Le quattro vedove

Una breve storia vera. Breve purtroppo in quanto X, il suo protagonista, se n’è andato che era ancora giovane. Era un mio ex compagno di scuola, divertente e imprevedibile, uno di quelli che potresti definire tranquillamente dolce mascalzone, che vorresti accanto per un viaggio indimenticabile, per una cena all’una di notte, per una rimpatriata alcolica, per sanare un momento difficile, per scacciare un mostro che solo tu vedi. Ecco, X era uno scacciamostri. Era talmente bravo che i suoi (mostri) manco li lasciava materializzare. Una volta finì nei guai con la giustizia per questioni economiche e si presentò al giornale in cui lavoravo. Io, che ovviamente avevo la notizia, gli dissi “Non cominciamo, non ci posso fare niente!”, pensando che mi volesse chiedere chissà quale sconto giornalistico. In realtà la questione era davvero di poco conto ed era finita in fondo alle pagine della Cronaca di Palermo. X mi fermò subito: “Tranquillo, non chiedo sconti, ma un’edizione di Enna”.

Diavolo di un demonio, il suo piano era sopraffino e prevedeva un solo obiettivo: che i suoi anziani genitori non venissero a sapere dell’infortunio giudiziario.

Quindi cosa fece X? Attese che io gli sfornassi l’edizione di Enna che non conteneva la notizia che lo riguardava e andò a casa dei suoi. Che l’indomani si svegliarono col giornale sul tavolo della cucina e un bigliettino affettuoso del dolce mascalzone: “Ieri sera sono stato da Gery che vi omaggia il giornale di oggi”.

Gery omaggia il giornale.

Problema risolto.

Ma il motivo per cui vi racconto la storia di X non è questo. Potrei dirvi di quella volta in cui chiacchierando al telefono mentre giocava con un fucile da caccia di suo padre gli scappò un colpo che riempì una parete di pallettoni: parete che in un’ora ricoprì di quadri orribili acquistati al volo da un suo amico graffitaro, il tempo che i suoi genitori rientrassero a casa. O di quell’altra in cui decise di fare il pane solo con acqua e farina perché lui aveva una ricetta segreta, e soprattutto degli amici come noi talmente rincoglioniti da credergli, e partorì un paio di schiacciate di cemento armato mandandoci a fare in culo perché noi non capivamo niente dell’arte della panificazione eccetera. O di quando, giocando a nascondino (eravamo ragazzini sì), scelse il nascondiglio più impenetrabile, almeno fino a quando non arrivò il treno: una galleria sulla strada ferrata Palermo-Messina.  

Invece no.

Vi racconto di quando morì, il mio adorabile, detestabile, meraviglioso, impresentabile X. Al suo funerale si presentarono quattro ragazze, con devastata discrezione.
Erano tutte fidanzate ufficiali. Tragicamente nessuna di loro sapeva dell’altra. E, grazie a un drammatico lavoro di incastri e di strategia mio e di un altro paio di amici, nessuno di loro ha mai saputo dell’altra. Furono tutte allocate, nel loro dolore, nei primi posti della chiesa. Le baciamo e le abbracciamo con un’intensità dalla precisione millimetrica. Ci inventammo astruse geometrie davanti alla bara, al cimitero, pur di garantire a ciascuna di loro il diritto esclusivo alla pietà. Dimenticammo persino le lacrime in quel frangente – è una storia di quasi trent’anni fa – e ci dedicammo alla complicatissima salvaguardia della memoria trasversale del dolce mascalzone.

Me la sono tenuta fino a ora, questa storia. Perché la prescrizione non è solo un istituto giuridico, ma una maniera di prendere un ricordo, passargli sopra una mano di vernice e far finta che sia oggi e che sia tutto finito prima ancora di cominciare. Per riderci su, per scrivere sulla nostra lavagnetta personale “tutto andrà bene” anche quando non c’è un solo indizio che deponga in tal senso, per prendere la rincorsa verso il futuro con la base più solida che abbiamo, quella della memoria. Oggi X sta di certo seduto in consiglio di amministrazione da qualche parte lassù, del resto il Creatore non è uno che si lascia scappare uno così, che tappa buchi di proiettile in mezzo pomeriggio, che s’inventa il cibo dove non c’è, che non ha paura del buio quando c’è un treno che arriva. E soprattutto che aveva capito che il miglior modo di prevedere il futuro è inventarselo. Pace all’anima sua, caro e dolce maledetto X, e un pensiero alle quattro vedove il cui dolore genuino non è mai stato scalfito dall’insincerità di un indimenticabile spirito burlone.

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

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