Tommaso Padoa Schioppa

Un ministro che chiama bamboccioni quelli che, ormai prossimi ai quarant’anni, vivono per scelta coi propri genitori non mi scandalizza affatto. E se lo stesso ministro dichiara con studiato candore che pagare le tasse è bello mi scappa un sorriso, e non di scherno.
Siamo un Paese di viziati, brontoloni, moralisti e smemorati. Se qualcuno dice la verità, magari in termini un po’ alla buona, siamo pronti a indignarci. Se qualcun altro invece si traveste in doppio (triplo) petto e ci promette un milione di posti di lavoro, più impunità e meno tasse per tutti, siamo pronti a votarlo. E’ una mia perversione: pur ruminando brontolii come un cammello sahariano, ho più simpatia per la solidarietà fiscale che per i condoni.
I finti giovani che nascondono le responsabilità sotto l’ala delle anziane madri mi stanno antipatici. Pagare le tasse è giusto e, con la giusta dose di masochismo sociale, pagarle in un Paese di milionari evasori può persino essere bello. Sto diventando più buono o più rimbecillito?

Neanche un libro

I primi sospetti ci sono venuti quando abbiamo visto il locale, che assomigliava a una palestra, chiuso a chiave. Poi, dopo l’arrivo degli svogliati “organizzatori” (le virgolette ci vogliono), è arrivata la conferma: la palestra era proprio una palestra, la desolazione era desolazione. Così, io, lo scrittore Giacomo Cacciatore e il regista Floriano Franzetti ci siamo ritrovati a essere protagonisti di una manifestazione che non c’era. L’occasione era quella di una fantomatica Expo Libro di Catania, ospitata nei locali del Cus alla Cittadella universitaria, ideata dalla cooperativa Arcana e organizzata dalla C.A.M. La seconda delle tre giornate era dedicata al tema “Giallo, nero e mistero”. Giallo come lo schermo ad altezza siderale sul quale non sono state proiettate le due docu-fiction in programma, nero come le vetrate luride dell’improvvisata sala da convegni, mistero su come è possibile finanziare una manifestazione del genere. Perché è solo questo che mi preme dire: non so quanto sia costata questa messinscena, ma so che c’è lavoro per avvocati e magistrati. Coi soldi pubblici non si scherza: nel nostro piccolo abbiamo cenato e dormito (anche qui tra variazioni di giallo, nero e mistero) a spese di voi tutti. Tre sponsor tra tutti: Confindustria Sicilia, la Provincia di Catania e l’assessorato ai Beni culturali del Comune di Catania. Non so – né mi interessa – cosa sia accaduto negli altri due giorni di manifestazione. Mi limito a constatare che in questa presunta Expo libro non ho visto neanche un libro. C’erano solo solo sedie vuote, attrezzi ginnici accatastati, un paio di locandine scritte con un pennarello. Se qualcuno può testimoniare sui reading, sulle proiezioni e sui concerti promessi, si faccia avanti. In ogni caso la parte che ci riguardava non è mai esistita. Sponsor pubblici e privati, se lo ritengono opportuno, possono farsi restituire i soldi.

I ventitrè di Cuffaro

Possono giocare una partita di calcio senza avere bisogno di trovare una squadra avversaria. Hanno persino una riserva o, se preferiscono, un arbitro. Sono in ventitrè. Il numero di cromosomi nelle cellule germinali umane. Il numero che nella smorfia napoletana rappresenta lo scemo. Il numero di maglia di Michael Jordan. Il numero di coltellate inferte a Giulio Cesare. Il numero di figlie di Adamo ed Eva. E, da pochi giorni, il numero di addetti stampa del presidente della Regione siciliana Salvatore Cuffaro, appunto.
Il governatore dell’Isola non è certo un pigro, questo va detto. Ha un’attività lavorativa febbrile ed è chiaro che ha bisogno di un’ampia schiera di collaboratori. Se anche questi colleghi lavorassero a turno un solo giorno alla settimana, Cuffaro godrebbe di una forza operativa di 3,28 giornalisti ogni 24 ore.
La coltura estensiva delle assunzioni produce solo frutti bacati, quelli dell’assistenzialismo e del clientelismo. In una regione che ha bisogno di sbracciarsi per essere competitiva non è un bell’esempio, quello del suo presidente. Se io fossi in lui non perderei tempo a spiegare – di certo avrà leggi, codicilli e delibere dalla sua – ma correrei subito ai ripari. Dopo aver detto: scusate, abbiamo sbagliato.

