Peana per l’autostrada Palermo-Catania

Cinzia Zerbini è una giornalista etnea che lavora da tempo a Palermo. E’ corresponsabile di alcune delle idee più balzane che si sono materializzate in questo blog. Ma è soprattutto una divoratrice bulimica di libri.

di Cinzia Zerbini

Questa è una difesa (di cui, temo, l’umanità non sentiva il bisogno) dell’autostrada Catania – Palermo A/R.
 Solo chi la percorre più volte al mese o alla settimana sa quanto questi 190 chilometri che separano le due etnie siciliane siano dense di significato. Io la difendo perchè ritengo che abbia un panorama unico, assolutamente spettacolare, variopinto, mutevole, romantico, lunare. 
Il periodo più bello è marzo: adesso. Il grano, che accompagna quasi tutto il tragitto, sta crescendo. A voler usare un tocco di sentimentalismo c’è un mare ibrido di spighe verdi che si colora ad ogni passo del sole. Ci sono distese che sembrano piste da sci scavate, però, da solchi millenari dove una volta cresceva il grano ed adesso, già a febbraio, nascono margherite ed altri fiori di campo. Ci sono case che sembrano quelle disegnate dai bambini: una porta, due finestre e un albero davanti. E’ una tessera di un puzzle che potrebbe incastrarsi in qualsiasi altra parte del mondo e comunque rimanere unica. 
Ogni tanto si vedono mucche nere e pecore che pascolano. Diventano il quadro di un passato trapassato.
Ci sono pezzi di colline uguali da sempre, come se contenessero dei confini invisibili che impediscono una devastazione simile a quella che vedi subito uscendo da Palermo: filari di villette a schiera con piscine costruite in pochi mesi. E salici piangenti. 
Ci sono interruzioni diventate certezze. Una dura da anni, almeno dodici. Un restringimento di carreggiata incomprensibile, diventato un elemento naturale. Non ci fai più caso, anzi, metti la freccia, scali la marcia e sai che sei arrivato a Polizza Generosa, che sta lì, in alto a destra, sulla roccia rotonda. Se si beccano l’orario e la serata giusti, c’è un momento in cui la luna piena sembra immobile, come se fosse adagiata accanto. Chi è dotato di un animo particolarmente sensibile può anche commuoversi; altri si possono concedere una visione onirica.
Così come quando si esce dalla galleria di Enna e c’è un’altra certezza: l’Etna. Maestoso, fumante. D’inverno il bianco della neve che lo ricopre si mescola ai chilometri del giallo e l’arancione degli agrumeti. L’odore di zagara riempie l’abitacolo dell’auto. Perché l’odore di zagara c’è ancora. 
Difendo quest’autostrada denigrata da chi non ha mai attraversato di notte la Salerno – Reggio Calabria. Difendo il mare che si apre all’improvviso ad Altavilla Milicia e il sole che infilza i suoi raggi tra onde che sembrano prive di respiro. 
Difendo l’arrivo a Palermo e a Catania. E’ come arrivare a Rio de Janeiro durante il carnevale dopo una traversata in solitaria dell’Oceano. 
Lo so, è un’esagerazione. Ma solo per rendere l’idea del grande casino che accomuna l’ingresso in queste due città. Gemelle diverse.

Sanremo secondo lei

Abbiamo seguito Sanremo. Tutti lo stesso, ovviamente. La differenza è se ci è piaciuto o no. Ma c’è qualcuno che il festivalone lo ha visto a modo suo. Mia suocera (nella foto, in stile riviera dei fiori), manco a dirlo. E il giorno dopo la finale me lo ha raccontato dalla sua angolazione. Vi riporto fedelmente il suo resoconto.

