Marketing politico

Per contrastare Berlusconi nella sua operazione di restyling politico, An cambia nome. Nell’era dei partiti azienda, dei partiti network, è il minimo. Da un lato, mura intonacate di fresco, insegne nuove. Dall’altro, strategie di marketing vetuste, dirigenti imbalsamati.
E’ lo specchio ideale per l’elettorato italiano che si lascia affascinare da parrucconi e parrucchini e al quale interessa poco cosa sta sotto la peluria cranica.
Entro oggi l’annuncio: le prossime elezioni politiche si svolgeranno alla Fiera di Milano.

Ormoni e sermoni

Due studi psichiatrici, uno americano e uno olandese, hanno attirato ieri la mia attenzione. Da un lato un team di esperti è arrivato alla conclusione che un po’ di tristezza è utile alla nostra salute, dall’altro una ricerca dice che il mal d’amore può davvero uccidere. Poeti, cantanti, scrittori ci hanno raccontato la complessità del buio interiore, ora la scienza mette un timbro a secco sul foglio delicato di certe emozioni.
Molti di noi conoscono il disagio o addirittura il dramma della depressione, pochi (io non sono tra questi) sanno leggere tra le righe del libro che scriviamo, giorno dopo giorno, con i nostri entusiasmi, le nostre incazzature, le nostre passioni e le relative delusioni. Siamo chimica, ci ricordano gli scienziati, siamo il frutto di un complicatissimo dosaggio istantaneo di ormoni, neurotrasmettitori, enzimi e chissà cos’altro. Dietro un sorriso c’è uno schizzo infinitesimale di serotonina, una porta sbattuta è figlia di mamma adrenalina. La visione biochimica delle emozioni mi ha consolato in qualche momento difficile, eppure mi ostino a valutare il calore di un abbraccio o l’incanto di un tramonto come qualcosa di estraneo ai composti del carbonio. Che la tristezza sia una tappa ineludibile nel lungo cammino verso la felicità ce lo insegnano i grandi artisti. Dietro un’opera memorabile c’è sempre uno stato di insoddisfazione: uno scoppio propulsivo verso il meglio che si cerca e che non si trova. Ed è questa tensione che ci regala il bello che non teme il tempo.

La cellulite di Cindy Crawford

Non trovando nulla di meglio da fare, Abc News ha messo online una serie di foto che ritraggono personaggi celebri dello spettacolo tra rughe, smagliature, borse sotto gli occhi e chili di troppo. C’è un’irritante compiacenza nello spogliare la Very Important Person del suo involucro dorato. Vedere la pancetta cadente di un mio mito di bellezza, Cindy Crawford, mi ha rattristato nel profondo. Ma non tanto per l’adipe della bellissima ex top model (rimarrebbe un mio intimissimo sogno proibito anche se inforcasse una dentiera di piombo), quanto per la contundenza di una cattiveria mediatica che nulla ha a che vedere con il diritto di cronaca, con la crudeltà asciutta della notizia. Il percorso mentale che mi sono fatto è questo: loro, i ricchi-famosi-belli, hanno un peccato originale (sono ricchi-famosi-belli, appunto) che alcune sub-ordinarie persone vogliono trasformare in un debito verso la pubblica opinione; il meccanismo di vendetta prevede che i normali difetti di questi r-f-b vengano riverniciati coi colori della vergogna; vedere il bello trasformarsi di colpo in brutto strappa nelle sub-ordinarie persone non un sorriso, ma un ghigno.
Trovo volgare tradurre un cedimento strutturale epidermico in termini di notizia. E lo trovo addirittura vomitevole se fatto in rassegna: corpi uno dietro l’altro, facce gonfie, addomi dilatati, sguardi stralunati.
Bisognerebbe ripescare la vecchia legge del taglione per i direttori di giornali che pubblicano simili reportage. Niente ammende, nè – figuriamoci- altre pene: solo una striscia quotidiana che dovrebbe illustrare il loro decadimento fisiologico, amplificando la morte di ogni loro singola cellula come se fosse un’esecuzione in pubblica piazza.

