Ecco perché Nibali è un perfetto non-siciliano

Vincenzo Nibali
Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.

La buona sorte tende a livellare le differenze. Nelle vittorie ci si stringe, ci si accomuna in una felice finzione che ci fa tutti uguali. Vincenzo Nibali è uno di noi, uno come noi, verrebbe da dire festeggiando i suoi successi. Ma da siciliani è bene pensarci e ripensarci su, prima di lanciarsi in simili trionfalismi. Perché a pensarci e ripensarci su, Nibali, lo “squalo dello stretto”, è nei valori, nella forza e nella determinazione, un meraviglioso non-siciliano.
(…)
E sì che in questa Sicilia di colpevoli indolenze, la figura di questo ragazzone svetta non già nel panorama degli eroi, che di solito da queste parti sono o furbissimi o mortissimi, ma in quello degli antieroi, unica alternativa alla barbarie sociale della sovercheria organizzata.
Sin da bambino Nibali ha convogliato la caparbietà di un gioco di agonismo in uno stile di vita: muscoli e disciplina, sudore e pulizia mentale. Poteva inseguire un posto fisso in uno qualsiasi degli enti decotti della Regione, e invece inseguiva su due ruote la squadra dei compagni pedalanti. Poteva bighellonare qualche anno in più e invece andava a letto presto, che l’indomani c’era la gara. Poteva imbarcarsi nell’ennesima truppa di lavoratori socialmente utili o arricchire le schiere dei laureati professionalmente inutili e invece si imbarcava per il nord, per andare a perfezionare l’arte incolta della velocità sull’asfalto.
Lo ha ricordato ieri suo padre, a inusitata conferma che la genetica ogni tanto garantisce persino il perpetuarsi dei principi etici: per riuscire nella vita o rubi, o fai sacrifici. La famiglia Nibali ha scelto la via più difficile, spegnendo in un sol colpo la tradizione selvaggia del ricatto di chi, senza fissa occupazione, proclama di essere costretto “ad andare a rubare”, bruciando il ricordo acido di quei cartelli che inneggiano alla “mafia che dà lavoro”.
L’altro giorno il giornale francese l’Equipe ha dedicato una doppia pagina all’illustre ciclista, definito come “l’emigrato siciliano”. Nella sua evocazione storico-biografica, il cronista si è soffermato sull’importanza dell’abbandono dell’isola “che altrimenti ti soffoca come una piovra e le sue ombre mafiose”, aggrappandosi all’effetto di uno stereotipo che ormai fa sorridere come l’ennesima rivelazione sui coccodrilli nelle fogne di New York. In realtà non ci vuole molto per capire che Nibali non è fuggito da Cosa nostra, ma da certe cose nostre: cioè da quella congerie di pigrizia e indolenza che ci rende poveri di spirito, da quella perpetua illusione di unicità che ci fa sentire speciali mentre siamo semplicemente in ritardo. Lui cercava la velocità, fisica e metaforica, e l’ha trovata, ovviamente, fuori dalla terra della lentezza esasperante.
In una famiglia dai sacrifici quasi padani, Vincenzo è cresciuto gettandosi a capofitto nelle discese, pedalando a perdifiato più che in salita, perché solo chi vola in alto sa che il vuoto non è altro che una discesa mancante. Poteva alzare i piedi dai pedali quando la pendenza, fisica e metaforica, l’aiutava. Chiunque di noi l’avrebbe fatto: per rifiatare o semplicemente per fare meno, per sottrarsi, per risparmiarsi.
Lui invece no. Si è buttato a capofitto, rischiando tutto e vincendo quasi tutto. Da perfetto campione imperfetto, quindi vero.
Da meraviglioso siciliano non-siciliano.

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

9 commenti su “Ecco perché Nibali è un perfetto non-siciliano”

  1. …..”Nibali e’ fuggito dalle cose nostre….”ed è ammirevole l’impresa che ha compiuto. Ma è anche ammirevole l’impresa che tutte le persone come me, provenienti da famiglie di grandi lavoratori disposti a grandi “sacrifici quasi padani”, compiono ogni giorno, dopo anni di studi e “sacrifici quasi padani” per superare le difficoltà che ” le cose nostre” nella nostra terra ci offrono a dismisura. Ma molti come me non sono fuggiti e offrono alla nostra terra i loro “sacrifici quasi padani”cercando ogni giorno e ogni notte di migliorare la nostra Sicilia. I sacrifici che ha fatto Nibali migliorano soltanto la qualità della sua vita non quella dei poveri siciliani vittime delle “cose nostre “. Mi dica Lei chi sono i veri eroi!!!

