Se il potere si fa pubblicità a spese nostre

Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.

Si chiama pubblicità istituzionale ed è quella forma di pubblicità in cui l’istituzione parla di se stessa coi soldi degli altri. La Regione, nel disegno di legge sugli aiuti all’editoria che si discute in questi giorni a Sala d’Ercole, prevede per questo tipo di pubblicità un antipasto di duecentomila euro entro fine anno, nulla rispetto alla tavola imbandita con quindici milioni di fondi europei destinati, in vario modo e a vario titolo, a giornali, tv, periodici e testate online isolani per il 2014.
Certo, le cifre fanno impressione. Ma per una volta mettiamole da parte e concentriamoci su un aspetto considerato, spesso e a torto, secondario in quest’ambito. Non è infatti della liceità dell’aiutino alla testata amica o della furberia del requisito magico che fa scattare il rimborso a un giornale senza lettori, che vogliamo discutere. No, qui cerchiamo di capire perché un ente, tipo la Regione, deve pagare per farsi pubblicità.
La storia mediocre di mediocri presidenti ci ha consegnato migliaia di pagine con redazionali che illustravano il tal convegno alimentato con soldi pubblici e foto di politici che stringevano mani, che sorridevano all’obiettivo, che arringavano due file di spettatori imbalsamati. E nel tempo la cronaca ci ha suggerito, con puntuale ferocia, che spesso quel vestito istituzionale nascondeva una qualche nudità etica, un’imperfezione morale o magari un difettuccio penale.
Comunicare a pagamento ha molti vantaggi, alcuni dei quali spacciati per generi di prima necessità. Uno di questi, il più insidioso, riguarda l’attendibilità. Io, ente che divide et impera, ti spiego come spartisco e governo. E lo faccio di mio pugno senza che qualcuno possa equivocare il mio messaggio. Risultato: righe e righe di noiosissimi resoconti su incontri pubblici semideserti; ore e ore di interviste televisive pagate un tot a minuto in cui il conduttore si distingueva dalla poltrona solo perché respirava; milioni e milioni spesi in paccottiglia comunicativa che non è né carne né pesce, né pubblicità creativa né giornalismo decente, ma solo spreco universale indotto persino in chi legge/ascolta.
(…)
Fatte salve le occasioni in cui la pubblicità istituzionale ha dei vincoli realmente istituzionali, ad esempio bandi di gara e appalti (per i quali esiste comunque un organo specifico, la Gazzetta Ufficiale) il succo è tutto qui: il potere moderno celebra se stesso a piè di lista, spende con la certezza che l’unica valida contropartita sia legata alla visibilità e che l’importante sia farsi vedere e non farsi valere. Il tutto scansando il contraddittorio come se fosse la peste.
Più istituzioni e meno pubblicità, più fatti e meno straparlare. Queste risorse mettiamole al servizio di chi non ha modo di fare e sapere, destiniamole a scopi anche lontanamente sociali. Altrimenti sarà sempre la solita storia mediocre di uomini mediocri. Altro che pubblicità.

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

3 commenti su “Se il potere si fa pubblicità a spese nostre”

  1. Ho pensato spesso tutto quello che hai scritto e perciò ti ringrazio di averlo scritto.
    Ma ne vogliamo parlare degli uffici stampa delle istituzioni ?

  2. Ma già il governo Crocetta ha inserito nella finanziaria 2013 (L.r. 9/13) una norma, l’art. 55, che finanzia i media per la semplice divulgazione di notizie di interesse generale che riguardano la Regione, norma vergognosa e truffaldina, dato che nel titolo si parla solo di avvisi. Alla faccia della libertà e autonomia della stampa! Da paese delle banane!!

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