Un po’ di cose mie

nave al largo di palermo

L’altro giorno chiacchierando con un amico si parlava di viaggi in nave. Non di crociere, ma di spostamenti per mare da un luogo a un altro. Entrambi concordavamo sulla magia di una partenza dal porto di Palermo, magari di sera con le luci della città che ti accompagnano per lungo tempo prima di spegnersi al tuo orizzonte.
Ci penso spesso ai viaggi in nave, soprattutto da quando non mi capita più di farne. Sino a qualche anno fa, prima della diffusione dei voli low cost, il traghetto o il vaporetto, come lo chiamiamo ancora noi isolani, era l’alternativa economica all’aereo.
Quando, ad esempio, partivo per la settimana bianca, il Palermo-Genova della Tirrenia era un capitolo fondamentale del viaggio: quelle 22 ore di clausura, quasi sempre col mare mosso, inscatolati in cabine senza oblò e con poca aria, andavano preparate con cura. Ci armavamo di libri e riviste, registravamo decine di audiocassette per darci una colonna sonora nella penombra forzata delle cuccette di seconda classe. La musica cominciavo a sceglierla mesi prima, era come se la vacanza durasse più a lungo.
E poi i panini. Mia madre ne preparava per una truppa, anche se magari eravamo solo in due. Li mangiavamo a cena, a colazione l’indomani, e magari a pranzo. Mai accaduto che ne rimanesse uno: e non eravamo grassi, ma semplicemente giovani.
In nave il tempo non era mai perso, come mai perso è il tempo della gioia. Che ci fosse freddo o meno, la notte si evadeva dai loculi e si  andava a prendere aria (e salsedine) sul ponte. Si guardava il mare buio e si fantasticava su un futuro a portata di mano: ci sarà neve a sufficienza? Chissà se hanno riaperto la pista con le gobbe… Il maestro si ricorderà di noi?
Ricordo tutti gli odori di quel traghetto, anche quello dell’infermeria, dato che una volta pensai bene di lacerarmi un braccio mentre cazzeggiavo con uno dei miei compagni di viaggio: il medico era talmente rimbecillito dal mare mosso che le graffette adesive per suturare la ferita me le mise un mio amico.
Il self service, il mitico self service della Tirrenia, proponeva ogni anno lo stesso menu: pennette al sugo, insalata, cotoletta e patatine fritte. Io, quando finiva la scorta di panini della mamma, mangiavo le patatine, anche se tutto aveva lo stesso retrogusto, sapeva come dicevamo noi “di nave”, quindi era un po’ come assaggiare la pasta o la cotoletta (il che era drammatico per me vegetariano).
Insomma, la nave era per noi ragazzi un perfetto mix di lentezza e leggerezza, di risparmio e goliardia, di mare e cielo.
Poi con cinquanta euro fu possibile partire da Palermo a ora di pranzo e arrivare in Val Thorens per cena, (prima ci mettevamo due giorni) e tutto cambiò. Le settimane bianche diventarono vere settimane, dato che prima duravano almeno nove giorni a causa del lungo viaggio. Le valigie si rimpicciolirono a misura di Ryan Air, mentre una volta riempivamo il portabagagli dell’automobile (imbarcata sul traghetto, naturalmente) persino con le provviste. Noi diventammo grandi ma il fascino per il viaggio in nave non si spense.
Ancora oggi, ogni volta che sono in riva al mare e mi va di esprimere un desiderio, cerco una nave di passaggio.

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

5 commenti su “Un po’ di cose mie”

  1. Il treno, invece. Che nostalgia. Mio padre non amava guidare tranne che in città e le vacanze erano il treno. Ovunque si andasse. Vagone letto, anche qui panini come se si dovesse sfamare la caserma Cascino (eravamo solo in tre), riviste-libri-Topolino, l’immancabile arancina sul ferry-boat per Villa San Giovanni, l’ansia dei minuti per la sosta a Bologna dove poi si risaliva sul “rapido” per il Trentino (ah, il “supplemento rapido….”). Le vacanze sembravano davvero infinite (anche perché non erano mordi-e-fuggi come adesso) e dal finestrino del treno ripassavi gran parte della geografia che avevi studiato a scuola pochi mesi prima. Anche oggi mi piacerebbe prendere un bel Palermo-Roma e da lì, con l’alta velocità, spostarmi ovunque in Italia. E invece prendo sempre l’aereo, sto per un’ora/un’ora e mezza fintamente disinvolto con una specie di sorriso fisso da paresi facciale anche quando il cielo è terso e senza un filo di nuvole e recito 1276 Ave Maria che qualche volta dalla cabina di pilotaggio si materializzerà la Vergine a mi dirà: “E basta, adesso…”. Non ripasso più la geografia, ma sono ferratissimo nelle marche dei trolley. Capirai che soddisfazione…

  2. Molto bello…”sa di nave” mi ricorda un più celebre “la minestra sa di finestra”. Complimenti e buoni viaggi a voi.

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