  2. Di sicuro non quelli come lei che, in modo qualunquistico, considerano i propri sacrifici unici e ineguagliabili. Vede, siamo in molti a resistere e a combattere (svariati milioni), ma questo non fa di noi degli eroi. L’eroe, ad esempio, non si lamenta…

  3. Non parlavo al singolare ma parlavo di tutti quelli come me che “si sono sacrificati e sono rimasti”. Non mi lamentavo per quello che ho fatto perché ne vado fiera e non penso di essere un eroe, ma mi lamentavo per quello che lei ha scritto che denota tanto qualunquismo: l’eroe non è colui che scappa. Voi siete tutti bravi a parlare di quello che non va ma sarebbe bene che qualcuno cominciasse a fare qualcosa di concreto, che di certo non è lasciare la nostra isola! Ma finché esisteranno persone come lei brave a parlare e scrivere (ma non a leggere i commenti) non cambierà mai nulla! Chi rimane e si sforza di migliorare la nostra realtà dovrebbe essere preso come un esempio di grande coraggio e possibilità di riscatto per la nostra terra, lasciando da parte gli eroismi a cui lei faceva riferimento parlando di Nibali, con tutto rispetto per la sua impresa, che per quanto formidabile e pur sempre un’ impresa sportiva. Quello che dobbiamo apprezzare dell’impresa di Nibali non è il fatto che sia andato al nord ma l’ impegno con cui ha perseguito il suo obiettivo. Come avevo scritto prima molti resistono, studiano, si laureano, lavorano, e sono professionalmente utili per la nostra terra, nonostante quelle che lei definisce le “cose nostre” , mentre nel suo articolo lei scriveva che le alternative sono (nell’ordine) il posto fisso/LSU/bighellonare….. Magari poi quelli che resistono fossero svariati milioni, come dice lei, la Sicilia non avrebbe i problemi che ha.

  4. Non ho mai scritto che l’eroe è colui che scappa. Anzi ho scritto di antieroi. Ma evidentemente lei è tanto presa dal suo auto-eroismo (!!!) da rimanere abbagliata. Provi a guardare meno a se stessa e a inanellare meno scontatezze, forse vivrà meno depressa. Saluti.

  5. Mi spiace, non sono d’accordo. Non sono siciliano, ma vivo in Sicilia ormai da quarantatré anni e confesso di non condividere affatto questo articolo, anzi lo ritengo offensivo verso i siciliani. Nell’enfasi della esaltazione della figura di Nibali e della sua famiglia “capace di sacrifici padani”, secondo me, l’autore dell’articolo esagera dipingendo in toni troppo negativi il resto dei siciliani e la Sicilia tutta. Conosco e frequento siciliani intelligenti ed intraprendenti che si fanno avanti nella professione con determinazione e con modestia, la cui educazione e la dedizione al lavoro non sono da meno dei nostri connazionali del nord. Certo, non nego che in Sicilia, come in larghe zone del sud, non esistano le condizioni economiche perché atleti e sportivi possano affermarsi, il che costringe molti a trasferirsi nel nord per poter crescere ed emergere. La sorte di Nibali non è diversa da tanti altri siciliani, i quali fuori dalla terra natia hanno avuto modo di dimostrare le proprie capacità e ciò, a mio parere è la dimostrazione che nell’isola tali capacità sopravvivono insieme ad elevati valori morali, purtroppo soffocati, nella pubblica opinione, dal concetto imperante di “terra di mafia” dove allignano “pigrizia ed indolenza”. Forse il signor Palazzotto non è esente da quel tipico atteggiamento degli italiani, capacissimi di essere feroci critici di sé stessi.

  6. Finalmente qualcuno che dice apertamente quello che pensa
    bellissimo articolo. ritengo che gli unici ad indignarsi di quanto appena letto siano tutti quei cittadini che vivono e si comportano
    come descritto dal loquace giornalista

  7. Le confesso che leggendo il suo articolo ho provato sconforto… Sconforto nel constatare quanto le tesi lombrosiane, asse portante della cultura fondativa di questo schifo di Italia, abbiano attecchito e proliferato nelle teste di molti, lei tra questi. La genetica della superiorità non è né nata né tantomeno morta con il nazismo. Il suo terreno fertile non è l’ignoranza, come potrebbe pensarsi, ma la mancanza di intelligenza. Non per nulla uomini di straordinaria cultura hanno sposato (e sposano), in modo più o meno consapevole, teorie sulla genetica o sull’antropologia della superiorità. Ora però mi viene da fare una considerazione post-lombrosiana: Se queste tesi attecchiscono con vigore sulle persone meno intelligenti, dato che certi estremismi sono estranei alla Cultura e alla Civiltà della Sicilia (e del nostro Sud)… Non è che forse potrebbe essere che queste Culture, quelle che lei vorrebbe squalificare, sono intrinsecamente superiori a quelle padane o germaniche?
    Con le dovute eccezioni, ovviamente.

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