  • “Là dietro (cioè dietro il palco, dove secondo lei c’è il casinò, ndr) c’era Kadia Ricciardelli che si giocava i soldi. Lei si è sposata con Pippo Bau perché Pippo fa Sanremo e lei voleva andare al casinò. Ha il vizio del gioco, Kadia, ma non si gioca i soldi suoi. Gioca quelli di Pippo. Per questo si sono lasciati…”.
  • (dopo 5 minuti, nuova versione, ndr) “Kadia va a Sanremo e si fa vedere dai giornalisti per fare dispetto a Pippo, visto che hanno divorziato”.
  • (dopo altri 5 minuti, ulteriore versione) “Kadia pensava che Pippo la portava a Sanremo, ma lui non ce l’ha mai portata e per questo lei lo ha lasciato”.
  • “Pippo è pirchio (leggi tirchio, ndr) e si arrabbia che lei gli gioca tutti i soldi”.
  • “Piero Gianvretti (leggi Chiambretti, ndr) a Pippo Bau lo stuzzicava. Pippo non lo vuole più”.
  • “Non si è visto Al Bano a questo festival. Ha litigato con Pippo, perché Al Bano al festival ci voleva andare ma lui non lo ha voluto” (di fatto la querelle Al Bano-Baudo è successa lo scorso anno, ma lei l’ha vista, non so dove, quest’anno).
  • “Come ballerine non c’era un granché”.
  • “Però è bravo quel giovane alto che cantava” (e vai a capire chi è, ndr).
  • “L’unico cantante che mi è piaciuto, a parte Michele Inzerillo (Zarrillo, per chi non lo sapesse, ndr), è quel siciliano col pianoforte (suppongo che si riferisse al calabrese Sergio Cammariere, ma dato che in palermitano “cammariere” significa “cameriere”, mia suocera avrà pensato che è siculo, ndr).
  • Mancia!

    Mezzogiorno circa. Entro nella bottega del mio barbiere, Giorgio, periferia nord di Palermo. C’è poca gente, due clienti infagottati nei mantelli blu (un blu barbiere, proprio), il cognato e il figlio del titolare all’opera. Lui, Giorgio, mi accoglie con un sorriso rassicurante, quasi fosse un dentista che deve preparare psicologicamente il paziente a un’estrazione. Musica in sottofondo: canzoni italiane da una sgangherata radio locale. Si parla a bassa voce e le parole, specie durante lo shampoo, sono carezze. La forbice gira leggera intorno alla testa e il suo soffio metallico è gradevole. Persino il rasoio infonde una fiducia tagliente.
    Giorgio non chiede, sa già. E non perché io sia un cliente particolarmente affezionato o esigente (il mio requisito pilifero è risibile). No, Giorgio sa tutto di ogni rivestimento cranico che almeno una volta è passato per le sue mani. E’ la sua maniera di fidelizzare, di accogliere, di curare il marketing insomma. Chiunque, nella sua bottega, è accolto come chiunque altro. Con sorrisi misurati, chiacchiere rarefatte, coccole di forbici e musica lieve.
    Al momento di pagare non chiede mai una cifra. Dice semplicemente: “Il solito, signore”. E tu – da signore – lasci sempre la mancia. Lui, declama: “Manciaaa!”. Il cognato e il figlio in coro: “Grazie, signore! Buona giornata”. E’ l’unico momento in cui nella sala da barba di Giorgio si alza la voce.

    Ricominciare

    Ricordo tutti gli inizi della mia vita, da buon aspirante anziano. Un primo giorno di scuola di mille anni fa. La prima chitarra con il prezioso manuale di Paul Kent. La prima caduta sugli sci a Piano Battaglia. L’incipit de “I ragazzi della via Pàl”. Il primo bacio in una scontata sera d’estate. La prima sigaretta con Giovanni e Marcello. La prima gita scolastica. La prima domenica di austerity. Il film “2001 Odissea nello spazio”. La prima moto. Un taglio profondo sul braccio sinistro. La prima bocciatura. Il primo programma radiofonico. La morte di due amici. Il primo esame all’università. La volta in cui mio padre capì che non avrebbe avuto un figlio medico. La prima firma sul giornale. La prima volta che ho mangiato il pesce. Le “lezioni americane” di Calvino. La prima casa in affitto. Il primo bootleg dei Van Halen. La prima volta che ho creduto di innamorarmi. Il primo computer. L’ultima volta che ho cambiato residenza. Il primo libro che non ho mai pubblicato.
    Ricordo tutti gli inizi, anche se non hanno tutti lo stesso peso. E ricordo che a ogni giro di boa, nonostante non sia un inguaribile ottimista, ho trovato il modo di farmi una risata.
    Rido.

    Suocerando

    di Abbattiamo i termosifoni

    Quando l’ho conosciuta, quasi otto anni fa, mia suocera (nella foto) parlava l’italiano. Poi, per un fenomeno inspiegabile, una parola alla volta ha cominciato a comporre un vocabolario tutto suo. E non ha mai più smesso.