Contro i bavagli all’informazione

Solitamente questo blog non si occupa di appuntamenti di cronaca. Persino le notizie che riguardano il suo autore non interessano all’autore medesimo. Un principio di schizofrenia?
Chissà. Intanto non vi dico a quale manifestazione parteciperò domani, ma vi do un indizio: provate a inseguire sul web il maestro Giacomo Cacciatore
Non sarò in città quindi, ma c’è un appuntamento che voglio segnalarvi, sempre per domani, 6 ottobre. Alle 11,30 all’Auditorium della Rai a Palermo, si svolge un dibattito sulla libertà di informazione. “La mafia torna a rialzare la testa dopo una lunga fase di sommersione e dirige i suoi tentativi di intimidazione agli imprenditori, ai magistrati e ai giornalisti – dice Salvatore Cusimano, direttore della sede Rai siciliana -I recenti fatti, come le minacce ripetute al nostro collega dell’Ansa Lirio Abbate, sono un campanello d’allarme che deve farci riflettere, non solo sui rischi di chi continua ad esporsi illuminando le zone oscure della nostra società, ma anche sulle omissioni e le fragilità di chi invece ha scelto il silenzio o l’autocensura”.
All’incontro oltre a Lirio Abbate, partecipano il presidente dell’Ordine dei giornalisti di Sicilia Franco Nicastro, il direttore del nuovo Osservatorio sull’informazione di Libera Roberto Morrione, già Direttore di Rainews24, e il presidente della giunta sezionale di Palermo dell’Associazione nazionale magistrati Guido Lo Forte.
Quale migliore occasione per ribadire che la mafia ci ha rotto i coglioni?

Abbordaggio a mezzo stampa

Il sindaco di Roma, nonché annunciato tenutario del nascente Partito Democratico, abborda a mezzo stampa Veronica Lario. E lo fa con tutti gli inglesismi e i luoghi comuni di cui è capace un polistrumentista della politica. Uno dei pregi della signora Lario – si legge nell’intervista al settimanale A – è quello di essere “open minded”. Poi c’è persino la certificazione veltroniana di garanzia: Veronica è una donna “di grande autonomia intellettuale”.
Il sindaco omnidichiarante, in pratica, ci comunica due concetti dirompenti: primo, Veronica parla (e/o pensa) in inglese; secondo, Veronica, nonostante sia femmina e per giunta moglie di Berlusconi, ha un cervello tutto suo.
L’ultima mossa dello stratega diessino prevede insomma l’entrata in gioco di un cavallo di Troia, una trappola, un trucco, un agguato in casa del nemico. Pur di vincere la guerra, si usano tutte le armi, anche i coltelli da cucina. Pur di convincere il popolo urlante, si arruolano personaggi simbolici, paciose signore comprese. Pur di spegnere i tumulti, si riconoscono doti straordinarie a persone ordinarie, si danno patenti di femminilità a chi femmina ci è nata.
Mi fa venire i brividi l’idea di pareggiare i conti delle quote rosa con questi espedienti patinati. Specialmente se si entra in casa altrui e si lascia fuori il buon gusto.

Veleno

Otto del mattino. Squilla il telefono.
– Svegliaaa! Buongiorno! Indovina chi sono!
Ma vaffanculo!
– Non… dormivo. Non… chi sei?
– Dai! Eravamo come fratelli trent’anni fa.
Trent’anni fa… Chissà che cosa ti avrò combinato.
– Dimmi chi sei.
– Sono Piero. Piero del vespino blu, come il tuo.
Ah sì, ti fregai la sella. Altro che fratelli!
– Ah sì… Piero. Come stai?
– Benissimo. E tu? Scrivi sempre? Ti leggo, ti leggo…
Hai imparato poi.
– Mi fa piacere. Tu che fai?
– Sono promotore finanziario, ho due figli. Mi sono sposato sai? Una moglie, una cagna…
Che culo!
– Sono felice per te (sbadiglio).
– Insomma… una ex moglie. Ci siamo lasciati da un anno.
La cagna se n’è andata.
– Mi dispiace (sbadiglio).
– Ci dobbiamo vedere, Gery.
Non ci penso nemmeno.
– Certo. Allora ci sentiamo…
– Sì, ma ti volevo dire una cosa.
Ti manca un quadrupede.
– Ti manca tua moglie.
– No! La mia nuova fidanzata… lei scrive, insomma vuole scrivere, sa scrivere.
Sugli assegni?
– Giornalista?
– No, estetista. Ha una bella attività.
Parallela immagino.
– Complimenti! E io…?
– Tu potresti aiutarla coi giornali, i libri…
I freni del vespino ti dovevo fregare.
– Non è facile: ci vuole passione, sacrificio. Ci sono pochi sbocchi. Ho qualche casino anche io.
– Ma figurati, Geryssimo! Ti faccio contattare, dai.
Non ti rischiare.
– Ma non per telefono, fammi scrivere via e-mail…
– Ok, così vedi come scrive, fantastico!
Sì sì.
– Segnati l’indirizzo del mio blog, lì trovi come contattarmi.
– Grazie, sei un amico.
No.
– Ciao Piero.

