuscoli frammenti di memoria che, tutti insieme, hanno ridato onore a un artista schivo.
Credo che abbiamo tutti il dovere di attaccare post-it nella nostra vita per non dimenticarci anche di chi ci ha sfiorato con una canzone, ci ha tenuto svegli con un libro, ci ha stupiti con un sorriso.
Nei tempi della telematica smodata e delle paparazzate online mi sono sentito utile. E – vi assicuro – non mi capita di frequente.

Questo è successo.

Giuseppe Leopizzi

Vago nel web alla ricerca di uno spunto interessante. C’è il gran rifiuto del generale Speciale (un cognome veritiero) al trasferimento coatto alla Corte dei Conti. Il solito pm Woodcock (con un cognome che si intuisce veritiero) punta alla Massoneria ipotizzando legami con truffe internazionali. Dall’altro capo del globo, Paris Hilton (con un cognome che rimanda a veritiere propensioni per camere d’albergo) si mette in posa per l’ultima foto prima di affrontare qualche giorno di carcere. In Sicilia è morto Giuseppe Leopizzi (con un cognome poeticamente veritiero) fondatore degli Aes Dana, raro esempio di musicista innovatore e archeologo. E su questa notizia mi fermo. Ho visto ieri che su Rosalio, un blog di enorme popolarità, c’erano pochissimi commenti dedicati a questa perdita. Palermo non è mai grata agli sperimentatori, mi dico. Vado coi ricordi a vent’anni fa: io giovane critico musicale, lui promettente artista. Non siamo mai stati amici, ci siamo parlati poche volte ed è sempre stato per motivi che attenevano agli spartiti. Mi è sembrato un uomo in sintonia con le sue note: ponderato e complesso. Non so quasi nulla di lui, a parte un paio di cd che mi fece avere con un biglietto in cui si augurava che apprezzassi. Apprezzai nel mio silenzio rockettaro. Ora posso solo ricambiare, tardivamente, con questo post, con un titolo semplice e con una foto. Buona musica e buon viaggio Giuseppe.

Nuovi format televisivi

Qualche giorno fa, ha suscitato scandalo l’annuncio di un nuovo reality in Olanda dove un’ammalata di cancro metteva in palio il suo rene e tre concorrenti, in attesa di un trapianto, dovevano disputare la partita mediatica. Dopo la prima (e unica) puntata si è appreso invece che era un’iniziativa per sensibilizzare alla donazione degli organi e per far conoscere i problemi degli ammalati. In un’epoca in cui è reale solo ciò che passa per la tv si può pensare di organizzare altri format del genere.
Mafialand. I concorrenti devono arrestare i membri di una vera cosca e prenderne il posto fino ad arrivare al capo dei capi. All’ultima puntata si spiega che i concorrenti sono veri poliziotti.
Unipol line. Il viceministro Visco e il capo della Guardia di Finanza Speciale devono giocare a Monopoli, per una sola ora, riuscendo a non barare. Data la difficoltà dell’operazione si dovrà ricorrere a due controfigure, ma questo il pubblico non dovrà mai saperlo.
La lavagna. Quel genio con la Tbc, che ha seminato il panico in mezzo mondo solo perché voleva “viaggiare un po’”, viene chiuso in una casa con l’obbligo di consumare cento gessetti, tanti quanti sono i suoi neuroni, su una lavagna di 200 metri per 2. Può scrivere solo la seguente frase: sono malato, ma sono anche un perfetto idiota.

Lasciate che i pargoli… Una banda di ragazzini poveri viene adottata dall’unico prete pedofilo sfuggito al rigido sistema di controllo del Vaticano. La genialità del format sta nel sostituire, durante la notte, i bambini con una squadra di atleti senegalesi.

Inquinamento

Un’anticipazione de L’Espresso annuncia qualcosa di dirompente: “In Italia la crescita dei casi di tumore è a livelli da epidemia”. Il direttore del settimanale avrà ben torchiato i suoi cronisti prima di avallare una simile frase quindi prendiamo per fondato l’allarme.
Cosa ci dicono questi dati?
Innanzitutto che il nostro stile di vita va modificato radicalmente, non domani né dopodomani: oggi, ora.
Secondo, che l’emergenza ambientale deve finire nella copertina e, a seguire ,nelle prime pagine della agenda del governo. Questi signori ogni volta che si riuniscono per un qualsiasi motivo devono, prima di tutto, affrontare il problema di una discarica, di un petrolchimico che spurga, di un’orata al mercurio, di una malformazione fetale, dello scappamento delle auto… dopo, solo dopo, possono discettare d’altro. Come potete ben capire avranno un bel da fare se adotteranno questo metodo. Solo che non lo faranno. E sapete perché?
Perché in Italia le politiche ambientali non pagano né in termini economici né politici. Tira più una sigaretta che una carota. E questo vale ancor di più per le amministrazioni locali. In molte città italiane, Palermo è tra queste, sono stati messi in discussione i dati delle centraline che rilevano il livello dello smog. Quando avevamo un clima normale noi terroni ci ritenevamo esenti da questi problemi: viviamo in zone ventose, avevamo il mare, i mandolini, i promontori su cui Goethe s’incantava. Poi l’onda lunga del disfacimento del pianeta è arrivata pure da noi e ci siamo accorti che l’inverno era un prolungamento dell’estate e viceversa. Il clima c’entra col cancro, fatevelo spiegare da un oncologo. Perché se l’alta pressione incide su una città per dodici mesi all’anno vuol dire che lo smog non si muoverà da lì per dodici mesi all’anno.
Insomma la realtà e drammatica e complessa. Però ha rimedi univoci e semplici, i più difficili da prendere.