    Categoria 1: i vip

    Danilo: Robert Deniro
    Paolo: Paolo Limiti
    Bruno: Bruno Vespa
    Gerry: Richard Gere
    Boldiva: Papa Wojtyla
    Paparazzi: Papa Ratzinger
    Il tenore Vaporotti: Pavarotti
    Frizzel: Fabrizio Frizzi
    Mara Vernel: la Venier
    Magallì: Magalli (senza accento alla francese)
    Mac Buongiorno: Mike Buongiorno
    I Pink Flonk: I Pink Floyd
    I Puffs: i Pooh
    Michele Inzerillo: l’ormai noto cantante Zarrillo

    Categoria 2: Costume, cultura e società

    Porta e porta: la trasmissione di Vespa
    Saremo: Sanremo
    Le avventure di Popolino: il noto fumetto Disney
    Gli uominisessuali: gli omosessuali
    I flosci: i froci
    Il gheo: il gay

    Categoria 3: gli acquisti

    La cintura del dottor Giubbox: Gibot
    Il plent: il plaid
    Il preciutto: quello di Parma
    Il fornellino: il fornetto elettrico
    Il sopramercato: dove si fa la spesa
    Il carello: dentro il quale si mette la spesa
    La melza: la milza, che a Palermo si mangia nel panino
    Lo junder: la ’nduia, noto salume calabro, qui trasformato in tirolese
    Gli iuster: i wurstel, al plurale
    La serpia: la seppia

    Categoria 4: i farmaci e la cura del corpo

    I galli: i calli
    La gallista: la pedicure
    La Saradon: il Saridon
    La Bectas: la Biochetasi
    Il cicciccì: il Vivin C

    Categoria 5: le frasi celebri

    Io ho due Ioccscenk (due cani Yorkshire)
    Mio figlio è identico a un attore (e tira fuori una foto di Che Guevara)
    Mio figlio è identico a quel giornalista… Maurizio! (e indica in tv Maurizio Mannoni. Ma come fa uno che somiglia al Che a somigliare anche a Mannoni?)
    Di questi tempi mangio poco. Soffro di nappetenza
    Che vuoi, io sono così, ho un carattere creativo (risposta al figlio che le rimprovera di essere nervosa)
    Ma com’è che non fa profumo questo deodorante? (e si era appena spruzzata l’Audispray sotto le ascelle)
    Che bravo quel tuo amico, il giornalista… come si chiama? Ah, sì: Gel! (Gery Palazzotto)

    Se mi viene in mente qualcos’altro, minaccio una seconda puntata.

    Elio e le storie ottime


    Ieri Festival di Sanremo in pausa. Per fortuna il Dopofestival di Elio e le storie tese è andato in onda lo stesso. Bella musica, cover efficaci, poca banalità. Insomma uno strano tipo di buona televisione. Ecco un momento cult di qualche sera fa.

    Onorevole Aida

    Ieri la battuta più diffusa su Aida Yespica era: “Ha tutte le credenziali per candidarsi: capisce poco di politica e non sa l’italiano. Come la maggior parte dei parlamentari”. Ha bruciato tutti sul tempo Carlo Rossella, ma il tam tam sul blog e giornali online era ormai innescato.
    Di fatto la bella modella venezuelana ha rifiutato la proposta del Popolo delle libertà e ha sussurrato una sua preferenza per Veltroni. E’ probabile che il leader del Partito democratico prenda sul serio la confessione e le affidi, in caso di vittoria, un ministero (ai Beni monumentali, date le sue forme marmoree). La Yespica è un gran pezzo di figliola e, da arrapato stagionato e reo confesso quale sono, la vedrei bene ovunque: sullo scranno come sul divano, nella cosa pubblica come nella cosa privata. Io però non ho pretese di cambiare l’Italia, solo di migliorare la mia vita domestica. Le questioni condominiali, per me, sono già macroeconomia. Per aprire una finestra sul mondo tiro su la serranda del soggiorno. E per rilanciare l’azienda Italia vado a fare (a piedi) la spesa a giorni alterni. E mi piace la Yespica, sì. Diamole la cittadinanza (basta assetarla e farla sbarcare a Lampedusa col mare mosso), facciamole un corso accelerato di politica italiana (basta farle vedere un tg di Emilio Fede), iniziamola alla logica degli schieramenti (basta un aperitivo con Mastella), instilliamole il nostro sacro concetto di giustizia (basta una telefonata con Dell’Utri), e insegniamole con efficacia la nostra lingua (basta un sms di Di Pietro).
    Aida onorevole… ministro… premier… presidente della repubblica!
    E se non funziona, cara Aida, dal mio soggiorno c’è una finestra sul mondo che si apre con una mano: ho appena cambiato la serranda.