Il tressette di Bossi

Nel bar che frequentavo da ragazzo c’era un anziano, quasi sempre ubriaco, che borbottava tutta la giornata. A sera si alzava e, prima di tornarsene a casa, lanciava un anatema alcolico a tema libero: politica, sport, gioventù, parenti, eccetera.
Ho ripensato a quel vecchio quando ho letto le parole di Bossi sulla “lotta di liberazione del Nord” e sui “dieci milioni di padani disposti al sacrificio”. Il leader del Carroccio è un nostro cliente affezionato nel settore “cannonate di stupidaggini”. Prima o poi qualcuno dei suoi alleati dovrebbe parlargli: “Caro Umberto, tu sei bravino. Però adesso smettila con Pontida, i parlamenti alternativi e soprattutto con i soldatini verdi. Il prossimo fine settimana andiamo assieme ai giardinetti e ci facciamo un tressette”.
Invece, più che consolarlo e curarlo come si fa con un pugile suonato, lo giustificano: “Usa parole colorite, ma ha un grande senso di responsabilità”.
Il cameriere del bar che frequentavo da giovane, dopo che l’anziano ubriacone si era alzato, ripuliva il tavolo, si faceva una risata e chiudeva bottega.
Oggi mi basterebbe una risata.

Mercoledì a Palermo

Comunicazione di servizio. Dopo il dibattito sul network cittadino Wi-fi che si è sviluppato su questo blog nei giorni scorsi, il presidente dell’Ars Gianfranco Micciche ha comunicato i costi dell’operazione: 10.000 euro circa per l’infrastruttura, più un canone annuo di 3.000 euro.
Ma soprattutto ha annunciato che il servizio sarà attivo da mercoledì 3 ottobre a Palermo, in piazza Magione.
Ci vediamo lì a mezzogiorno, con computer, telecamere e macchine fotografiche.

Garlasco e la giustizia astemia

Gli ultimi sviluppi del giallo di Garlasco dovrebbero insegnarci, o ricordarci, alcune cose.
Primo. L’arresto preventivo non è un gol, ma un provvedimento doloroso, spesso giustificato anche se non sempre condivisibile. E’ un atto regolamentato, previsto dalla legge e contemplato da strategie investigative.
Secondo. Nel sistema italiano occorrono meno prove per ottenere una custodia cautelare che per ottenere una condanna. E ciò, nonostante l’apparente paradosso, è un bene. La custodia cautelare è solo una tappa di un’indagine, la sentenza è un punto di arrivo.
Terzo. Non c’è nulla di scandaloso se in un’inchiesta cosi delicata come quella su un omicidio una persona finisce sotto la spasmodica attenzione degli investigatori. E’ un’esperienza terribile per l’indagato, se è innocente, ma l’obiettivo degli inquirenti deve essere quello di arrivare alla soluzione il più presto possibile. E’ plausibile che il magistrato ritenga opportuno, in presenza di indizi gravi, effettuare un pressing psicologico sul sospettato.
Quarto. Gli indizi non sono prove.
Quinto. Se un giudice non convalida un fermo o boccia un arresto non vuol dire che l’indagato è stato assolto, così come il fatto che sia stato arrestato non deve voler dire che è colpevole. La colpevolezza preventiva è una piaga sociale e giornalistica. L’assoluzione preventiva avvelena i sani principi del garantismo.
Sesto. Nello specifico, Alberto Stasi è il colpevole/innocente ideale perché è personaggio. Muto e freddo, può essere etichettato, a seconda dell’umore degli opinionisti e della quantità di birra servita al Bar dello Sport, come spietato o come prudente. Ma la Giustizia non risente degli umori ed è astemia.

Birmania

In un posto lontano adesso ci sono monaci che combattono a mani in alto contro i fucili dei militari. La nonviolenza contro la protervia di un regime che considera pericolosi rivoluzionari i nonviolenti.
Di quel posto lontano abbiamo poche immagini perché persino il web è stato oscurato. Ai giornalisti lì si spara.
Oggi tutto il mondo si veste di rosso contro quel regime malvagio che va estirpato senza esitazione.