Il ventriloquo

Berlusconi dice che Casini ha ucciso la Casa delle libertà e che, peggio del peggio, finirà a sinistra. Il suo eterno portavoce Bonaiuti, che Dio lo aiuti, smentisce: mai detta una cosa simile. Il meccanismo dichiarazione-smentita è un pilone della comunicazione forzitaliota. Una via di mezzo tra il bastone e la carota, un bastone commestibile o, se preferite, una carota contundente. Una smentita di tal sorta avrebbe una sua credibilità se fosse accompagnata da frasi tipo: “Casini è un grande alleato”; “Casini quando ha gli incubi sogna bandiere rosse”; “Casini sta alla Cdl come la mia mano sta al culo di una soubrette”; “Casini ha capelli da sogno”.
Invece siamo al solito gioco della mano nascosta dopo che la pietra è stata lanciata.
Sipario. Gli ortaggi ormai hanno prezzi proibitivi.

Carovita

Leggo attonito i risultati di un’inchiesta su come combattere il carovita. Bastano poche righe, anzi una sola parola per farsi un’idea: ovvietà.
Uno dei segreti, ad esempio, è fare la spesa coi cosiddetti gruppi d’acquisto, cordate di massaie che comprano direttamente dai produttori. Insomma, carote e ravanelli si acquistano solo se si raggiunge il numero legale.
Un altro espediente per risparmiare è quello dei farmaci di concorrenza. Niente più medicine griffate, ma solo il nudo principio attivo. Una vera novità!
Ma il top dell’originalità si raggiunge nel campo automobilistico. Per evitare di sprecare denaro in carburante, gli esperti hanno stabilito che bisogna guidare con prudenza ed effettuare tutte le manutenzioni della vettura (che non sono gratis).
Mi fermo qui, per pudore.

Il sopravvissuto

Le mefitiche intercettazioni ambientali collocano il tunisino Azouz, il “sopravvissuto” alla strage di Erba, nel girone degli opportunisti crudeli, con diritto di residenza anche in quello dei delinquenti abituali. Si apprende infatti che della moglie e del figlio ammazzati da quei matti di Olindo Romano e Rosa Bazzi a lui non gliene importava un bel nulla. Coi corpi ancora da seppellire, Azouz si preoccupava di andar a scopare con un’amica della moglie. I traffici di stupefacenti non hanno subito battute d’arresto se non giusto il tempo dei funerali. Il tunisino si sentiva sicuro, come se con il sangue dei suoi familiari avesse pagato ogni conto con la giustizia e dovesse anzi riscuotere un surplus di impunità. Gli atti che hanno portato al suo arresto trasmettono un cinismo imbarazzante: il signor nessuno improvvisamente celebre per meriti criminali altrui arriva ad ammettere che questi mesi (cioé il periodo che va dalla strage dei familiari a oggi) sono stati i più belli della sua vita.
Se Rosa Bazzi e Olindo Romano potevano incarnare il male assoluto, Azouz ne rappresenta la terza dimensione.

Music Control

Sono un consumatore bulimico di radio. E quando l’amico Giovanni Villino mi ha invitato ad approfondire l’argomento Music Control, mi sono trovato spiazzato. Non sapevo cosa fosse questa roba: così mi sono documentato.
Ci ho messo poco per apprendere che MC è un sistema di rilevamento di passaggi radiofonici di un brano musicale che monitorizza centinaia di radio e televisioni in mezzo mondo. E’ basato su un complesso meccanismo elettronico e vede tra i suoi clienti i boss dell’industria musicale.
Sulla base dei risultati di questa “indagine” si stilano le classifiche, i preziosi elenchi dei brani più ascoltati.
E qui si inceppa il meccanismo logico.
Come può una classifica essere attendibile se basata non sui gusti reali del pubblico, ma sulle scelte dei direttori artistici delle emittenti? Non è un mistero infatti che le scalette di ogni singolo programma di ogni singolo network radiofonico sono stabilite dai singoli direttori. A ciò si aggiunga che, come ogni radioascoltatore attento può verificare, molti passaggi musicali sono strettamente legati a ben altri passaggi, quelli pubblicitari: moneta sonante, si diceva una volta.
Ecco spiegato perché, ad esempio, la vostra radio preferita trasmette nell’arco di tutta la giornata al massimo 40-50 canzoni: sempre le stesse.
Morale: una classifica basata sulle scelte di pochi non è una classifica di gradimento. E’ un elenco della spesa.