    Discutete del Tetra Pak

    Questo non sarà un post molto popolare, perché sono costretto a parlare di me.
    Sono un giornalista professionista dal 1989 e da qualche anno cerco di fare lo scrittore e l’autore a tempo pieno. Mestieri difficili: molto sudore, pochi soldi.
    Partorire un’idea, farla crescere nel miglior modo possibile, condurla per mano, assicurarle tutti i comfort possibili, sostentarla, consegnarla infine al suo destino maturo è una fatica immensa. La lettura non è uno sport popolare e gli incassi non permettono stravizi.
    Quando si parla di narratori si pensa a caste, a consorterie privilegiate che fanno dell’invenzione un mestiere comodo: “Cosa ci vuole a raccontare una storia? Io ne ho decine di bellissime”. Quante volte mi sono sentito ripetere questa frase da amici o pseudo tali.
    Ci vuole uno stomaco di ferro per digerire i sorrisini di chi ti giudica senza mai averti letto, mentre tesse le lodi del bestseller del momento, senza ovviamente averlo mai letto.
    Ci vuole un etto di fegato in più dell’ordinario per immaginare di catturare ore della vita di un lettore sconosciuto e costringerlo a sorbirsi i tuoi aggettivi.
    Ci vuole molta pazienza a vedersi tracciare la via da soloni della politica o da opinionisti dell’ultima ora: il rapporto con la propria città, il contesto sociale, la scuola di pensiero, il genere ibrido, lo stile conservatore o mancino…
    Ci vuole un barile di bile per assistere alla lettura distratta di un manoscritto che è ti è costato anni di lavoro.
    Ci vuole cuore da condividere anche se si è egoisti, perché una storia non funziona se non rispetta il principio di universalità.
    Ci vuole voce per urlare che gli scrittori, tutti, famosi e non, sono esseri vulnerabili pur nel loro egocentrismo: vivono di fantasia, passano notti insonni a inseguire una virgola, cancellano per produrre, producono per illudersi di non essere cancellati come spesso pensano di meritare.
    E’ facile buttarla in politica quando si parla di Israele alla Fiera del libro di Torino. E’ facile cedere agli estremismi quando si tratta (come ammoniva Giacomo Cacciatore ieri) di parole e pensieri. Il difficile è fare un passo indietro. E pensare che ogni forma artistica è sofferenza più che godimento, per chi la crea. Le nazioni, le religioni, le alleanze, la lingua sono un mero contenitore.
    Ecco, cari polemisti dalla vista corta, discutete del Tetra Pak, ma non boicottate le idee.

    Premio sms dell’anno

    Sms di un’amica. “Ho 43 pantaloni. Di cui venti neri. Una cinquantina di maglie. Devo aver sofferto molto”.
    Premiato come il migliore dell’anno.

    Candidature

    Ricevo una mail circolare da Fascioemartello per sostenere la candidatura del sindaco di Gela, Rosario Crocetta, alla presidenza della regione siciliana. Per deontologia e per ottocentomila questioni personali non ho mai sostenuto alcun politico: continuerò a viaggiare in questa direzione.
    Crocetta è una brava persona, è un coraggioso e mi ispira la simpatia dei folli onesti. E’, in questo senso, un simbolo positivo. Come molti altri ce ne sono in giro. Auspico altre candidature come quella sua. Di gente che magari si attacca al telefono e chiama quelli che non lo conoscono: si presenta, rischia una sonora mandata a fare in culo, e chiede un parere.
    Spero in un nuovo governatore che dia più schiaffoni che baci, che frequenti i cinema e le librerie più delle sale convegni, che giri nel web a caccia di idee, che istituzionalizzi il confronto con la sua gente (due domeniche al mese in una piazza a caso di una città a caso), che prenda a calci in culo i piagnoni, che tratti i precari da precari e non da serbatoio di voti, che legga e ascolti quanto più possibile ciò che gli artisti della sua terra inventano, che faccia un resoconto (gli addetti stampa non gli mancano) puntuale a scadenze fisse di ciò che non è stato possibile fare, che festeggi quando è il caso di festeggiare e pianga quando è il caso di piangere.
    Tutto qui.