bird s eye view photography of road in the middle of desert

Amici e (ri)guardati

Quanti amici ho? Vi siete posti la domanda? E soprattutto ve la siete posta in vari momenti della vostra vita? Se io me la fossi posta quarant’anni fa, la risposta sarebbe stata molto diversa da quella che mi sarei data chessò nel 2008 e ancora più diversa da quella che troverei oggi.

Confesso subito: la domanda non me la sono mai posta, per vari motivi.

Primo, contiene in sé una trappola logica, cioè recensire matematicamente qualcosa che non ha nulla a che fare con la matematica: esistono tanti e tali gradi di amicizia che bisognerebbe stabilire un livello minimo, o almeno medio per entrare nella schiera degli “aventi diritto”; ed è impossibile arrivare alla ragionevole certezza che produca un numero.
Secondo, l’amicizia è un sentimento tutt’altro che stabile. Oscilla, come l’amore, l’odio e i sentimenti che non si possono annacquare. In generale nelle sensazioni e nei rapporti umani tutto ciò che è stabile, è diluito, annacquato appunto. Pensate ai grandi sodalizi duraturi, di qualunque tipo siano, e avrete contezza di quanto compromesso, di quanta sabbia riempi-fessure (mezzo spoiler: la sabbia non la cito a caso perché alla fine vedrete che sarà determinante) c’è bisogno per puntellarli e farli risultare scenograficamente stabili. Quindi amici oggi, ma domani?
Terzo, siccome non posso buttare tutto in vacca ci metto un pizzico di scaramanzia. Non mi sono posto la domanda perché ogni volta che sono stato vicino a farmela ‘sta cazzo di domanda, mi sono beccato una delusione.

Tutto ciò per dire che io comunque ci credo nell’amicizia, ma credo ancor più nei suoi limiti.
E qui ci vuole una parentesi personale.
Ogni volta che “ci vorrebbe un amico” io me la canto da solo. È un mio difetto. Perché, diciamocelo, noi l’amico lo cerchiamo quasi esclusivamente quando siamo con le pezze al culo. Ecco, quando mi trovo in quella situazione, io invece sposo un atteggiamento che definisco, senza modestia, da “scassacazzi intimista”: detesto imporre i miei problemi agli altri, quindi prima risolvo, poi cerco chi torturare con i dettagli di come ho risolto.
I limiti dell’amicizia, per quanto mi riguarda, sono tutti in una semplice considerazione: va bene come responsabilità ma non deve mai essere considerata un’opportunità.

E adesso parliamo di sabbia, sennò che spoiler ho fatto.
Altro che Covid, altro che global warming, altro che Greta, altro che munnizza a Palermo, una vera crisi millenaria è alle porte. È un allarme sul quale, a causa di casini molto più urgenti e urenti, già da qualche anno l’Onu ha scritto qualche paginetta di disastri prossimi venturi. Riguarda l’esaurimento delle scorte della terza più importante materia prima al mondo dopo aria e acqua. Che non è il petrolio. Ma la sabbia.
Sì, la sabbia.
Uno dice: minchia, ma con tutta la sabbia del Sahara, cosa volete di più?
Basta documentarsi un po’ per aggirare la domanda. Perché gli scienziati ci dicono che con la sabbia del deserto si fa il vetro, ma non il buon cemento: quella è troppo liscia, levigata dalla frizione dei granelli sotto l’azione del vento. La sabbia da costruzione è più ruvida, erosa dall’acqua in riva al mare o ai fiumi.
La sabbia infatti non è una risorsa rinnovabile, ci vogliono epoche geologiche intere perché se ne generi in quantità significative, mentre il fabbisogno cresce sempre più. Scrive James Hansen nella sua imperdibile “Nota Diplomatica”: “L’Onu stima — un po’ alla carlona per la verità — che il mondo consumi annualmente tra i 40 e i 50 miliardi di tonnellate di sabbia da costruzione. Abbastanza per gettare ogni anno un muro alto 30 metri e largo altri 30, tutto attorno al pianeta. La sabbia è anche corruttrice. Secondo il Global Financial Integrity, un think tank americano che studia traffici illeciti, la sua estrazione illegale genererebbe il terzo più alto volume di crimine transnazionale dopo la contraffazione e il traffico della droga—attorno ai 200 miliardi dollari annui già nel 2017″. Comunque sia, tra le nuove città e le nuove strade — e i criminali che vengono di notte a rubare nelle nostre spiagge — secondo l’Onu la scarsità della materia prima, cioè della sabbia, promette di essere una delle più importanti sustainability challenges del ventunesimo secolo.


Quindi la sabbia abbonda, come l’amicizia.
Ma quella che serve a costruire qualcosa scarseggia, come l’amicizia.
Può diventare oggetto di ricatto e illusione, come l’amicizia.
Ma è una grande scommessa, come l’amicizia.

Vada come vada, il miglior modo per essere ottimisti è presentarsi con la delusione in tasca.
Il resto è solo meravigliosa sorpresa.

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

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