Alla memoria

Vivo in una terra in cui i luoghi civici, le vie, gli incroci, i locali pubblici si identificano più col nome e cognome di chi vi è stato ammazzato che con l’ordinaria toponomastica. Nella mia corsa mattutina parto dal luogo del fallito attentato a Giovanni Falcone, arrivo fino all’incrocio in cui è stato assassinato Salvo Lima, poi svolto fino alla casa di Sebastiano Bosio, un medico ammazzato dalle cosche, e torno. Questo per due volte: totale dieci chilometri.
Da una settimana vivo nel palazzo di fronte a quello in cui, negli anni Ottanta, venne ucciso il commissario Ninni Cassarà. Ieri ho fatto colazione nel bar in cui venne assassinato Boris Giuliano. Poi sono andato a fare la spesa, nel supermercato che guarda l’abitazione sotto la quale Leoluca Bagarella sparò al giornalista Mario Francese. Prendo l’aperitivo in un locale che sta all’angolo con la strada in cui ammazzarono il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, sua moglie e l’agente di scorta. E la mia pizzeria preferita è in via Libertà, a quattro passi dal luogo dell’agguato all’ex presidente della Regione Piersanti Mattarella. Per anni sono andato a mare di fronte alla villa del mio amico Emanuele Piazza e la mia banca sta proprio davanti alla lapide che ricorda il sacrificio di Cesare Terranova e Lenin Mancuso. Potrei continuare, ma mi è passata la voglia. La mia città non ha memoria.
Alla memoria.

Stupro di una manager

Il caso dell’allineamento Rai-Mediaset mi fa sorridere. Questo inciucio mediatico sta entrando nel (lungo) elenco delle vergogne italiane. Eppure, a pensarci bene, questa vicenda avrebbe i numeri per rimanere nel girone delle chiacchiere da bar. Il capro espiatorio, la manager Deborah Bergamini, è una bella donna in carriera definita persino dai suoi detrattori come giornalista brillante, come persona precisa, colta, capace, disciplinata, minuziosa, illuminata (Antonello Caporale su Repubblica). Pochi vi hanno detto che gli accordi tra i grandi giornali ci sono da decenni, e riguardano le notizie come le strategie pubblicitarie. I direttori di testata si consultano, in occasione di grandi eventi e non. Il peso di certe campagne viene verificato su varie bilance.
Non sono gli accordi di intelligence tra Rai e Mediaset a rovinare la vita degli italiani, ma i trust delle compagnie di assicurazione, i cartelli dei petrolieri, le posizioni violentemente dominanti di certe compagnie telefoniche (che non si occupano solo di cellulari e interurbane). C’è un Italia sotterranea che forgia misteri nel buio dell’impunità. Non sarà lo stupro professionale in pubblica piazza di una manager che – probabilmente perché bravissima – alimenta più di un’invidia a ridarci la giustizia che ormai ci stiamo stancando di chiedere.

Forse

Forza Italia non si scioglie più. Come accade pericolosamente spesso nelle vicende di Berlusconi, c’è stato un malinteso: il che significa che gli altri, tutti gli altri, hanno male interpretato il verbo del Cavaliere. Il quale, fresco e pettinato, ha trovato ieri la faccia per dichiarare di non aver mai parlato dell’eutanasia di Forza Italia: “Ho detto che forse si sarebbe andati allo scioglimento”.
Sta tutto in questo avverbio, forse, la filosofia del personaggio. E’ nel gioco tra dubbio, esitazione e probabilità, che Silvio Berlusconi ha costruito la sua fortuna imprenditoriale e politica. Il giocatore di poker che punta tutto su una mano fortunata, il vanitoso che cambia vestito a seconda dell’auto che prende, il furbo che confida nella buona fede altrui, lo spregiudicato che rispetta solo le regole che lui stesso ha inventato.
Il nuovo soggetto politico sarà un “partito network”, un “partito holding”. Pochi hanno capito che cosa significhi questo profluvio di inglesismi. Di certo il suo presidente si farà amministratore delegato, governatore dei governatori, pontefice di tutte le chiese, Dio.
Forse.