In morte di un giornale

C’è un caso di inaudita violenza giudiziaria contro un giornale e il suo direttore di cui nessuno (o quasi) ha parlato. E che invece meriterebbe inchieste televisive, approfondimenti giuridici, mobilitazioni della politica. È la storia di Centonove, un settimanale messinese che per 25 anni ha sfornato inchieste di ogni genere e messo a ferro e fuoco le stanze segrete del potere. Il suo direttore, Enzo Basso, è stato addirittura arrestato nel 2017 e si è fatto sei mesi di arresti domiciliari come un pericoloso criminale. La sua esperienza, raccontata con una dovizia di particolari quasi maniacale nel libro “Bancarotta”, è terrificante nel puntuale succedersi di eventi che portano all’isolamento e all’accerchiamento di un giornalista libero per poi arrivare all’attacco finale: che non potendo provocare l’annientamento fisico del bersaglio (evidentemente per problemi logistici), ne provoca il dissanguamento economico e una agonia professionale.

Insomma un giornale è stato spazzato via dalla faccia della terra senza che nessuno abbia battuto ciglio: in Sicilia, in Italia, in Europa, mica in Sudamerica o in Africa.

La gravità dell’orchestrazione di atti (giudiziari e non) contro Enzo Basso si riflette negli scandali siciliani degli ultimi anni: dal Verminaio di Messina al caso Montante, dalla commistione affaristico-giudiziaria di alcune procure alla codardia politica di fronte ad abusi palesi (per di più compiuti a viso scoperto). E la categoria dei giornalisti, che pure in quegli scandali ha sguazzato con buon profitto, ha pensato bene di ignorare la richiesta di aiuto di Centonove e dei suoi cronisti, allineandosi anzi al plotone di esecuzione degli inquirenti interessati ad assassinare un giornale, i suoi giornalisti e i diritti dei suoi lettori. Eppure bastava poco, bastava leggere le carte e segnare incongruenze, falsità, strane coincidenze. Il filo che strangola Centonove e il suo editore è lungo: lega tutti i protagonisti della persecuzione giacché sono tutti parenti, o amici, o sodali, o soci, o compari. Non c’è coltellata inflitta a Enzo Basso che non abbia dietro più di un colpevole, come in un romanzo di Agatha Christie. Solo che qui alla fine non c’è un Poirot a consegnare al lettore un finale compiuto e logico.

Il caso Basso è ancora aperto e merita di essere scarnificato come una ferita infetta. Il dolore non è mancato, ora tocca alla disinfezione.   

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

4 commenti su “In morte di un giornale”

  1. Questi fatti dimostrano che chi sbaglia non viene punito,e qualunque risarcimento futuro non potrà mai colmare il danno economico e morale

  2. ABBIAMO IL DOVERE MORALE DI STARE VICINO A CHI HA DATO TANTO ALLA LIBERA INFORMAZIONE INDIPENDENTE. MAI COME QUESTI TEMPI, L’OMERTA’ HA LASCIATO IL POSTO ALLA PAURA

  3. Il libro di Enzo Basso: “Bancarotta” oltre a palesare con documentazione chiara e inconfutabile il vero volto della magistratura, è un atto di accusa nei confronti del giornalismo ignavo e appecorato. La vicenda umana e professionale di un uomo è stata calpestata e ferita. Arrestato e in attesa di giudizio. Lo storico settimanale “Centonove” evaporato, persino la memoria cancellata. Nessuna testata (a parte l’arresto) si è posta delle domande.

  4. Articolo esemplare. Se la stessa vicenda fosse capitata ad altri, Enzo Basso avrebbe scritto 109 articoli. E’ stator ripagato con il silenzio sopratutto dai tanti che grazie a lui hanno imparato a fare I giornalisti e non ad essere giornalisti, faccenda ontological difficile da interiorizzare.

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