La cavalcata dell’indignazione popolare (con rischio cadute)

manifesto cattedrale di palermo

Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.

Cavalcare l’indignazione popolare è uno sport molto in voga. Solo che ci si dimentica che è anche discretamente pericoloso poiché alto è il rischio di cadute nel ridicolo.
Il meccanismo generalmente è questo: preso un fatto, qualcuno lo critica in modo precipitoso, cioè senza approfondire; si innesca quindi una reazione a catena e la singola critica figlia una valanga di commenti altrettanto indignati e altrettanto precipitosi; il politico di turno si tuffa nella polemica prendendo per buona la teoria maggioritaria, cioè la critica monca che ha acceso il meccanismo, e inizia così la sua pericolosa cavalcata. (…)
Un esempio fulgido o imbarazzante – a seconda dei punti di vista – di questo fenomeno è la polemica per il manifesto pubblicitario che copre l’impalcatura dei lavori di restauro della Cattedrale di Palermo.
Dal web ai giornali, andata e ritorno non senza testacoda, la foto del grande telo con la scritta “Ultrafibra Fastweb allaccia Palermo” ha suscitato molti commenti indignati. E l’indignazione ha presto ceduto il passo alla furia di chi gridava al sacrilegio, allo scandalo, e magari al complotto (della chiesa, delle multinazionali, della politica). Le urla sono giunte sino a Palazzo delle Aquile e ovviamente non hanno trovato orecchie insensibili. Nel giro di qualche nanosecondo il sindaco Leoluca Orlando ha, nell’ordine, ipotizzato un danno di immagine alla città, addossato la responsabilità al suo predecessore (che è un po’ come la famosa moglie cinese da picchiare comunque), chiesto una relazione dettagliata agli uffici competenti e partorito un atto di indirizzo affinché simili nefandezze non si ripetano più. (…)
Perché Palermo è Palermo, e certe cose non possono passare impunite: qui ci sono di mezzo il pubblico decoro, la credibilità di una città candidata a essere Capitale della cultura, mica bruscolini. In questo clima di disperata difesa dei baluardi della civiltà, la Fastweb, cioè l’azienda che ha pagato la pubblicità, anziché rivendicare il rispetto degli accordi commerciali, ha rassicurato la cittadinanza tutta invocando la rimozione del manifesto che addirittura sarebbe stato tirato su a sua insaputa: unico caso conosciuto in cui il disarcionato solidarizza col disarcionante.
In questa baraonda di ottime intenzioni, talmente buone da risultare dolciastre, sono passate sotto silenzio le istanze dei più prudenti che pur di vedere rinascere la Cattedrale in tempi brevi si sono detti disposti a tollerare uno schermo pubblicitario per coprire martelli e cazzuole all’opera.  Analoga sfortuna hanno avuto le anime pie che hanno invocato un paio di modesti precedenti in tema di sponsorizzazione del restauro: il Duomo di Milano inguainato in teli che raffiguravano una scarpa gigante, o un notebook particolarmente diffuso, o una carta di credito, o – tremate, tremate – una modella di un noto marchio di lingerie; e Piazza San Pietro avvolta dai manifesti di ben due aziende telefoniche, o di una compagnia che vende carburanti, o di un ente che distribuisce energia elettrica.
Gli oltranzisti della Cattedrale nuda nella sua purezza, i cultori del restauro a vista non hanno sentito ragioni. E sì che i soldi se non li mettono i privati non è che cadano dal cielo, ma parlare è gratis, e urlare è meglio che ragionare. Che importa se Palermo si barcamena da un’emergenza ambientale all’altra, se la vernice spray di quattro perditempo imbratta monumenti senza tempo, se il patrimonio artistico galleggia a stento su un mare di rifiuti? Che importa se le affissioni abusive non ricoprono più i muri, ma li sorreggono, se il cuore malato della città ha bisogno di ogni risorsa possibile per continuare a battere?
Forse sì, quel vergognoso telo pubblicitario va bruciato non perché oscura un simbolo o intacca la sacralità di un rito. Ma perché è esso stesso simbolo e rito di una città bruciata dove il buon senso sta nella cenere e tutto il resto è ormai fumo.

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

Un commento su “La cavalcata dell’indignazione popolare (con rischio cadute)”

  1. quello che si critica non è un telo che copre la facciata, ma la pretesa di oscurare il landscape della cattedrale per aver messo una mantovana sotto i portici.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *