Il web? Come la tv

Un tempo per legittimare una notizia o qualcosa di simile si usava la frase: “L’ha detto la tv”. Oggi si usa: “L’ho letto su internet”.
E il fatto di leggere qualcosa sul web piuttosto che vederlo in televisione dà implicitamente plausibilità alla notizia. Ma è davvero così? Cioè la rete garantisce una fruizione (non circolazione, badate bene) di notizie realmente libera?
Chi conosce bene certi meccanismi ci spiega che le cose stanno molto diversamente da come la maggior parte di noi possa immaginare.
Sul web siamo tutti tracciati e tracciabili. Ogni nostro movimento è seguito, decrittato, registrato. L’insieme dei nostri clic forma un enorme archivio che serve a studiare i flussi, i gusti, le tendenze. E’ un patrimonio di immenso valore economico di cui pochi hanno contezza.
Quando facciamo una qualsiasi ricerca, la rete ci offre un risultato che attinge da quell’archivio. Quindi ci fornisce ciò che suppone possa interessarci, non ciò che realmente ci interessa.
Quando sentiamo parlare di privacy sforziamoci di capire che si parla di libertà. La riservatezza dei dati infatti non riguarda solo gli illeggibili moduli che ad ogni contratto – dalla bolletta elettrica alla banca, dalla tessera del supermercato all’azienda di telefonia – ci tocca firmare. Coinvolge invece una parte importante della nostra vita sociale, quella che ha a che fare con il diritto di scelta, con la promessa che nessuno deciderà per te se non lo chiedi.
Insomma quando digitiamo qualcosa su un motore di ricerca è saggio tener conto che il suggerimento non è mai disinteressato. Come in tv insomma.

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

6 commenti su “Il web? Come la tv”

  1. A me non è ancora successo di leggere, di sentire “l’ha detto internet” in quella funzione assertiva che aveva “l’ha detto la tv”. Però, ecco, mi allarmerebbe, visto quanto è esposto alla mistificazione il mezzo (oltre ai casi che sarebbe inutile citare, Mentana che cita il falso Passera e Paolo Villaggio morto, ti segnalo questo interessante studio: http://www.guardian.co.uk/uk/interactive/2011/dec/07/london-riots-twitter).
    Ma, insomma, sono andato fuori tema. Alla privacy, nei tempi di internet, ho sostanzialmente rinunciato proprio perché credo di avere una discreta abilità nel cercare dati su internet: la mole di informazioni che lasciamo sparpagliate in giro per la rete è sostanzialmente infinita, e in fondo solo scrivendo questo commento sto fornendo una serie di dettagli – a te, in questo caso, a una multinazionale in altri – in qualche modo sensibili, come la mia posizione, il computer che uso e altri particolari tecnici, ma anche le mie abitudini sulla fruizione di internet, la mia mail, eccetera.
    In sintesi: meglio stare su gerypalazzotto.it che su vattelapesca.com. Perché dovendo dare informazioni riservate, ecco, almeno preferisco fornirle a te. Se non altro so a chi dare la colpa.

  2. Però io parlo di fruizione di notizie. Il dato allarmante è che noi crediamo, ad esempio effettuando una ricerca su Google, di compiere un atto di libertà quando in realtà così non è.

  3. qualche mese fà ho spiegato a mio padre che ha 70anni e non sa leggere gli sms sul suo cell, che mettendo un nome e cognome su un motere di ricerca spuntano su quel nome tutta una serie di notizie collegate che servono a dare un quadro di chi sia, poi ho digitato il mio e lui ha capito che l’unica cosa di cui su internet c’è traccia è tutto ciò che meno mi appartiene e più mi addolora, e chi non mi conosce sa solo quello di me, non ha proferito parola per un giorno intero.

  4. forse un poco di libertà l’abbiamo già perduta da tempo, e bisogna rassegnarsi. sempre che si voglia rimanere nel mondo “civile”.
    la mia dolce metà (o 3/4), male accetta di essere “controllato” o “spiato”. il nostro maghetto del computer (quello che chiamiamo quando frettolosamente mi impastrocchio con qualche novità apple, tipo “che bello lion, lo installo subito! ooops non funziona più tutta una serie di applicazioni”…) non sopporta l’idea di icloud, perché la sente come un’appropriazione indebita e centralizzata di dati propri, un tentativo di controllo. e probabilmente ha anche ragione.
    ma abbiamo telecamere, telepass, bancomat, cellulari, ipad e quant’altro… e poi tutto ciò che cerchiamo, leggiamo e frequentiamo in rete. tracce di noi sono sparse ovunque, per chi volesse farne uso.
    si può fare qualcosa, tranne staccarsi dal mondo di oggi?
    sempre il 3/4 di cui sopra, essendosi occupato di privacy per lungo tempo, è molto sensibile sull’argomento, al punto da essere quasi scettico anche sulle intercettazioni. ma, pur essendo d’accordo che in un mondo perfetto certe cose non dovrebbero esistere, in questo, ampiamente perfettibile, preferisco il meno peggio e conto sull’effetto quantità e sul non avere, in fondo, nulla da nascondere.

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