Il mio aldilà

Non so se a voi capita mai di pensare a come sarà il vostro aldilà.
No, fermi: non cominciate a toccare ferro (o altro)! Non vi sto chiedendo di pensare alla morte, ma al “luogo” nel quale svernerete dopo aver lasciato la vita terrena.
Io ad esempio so dove andrò a finire.
E’ un posto che non è né inferno, né paradiso e nemmeno quella mezza cosa del purgatorio. E’ una montagna come Monte Pellegrino, che i palermitani conoscono bene (gli altri si possono documentare qua).
Una volta abbandonato il mio corpo, osserverò il mondo dai tornanti della strada che si arrampica sulle pendici del monte. Raccoglierò le cartacce che certe anime non proprio candide hanno lasciato dopo il picnic del fine settimana. Farò jogging in pineta la mattina presto e prenderò il sole su un prato incolto. Passando dalle gallerie farò finta di non vedere i diavolacci che dentro le loro auto parcheggiate s’intrattengono con le signorine diavolesse. Mangerò tutte le schifezze che voglio, tanto il corpo l’ho lasciato sottoterra. E la sera, su una sedia a sdraio e con un paio di Ceres accanto, mi godrò il cielo visto da vicino. Sperando che là sotto, nella città dei vivi, la gente si comporti meglio possibile: in vita ho sempre odiato la calca e il traffico, e nel mio aldilà non vorrei sovraffollamento.

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

8 commenti su “Il mio aldilà”

  1. Geri in tutto ciò spero non esista la noia in un luogo come quello. Certo ci sarebbe l’umanità sottostante a divertirti.
    Io me m’ummagino come un luogo in cui non ci siano obblighi, in cui possa usare il tempo come voglia.

  2. Certo però dovrai trovarti una soluzione di ripiego per il giorno dell’acchianata a Santa Rosalia.

  3. Per il giorno dell’acchianata al limite ci metterò qualche ceres in più…
    Tanto nell’aldilà il fegato non esiste. Il che, ora che ci penso, è anche un’ottima condizione per guardare ogni tanto qualche tg.

  4. Il mio al di là lo immagino nella casetta di campagna alle “Serre”. Trenta metri quadri in tutto, quattro fornelli, un divano retrò e un matrimoniale in ferro battuto. Fuori il giardino, di rose e gelsomini, che è rimasto tale e quale a quando mio nonno – trent’anni fa – decise di dargli vita. Di fronte l’alba e i tramonti di Sutera e Cammarata e quando il cielo è limpido, il riflesso dell’Etna. In quel posto i miei nonni – Stella e Raffaele – passarono la luna di miele. C’era la guerra e in tasca il necessario per sopravvivere. Da come ne parlavano, però, quel viaggio di nozze a due km da casa, fu l’inizio di tante altre cose belle. E lì,in quel posto, pare che ogni cosa sia rimasta impregnata da quel sentimento, da un amore di quelli che forse, oggi, non ce sono più. Lì vorrei passare il mio al di là, sempre che non siano arrivati prima i nonni.

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